“I love you”, “Ti amo”. Mai le parole d’amore sono state dette con questa frequenza, con questa disinvoltura, con questa superficialità. Perfino con questa indifferenza al loro vero significato. Al punto da essere per molti una sorta di ouverture necessaria anche per l’avventura occasionale, come se il mettere un’etichetta amorosa elevasse il livello emotivo dell’incontro. In parallelo, si è ridotto il loro valore. La loro unicità ed esclusività. A far la differenza, in questa epidemia di banalizzazione delle parole d’amore, resta senz’altro l’emozione con cui vengono pronunciate, la vibrazione della voce, la sincerità, il coinvolgimento interiore. Tuttavia, la differenza più importante, quella che qualifica la verità della dichiarazione d’amore e l’intensità del coinvolgimento affettivo, esce per sua antica natura dai confini del desiderio urgente, esce dall’elusività dell’emozione e perfino dall’effimera eccitazione dei sensi. Esce dal terreno dei sentimenti solo dichiarati, che spesso sfocia in un nominalismo compiaciuto, e chiede di diventare visibile. L’amore (vero) si deve vedere: vedere con i fatti, con i gesti, i comportamenti, gli atteggiamenti. L’amore che non sia mera e gratuita parola si traduce in sollecitudine, in piccole e grandi attenzioni, in capacità di ascoltare, di accogliere, di confortare, di rasserenare, di prendersi cura. Di entusiasmare. Di sorprendere, con un gesto affettuoso e inatteso. Di condividere: i giorni di pioggia, anche, e non solo i giorni di sole.
Molte coppie, giovani e meno giovani, che partono sulle ali di un’attrazione erotica travolgente, e si dicono che il loro è l’amore più grande e unico del mondo, si arenano e colano a picco quando, calati i venti della passione, si trovano ad affrontare le bonacce della vita quotidiana. In quella vita più quieta, o quando la vita di coppia da sogno tenta di diventare progetto, sono altri i venti che possono dar le ali al piacere di ritrovarsi, di stare insieme, di desiderarsi ancora.
Questo è vero nella vita di coppia, come nella famiglia. Purtroppo, con la crescita vertiginosa dell’egoismo e del narcisismo, e dell’indifferenza ai sentimenti altrui, aumenta in noi, e molto nei giovani, una sorta di analfabetismo degli affetti. Meglio, della pragmatica degli affetti: ossia della capacità di renderli visibili, concreti, evidenti, attraverso la capacità di prendersi cura dell’altro, e per ciò stesso capaci di cambiare e migliorare la nostra vita e l’altrui.
Questa capacità di prendersi cura, come tutti i linguaggi, si apprende innanzitutto in famiglia: ed è una lingua materna, come tutte le lingue primarie. Perché il prendersi cura nasce dai gesti della tenerezza, dell’accudimento, dell’attenzione affettuosa, della presenza, della musica che la stessa voce ha quando è attenta e affettuosa, sollecita appunto. Con i profumi del cibo preparato con cura, della casa ordinata e calda, di un ordine che indichi amore per il nido di tutti. Con la riduzione drammatica del tempo che le mamme vivono in casa, cala per i bambini, maschi e femmine, la possibilità di imparare attraverso l’esempio dei gesti, che è poi l’apprendimento più profondo e convincente. Il danno è limitato se esistono papà, nonni o zii, o tate, stabili e presenti, affettuosi e teneri. Altrimenti l’analfabetismo affettivo diventa drammatico: e allora aumenta il senso di solitudine, proprio perché si è rimasti muti e sordi dal punto di vista affettivo. I neuroni specchio, che registrano nel nostro cervello i comportamenti d’amore (o d’odio) prima che noi stessi si sia in grado di metterli in pratica, non hanno rispecchiato che i silenzi, le assenze, o le dichiarazioni entusiaste e i regali che tentano di supplire l’assenza di tempo, di attenzione, di cura, di amore visibile. Non si riesce a comunicare qualità di sentimenti e non si riesce a mettere in atto la pragmatica dell’amore, se non la si è vissuta e appresa fin da piccoli. E se non ci si allena a metterla reciprocamente in atto, uomini e donne, quotidianamente.
E’ proprio la capacità di prendersi cura dell’altro, affettivamente, eroticamente, pragmaticamente, la capacità di “esserci”, nelle piccole e grandi cose della vita, il fattore predittivo più forte della durata di una coppia. Ma anche della serenità di una famiglia. Nel prendersi cura davvero, c’è un’assunzione di responsabilità sostanziale verso l’altro e verso il progetto comune. Tutti aspetti che vengono percepiti oggi come zavorre, e sono invece la base sicura su cui costruire un progetto che possa durare.
L’amore reso visibile scalda davvero il cuore, a lungo, e illumina la vita. E la cambia in meglio. L’amore nominale, che si esalta di parole sussurrate, alimenta un’illusione d’amore, attraente ma impalpabile e fugace, come un fuoco fatuo, che rapido scompare lasciandoci al buio, delusi e soli.
Molte coppie, giovani e meno giovani, che partono sulle ali di un’attrazione erotica travolgente, e si dicono che il loro è l’amore più grande e unico del mondo, si arenano e colano a picco quando, calati i venti della passione, si trovano ad affrontare le bonacce della vita quotidiana. In quella vita più quieta, o quando la vita di coppia da sogno tenta di diventare progetto, sono altri i venti che possono dar le ali al piacere di ritrovarsi, di stare insieme, di desiderarsi ancora.
Questo è vero nella vita di coppia, come nella famiglia. Purtroppo, con la crescita vertiginosa dell’egoismo e del narcisismo, e dell’indifferenza ai sentimenti altrui, aumenta in noi, e molto nei giovani, una sorta di analfabetismo degli affetti. Meglio, della pragmatica degli affetti: ossia della capacità di renderli visibili, concreti, evidenti, attraverso la capacità di prendersi cura dell’altro, e per ciò stesso capaci di cambiare e migliorare la nostra vita e l’altrui.
Questa capacità di prendersi cura, come tutti i linguaggi, si apprende innanzitutto in famiglia: ed è una lingua materna, come tutte le lingue primarie. Perché il prendersi cura nasce dai gesti della tenerezza, dell’accudimento, dell’attenzione affettuosa, della presenza, della musica che la stessa voce ha quando è attenta e affettuosa, sollecita appunto. Con i profumi del cibo preparato con cura, della casa ordinata e calda, di un ordine che indichi amore per il nido di tutti. Con la riduzione drammatica del tempo che le mamme vivono in casa, cala per i bambini, maschi e femmine, la possibilità di imparare attraverso l’esempio dei gesti, che è poi l’apprendimento più profondo e convincente. Il danno è limitato se esistono papà, nonni o zii, o tate, stabili e presenti, affettuosi e teneri. Altrimenti l’analfabetismo affettivo diventa drammatico: e allora aumenta il senso di solitudine, proprio perché si è rimasti muti e sordi dal punto di vista affettivo. I neuroni specchio, che registrano nel nostro cervello i comportamenti d’amore (o d’odio) prima che noi stessi si sia in grado di metterli in pratica, non hanno rispecchiato che i silenzi, le assenze, o le dichiarazioni entusiaste e i regali che tentano di supplire l’assenza di tempo, di attenzione, di cura, di amore visibile. Non si riesce a comunicare qualità di sentimenti e non si riesce a mettere in atto la pragmatica dell’amore, se non la si è vissuta e appresa fin da piccoli. E se non ci si allena a metterla reciprocamente in atto, uomini e donne, quotidianamente.
E’ proprio la capacità di prendersi cura dell’altro, affettivamente, eroticamente, pragmaticamente, la capacità di “esserci”, nelle piccole e grandi cose della vita, il fattore predittivo più forte della durata di una coppia. Ma anche della serenità di una famiglia. Nel prendersi cura davvero, c’è un’assunzione di responsabilità sostanziale verso l’altro e verso il progetto comune. Tutti aspetti che vengono percepiti oggi come zavorre, e sono invece la base sicura su cui costruire un progetto che possa durare.
L’amore reso visibile scalda davvero il cuore, a lungo, e illumina la vita. E la cambia in meglio. L’amore nominale, che si esalta di parole sussurrate, alimenta un’illusione d’amore, attraente ma impalpabile e fugace, come un fuoco fatuo, che rapido scompare lasciandoci al buio, delusi e soli.
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