Un collega a Shangai, tanti anni fa, mi fece questa descrizione di un’antica trappola cinese. M’è tornata in mente, riflettendo sul ritorno del voto in condotta a scuola, voluto dal Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara. L’opposizione tuona: “Ritorno al passato”. E allora? Se un metodo di valutazione scolastica, il giudizio invece del voto, si è rivelato fallimentare, nonostante i lodevoli intenti che lo avevano ispirato, è saggio e doveroso tornare a una modalità di valutazione più concisa e netta, il voto, anche se appartiene al passato. Del resto, la valutazione numerica domina in tutti gli aspetti della vita. Nello sport, si arriva primi, secondi, terzi, e così via. In ogni gara, qualcuno arriva ultimo. Nei concorsi per un posto, il primo vince; tutti gli altri perdono. In ogni aspetto della vita, si vince e si perde.
Il voto in condotta è giusto e necessario: è un indicatore sintetico e netto del comportamento a scuola, che spesso predice quale sarà il comportamento nella vita, se non verranno messe in atto tempestive e opportune correzioni. Il cervello degli umani, come quello degli animali, funziona con un sistema neurobiologico solidamente radicato: ricompensa e punizione. Ciascuno tende a ripetere il comportamento che ha dato soddisfazione, e tende a evitare ciò che provoca frustrazione o dolore, emotivo o fisico. Il voto, opportuno in tutte le materie, con la sua limpidezza concisa è un indicatore netto: può stimolare a migliorare, se basso, e dare un’impennata di soddisfazione, quando si è ottenuto un buon risultato. Se basso, dovrebbe essere anche un’indicazione chiara per i genitori a impegnarsi perché il figlio migliori le sue capacità reali, affini i suoi talenti e impari a conoscere e correggere limiti e vulnerabilità, per essere davvero un protagonista attivo e consapevole della propria vita. E per aiutare in modo mirato i ragazzi con difficoltà d’apprendimento obiettive.
Contestare sempre gli insegnanti è fuggire dalle proprie responsabilità. Con giudizi scolastici sempre più nebulosi abbiamo realizzato un paradosso dai costi umani e sociali spaventosi: il 99,9% di promossi, e più del 50% degli studenti, non raggiunge il minimo di conoscenze accettabili per il livello scolastico raggiunto. Il crollo delle competenze che poi tutti lamentano quando devono assumere neo-diplomati e neo-laureati è la prova del fallimento che le molte modifiche del sistema scolastico hanno determinato.
Di fatto la scuola sta diventando un parcheggio in cui vengono sprecati gli anni più fecondi della vita, per molti ragazzi purtroppo irreparabilmente. Tornare indietro, a un sistema scolastico più meritocratico, è necessario e urgente. Ci vogliono insegnanti capaci di appassionare certo. Ed è necessario tornare alle interrogazioni mensili frontali, ad alta voce. Quasi il 50% dei ragazzi delle superiori non è in grado di comprendere un testo scritto e di ripeterne il contenuto, ad alta voce e con parole proprie. Servono compiti scritti ed esami orali periodici, durante tutto l’anno scolastico. Creano ansia? La vita ci pone ogni giorno ostacoli ed esami, difficoltà e frustrazioni. Questa è la realtà. E tuttavia, prima si impara ad affrontare gli ostacoli e a superare gli esami, meglio ci si struttura mentalmente ed emotivamente, e più ci si allena ad affrontare l’esistenza, con i suoi giorni di pioggia e i suoi giorni di sole.
Invece di aggredire gli insegnanti a priori, tutte le volte in cui un figlio sbaglia, i genitori facciano un esame di coscienza. Quanti di loro dedicano almeno mezz’ora al giorno ad ascoltare il proprio figlio ripetere ad alta voce la lezione, seguendolo sul libro di testo? Lo facessero tutti i giorni, allenerebbero la propria creatura a concentrarsi, a ricordare, a riassumere e ad esprimersi con parole appropriate. Potrebbero cogliere i miglioramenti da premiare, e i limiti, da correggere attivamente.
Una volta, a una gara di atletica sugli 800 metri, ero ultima. Mi ritirai. Tornai a casa nerissima. Mio padre mi lasciò sfogare e commentò: «Se trovi avversarie più forti di te, rispetti il loro valore e finisci la gara, anche se arrivi ultima». Mi guardò dritto negli occhi, severo: «E ricordati che si impara più dal perdere che dal vincere». Parole sante. Grazie, Papà.
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