"Il mondo ha bisogno di uomini che non possono essere comprati, che mantengono la parola, che stimano il carattere più prezioso del denaro, che non esitano a correre rischi, che sono altrettanto onesti nelle piccole cose come nelle grandi, che non scendono a compromessi, che non credono che la furbizia e la mancanza di scrupoli siano la migliore ricetta per il successo, che non si vergognano né hanno paura di difendere la verità anche a costo di andare contro corrente" (J. Allan Petersen). Un nostalgico, questo pensatore americano, che dà voce, tuttavia, alle molte persone perbene che ancora abitano questo mondo ma che, sfortunatamente, fanno meno rumore di chi sta al potere o è visibile, specie sui media contemporanei. Chi condivida le sue parole, oggi, si sente solo. Solo perché usa un codice etico “disabilitato”, come se parlasse latino mentre gli altri parlano l’italiano dialettale, all’arrembaggio di grammatica e sintassi, che imperversa oggi. La deriva di una lingua è anche la deriva del pensiero che la sottende. La mancanza di rigore nella parole riflette non solo la confusione che le alimenta, ma la grossolanità della riflessione che le ispira. Si sente solo perché continua a credere che quel codice etico sia la base di una vita degna di essere vissuta. Solo, perché “vanno avanti” quelli che hanno capito il vento e si sono rapidamente adattati alla grande rivoluzione silenziosa che ha travolto non solo il costume e i comportamenti evidenti, ma – cosa ben più grave – i pensieri e le motivazioni che li ispirano.
Pessimismo? No: guardiamoci intorno. C’è un prostituzione più offensiva della vendita del proprio corpo, che tanto irrita i benpensanti: ed è la galoppante prostituzione del proprio cervello, del proprio credo, della propria identità, della propria anima. Una prostituzione, pur di avere denaro e potere, che è strumentale alla corruzione e al cinismo dei nostri tempi e che accomuna uomini e donne. Figlia di quella “deriva delle norme” per cui viene considerato “normale”, o addirittura “da furbi”, il vendersi a chi paga di più, in denaro o equivalenti, come carriera, vantaggi politici, corse truccate ai concorsi o agli appalti. E’ normale non mantenere la parola, che ormai è una flautata d’aria, più o meno ben articolata, che può volteggiare e essere rigirata senza il minimo pudore. Il valore del carattere e della dignità sono in caduta libera. I rischi che vengono corsi, e su tanti fronti, non sono al servizio di un ideale, di un valore etico, di una causa che ci faccia dire: la mia vita meritava di essere vissuta. No: i rischi che si corrono sono quelli che ci tengono ai limiti (o già oltre) la legalità, sperando che la lentezza della giustizia, un buon avvocato, e il perdonismo, sollecitato quasi come un dovere, siano sufficienti a far rientrare nella non punibilità tutti gli illeciti commessi. L’onestà, perla e fiore all’occhiello degli uomini e delle donne di qualità, sembra oggi una qualità da museo delle virtù, citata con un certo sussiego nei grandi discorsi, e nelle grandi dichiarazioni d’intenti elettorali, specie a livello politico, e trattata poi come un’ingenuità, se non come una debolezza da perdenti, nella vita reale. Il compromesso è lo sport nazionale, nei piccoli comuni come al governo del Paese, pur di mantenere ciascuno la propria fetta di potere. E pazienza se in sei mesi ci si accorda sull’opposto di quanto si è giurato di garantire nel programma elettorale. La verità è un’opinione, nelle grandi riletture storiche anche di eventi dolorosi del nostro passato, come nelle trattative contemporanee, nelle coppie e nelle famiglie.
Eppure, e in positivo, c’è una fascia ancora sanissima della nostra popolazione che continua a credere che meriti comportarsi in modo corretto ed etico. Che pensa che la propria coscienza sia un giudice più affidabile dei successi esteriori. Che non è disposta a vendersi. Che crede all’impegno nella preparazione personale, e al rigore nella vita quotidiana, nella famiglia, nel lavoro, nel volontariato. E’ un’Italia silenziosa, costruttiva, tenace. Ancora salda, anche se le sirene della corruzione hanno volti e musiche cui può essere difficile resistere. E’ un’Italia che crede all’individuo, al suo valore unico nel mantenere viva una rete di affetti di qualità, di valori, di rispetto degli altri e dell’ambiente. Un’Italia sfiduciata, che non si riconosce più nei suoi rappresentanti di destra e di sinistra, che si è disaffezionata rispetto alla politica, ormai troppo falsa e corrotta, ma che nel suo piccolo continua ad impegnarsi per migliorare almeno un aspetto del proprio mondo. In un’epoca di globalizzazione che di fatto azzera il valore dell’individuo, questa parte di italiani continua a credere all’importanza della responsabilità individuale. Della generosità. Dell’impegno nel migliorare il mondo in cui viviamo, ciascuno portando il suo piccolo o grande contributo. Non si riconosce in questa politica, ma di fatto fa politica, nel senso più alto, come cura della “polis”, di quello spazio affettivo e urbano in cui abita. La grande sfida, oggi, è ricoagulare questo mondo di silenziose passioni civili in una forza di trasformazione e di miglioramento di un mondo altrimenti alla deriva. E’ importante non sentirsi soli, né fuori moda, solo perché i furbi fanno più rumore. Coltivando la purezza d’intenti e la forza interiore necessarie per essere un centro di coesione etica, anche nel nostro piccolo mondo, vedremo che le persone che ci sono affini ci riconosceranno spontaneamente: per condividere una passione civile, come succede in tanto volontariato di qualità. Contro una vita superficiale, è bello perseguire una vita di sostanza. Crediamoci insieme. Ancora.
Pessimismo? No: guardiamoci intorno. C’è un prostituzione più offensiva della vendita del proprio corpo, che tanto irrita i benpensanti: ed è la galoppante prostituzione del proprio cervello, del proprio credo, della propria identità, della propria anima. Una prostituzione, pur di avere denaro e potere, che è strumentale alla corruzione e al cinismo dei nostri tempi e che accomuna uomini e donne. Figlia di quella “deriva delle norme” per cui viene considerato “normale”, o addirittura “da furbi”, il vendersi a chi paga di più, in denaro o equivalenti, come carriera, vantaggi politici, corse truccate ai concorsi o agli appalti. E’ normale non mantenere la parola, che ormai è una flautata d’aria, più o meno ben articolata, che può volteggiare e essere rigirata senza il minimo pudore. Il valore del carattere e della dignità sono in caduta libera. I rischi che vengono corsi, e su tanti fronti, non sono al servizio di un ideale, di un valore etico, di una causa che ci faccia dire: la mia vita meritava di essere vissuta. No: i rischi che si corrono sono quelli che ci tengono ai limiti (o già oltre) la legalità, sperando che la lentezza della giustizia, un buon avvocato, e il perdonismo, sollecitato quasi come un dovere, siano sufficienti a far rientrare nella non punibilità tutti gli illeciti commessi. L’onestà, perla e fiore all’occhiello degli uomini e delle donne di qualità, sembra oggi una qualità da museo delle virtù, citata con un certo sussiego nei grandi discorsi, e nelle grandi dichiarazioni d’intenti elettorali, specie a livello politico, e trattata poi come un’ingenuità, se non come una debolezza da perdenti, nella vita reale. Il compromesso è lo sport nazionale, nei piccoli comuni come al governo del Paese, pur di mantenere ciascuno la propria fetta di potere. E pazienza se in sei mesi ci si accorda sull’opposto di quanto si è giurato di garantire nel programma elettorale. La verità è un’opinione, nelle grandi riletture storiche anche di eventi dolorosi del nostro passato, come nelle trattative contemporanee, nelle coppie e nelle famiglie.
Eppure, e in positivo, c’è una fascia ancora sanissima della nostra popolazione che continua a credere che meriti comportarsi in modo corretto ed etico. Che pensa che la propria coscienza sia un giudice più affidabile dei successi esteriori. Che non è disposta a vendersi. Che crede all’impegno nella preparazione personale, e al rigore nella vita quotidiana, nella famiglia, nel lavoro, nel volontariato. E’ un’Italia silenziosa, costruttiva, tenace. Ancora salda, anche se le sirene della corruzione hanno volti e musiche cui può essere difficile resistere. E’ un’Italia che crede all’individuo, al suo valore unico nel mantenere viva una rete di affetti di qualità, di valori, di rispetto degli altri e dell’ambiente. Un’Italia sfiduciata, che non si riconosce più nei suoi rappresentanti di destra e di sinistra, che si è disaffezionata rispetto alla politica, ormai troppo falsa e corrotta, ma che nel suo piccolo continua ad impegnarsi per migliorare almeno un aspetto del proprio mondo. In un’epoca di globalizzazione che di fatto azzera il valore dell’individuo, questa parte di italiani continua a credere all’importanza della responsabilità individuale. Della generosità. Dell’impegno nel migliorare il mondo in cui viviamo, ciascuno portando il suo piccolo o grande contributo. Non si riconosce in questa politica, ma di fatto fa politica, nel senso più alto, come cura della “polis”, di quello spazio affettivo e urbano in cui abita. La grande sfida, oggi, è ricoagulare questo mondo di silenziose passioni civili in una forza di trasformazione e di miglioramento di un mondo altrimenti alla deriva. E’ importante non sentirsi soli, né fuori moda, solo perché i furbi fanno più rumore. Coltivando la purezza d’intenti e la forza interiore necessarie per essere un centro di coesione etica, anche nel nostro piccolo mondo, vedremo che le persone che ci sono affini ci riconosceranno spontaneamente: per condividere una passione civile, come succede in tanto volontariato di qualità. Contro una vita superficiale, è bello perseguire una vita di sostanza. Crediamoci insieme. Ancora.
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