Perché non denunciano le donne? Per paura, innanzitutto. Per non subire ritorsioni da parte degli amici del violentatore: fenomeno allarmante in USA e ora emergente anche da noi. Per paura di subire rappresaglie, ritorsioni e nuove violenze da parte del violentatore: “Se mi denunci, te la faccio pagare!”. “Se mi denunci, ti ammazzo!”. Violenze, aggressioni, piccoli e grandi terrorismi che possono finire con la morte della donna che ha osato denunciare, dopo mesi o anni di persecuzioni, come è successo anche in alcuni tragici casi recente. Perché sa che lo stupratore, quand’anche condannato, uscirà rapidamente di prigione: per un indulto, per “buona condotta”, perché l’avvocato di lui ha fatto ricorso in appello e nel frattempo sono decorsi i termini di carcerazione preventiva. E sa che gliela farà pagare, questa è la pesante verità. Altro che denunciare. Non parla, la donna, anche per paura del giudizio sociale: la donna violentata diventa “res nullius”, cosa di nessuno, corpo oltraggiato, ferito, svalutato, “donna facile” come se una donna lo stupro “se lo andasse a cercare”, come se ci fosse una colpa intrinseca nell’essere violentate. E non denuncia per vergogna, perché lei stessa, dopo uno stupro, si sente sporca, umiliata, ferita, oltraggiata nel corpo e nell’anima.
Come reagire? Non con l’umoralità reattiva con cui si infiammano parole e animi di fronte al singolo episodio criminale. Ma con la fermezza e il senso di responsabilità operativo che ogni cittadino e ogni politico deve avere nei confronti di una minaccia reale, quotidiana, pervadente e ingravescente, di cui solo a tratti emerge il volto più sanguinario o addirittura mortifero. Dice il Viminale che le denunce per stupri nel 2007 sono state in calo rispetto al 2006. Certo: ma non perché gli stupri sono in calo! Bensì perché le poche donne che hanno parlano hanno pagato un prezzo personale così alto che le altre hanno imparato a stare zitte. Soprattutto se non hanno dalla loro i mezzi culturali ed economici per difendersi: non a caso la maggioranza delle denunce sono fatte da donne professioniste o impiegate di livello, mentre tace la parte più povera e meno difesa, che nella realtà è anche la più oltraggiata.
Che cosa fare, in concreto? Due sono le direzioni in cui agire, per ridurre i due grandi fattori della vulnerabilità: quello sociale e quello individuale. Dal punto di vista sociale, contro i violentatori, è indispensabile avere: 1) una giustizia celere, innanzitutto, che diventi paradigma della necessità improcrastinabile di accelerare la giustizia italiana, prendendo esempio dalla Germania e dalla Francia, che hanno tempi molto più rapidi, a dimostrazione che la lentezza è un difetto grave tutto italiano; 2) nessuna attenuante, né patteggiamento: chi stupra è un assassino dell’anima, oltre che del futuro di una donna, e come tale va punito; 3) certezza della pena: basti indulti perché le carceri sono piene di delinquenti; 4) fuori dal Paese, con certezza dell’esecutività e irreversibilità dell’espulsione, dopo aver scontato completamente la pena, se si tratta di immigrati; 5) risarcimento personale della vittima, con i propri beni, se presenti (basterebbe riapplicare il Codice Giustinianeo del 533 dopo Cristo, che su questo tema era più avanzato di noi) o con il reddito del lavoro svolto in carcere. Insomma bisogna garantire che prima venga scontata completamente la pena. Poi semmai si parlerà di riabilitazione.
E sul fronte della vulnerabilità delle donne? E’ indispensabile che si sveglino innanzitutto i genitori, soprattutto per proteggere il crescente gruppo di adolescenti violentate nell’ombra e nel silenzio. Sono i genitori che si devono allertare, educando i figli e le figlie ad una maggiore autoprotezione, che comincia dal tenere gli occhi aperti su alcuni evidenti fattori di rischio. Dove sono i genitori di tutte le adolescenti che rientrano a notte fonda, ubriache o drogate? Dove sono i genitori delle ragazze che escono di casa decentemente vestite per cambiarsi in auto o in taxi per andare a prostituirsi? Dove sono i genitori delle ragazze con vestiti costosi e griffati, certamente non acquistabili con la paghetta settimanale?
Se vogliamo ridurre la vulnerabilità delle giovani donne, ma anche dei ragazzi, di cui cresce il numero di violentati che non denunciano, dobbiamo educarli individualmente: 1) all’autoprotezione; 2) a non aumentare la vulnerabilità a violenze e stupri, individuali o di gruppo, con alcool, droghe o atteggiamenti inutilmente provocanti; 3) a non buttarsi via, per conformismo, per imitazione, per disistima, per illusione di onnipotenza (“tanto a me non succederà mai niente di male”). Dal punto di vista sociale, dobbiamo impegnarci tutti per avere città più sicure, perché ad ogni età, ormai, la violenza è in agguato.
Vedremo se questo Governo si impegnerà concretamente per tutelare la sicurezza, di cui abbiamo disperatamente bisogno.
Abuso sessuale: approfondimenti disponibili sul sito della Fondazione Alessandra Graziottin
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