Che cosa può portare un ragazzo o una ragazza a togliersi la vita? La prima causa è la solitudine. La perdita – o la percezione soggettiva della perdita – di ogni legame affettivo, che è anzitutto legame con la vita, è un potente fattore di disperazione, nel senso di annichilimento di ogni speranza di amore, di entusiasmo, di gioia. I nostri ragazzi sono iper-connessi, ma sempre più tristi, con aumento della depressione, dell’ansia, della sfiducia nel futuro fino a sentirlo come una voragine nera che tutto inghiotte e in cui lasciarsi andare, per non sentire più il dolore di vivere.
La seconda causa è la difficoltà o l’incapacità di affrontare le difficoltà della vita, a causa dell’iperprotettività dei genitori, perennemente attenti a spianare la strada davanti alla loro creatura, togliendo ogni piccolo o grande ostacolo. Con un errore drammatico: l’iperprotettività, che nelle intenzioni è un gesto d’amore, diventa un sottile veleno che paralizza l’istinto di sopravvivenza, istinto vitale per eccellenza. Gli ostacoli, le frustrazioni “ottimali” sono indispensabili per stimolare un atteggiamento più attivo, più sanamente autocritico, più impegnato, più duttile nel cercare una soluzione costruttiva, più forte e coraggioso. Per aspera ad astra: attraverso le difficoltà si arriva alle stelle, dicevano gli Antichi. In tempi in cui anche il magnifico latino, dopo il greco antico, subisce gli attacchi dei furiosi demolitori culturali, basta un motto italiano: Il carattere si tempra superando gli ostacoli, da mettere all’entrata delle scuole di ogni ordine e grado: un brutto voto, una nota, devono essere motivo di autocritica del ragazzo/a e della sua famiglia, non causa di aggressione all’insegnante. La condotta iperprotettiva e distorta crea figli ignoranti e arroganti, oppure così fragili e incapaci di vivere da cadere nella depressione o nella morte. A volte gli stessi arroganti, quando sono anche violenti, nelle parole o nei comportamenti, vittimizzano i più fragili o i diversi perché sovrappeso, oppure dislessici o malati, fino a causare una tale sofferenza che il suicidio sembra ai ragazzi più sensibili l’unico modo per porre fine al tormento. Attivare le antenne del cuore verso i più fragili è compito di tutti noi adulti, da un lato per contenere e modificare il comportamento degli arroganti, dall’altro per dare fiducia, coraggio e forza ai più sensibili, allenandoli a diventare più forti.
La terza causa è neurobiologica, per il ritardo maturativo del lobo frontale, essenziale per governare gli impulsi, anche autodistruttivi. Un ritardo condizionato da molti fattori, tra i quali la mancanza di educazione a un minimo di disciplina esistenziale e l’iperprotettività dei genitori giocano un ruolo critico e a volte fatale.
Una quarta causa, sempre sul fronte neurobiologico, è la personalità bipolare, che oscilla tra euforia e depressione, perché può aumentare la vulnerabilità del singolo ragazzo a gesti autodistruttivi in un picco di tristezza maligna. Questo tratto caratteriale ha una base ereditaria. Costituisce una predisposizione, che non significa destino, ma necessità di maggiore attenzione e di cure adeguate, quando indicate.
Il quinto fattore, il più facilmente modificabile e il più banalizzato, riguarda l’uso di sostanze tossiche per le cellule nervose, per la psiche e per il comportamento, soprattutto dei ragazzi più giovani il cui sistema nervoso è vulnerabile all’azione dirompente di sostante quali alcol e droghe.
Nel singolo ragazzo/a possono agire diversi di questi fattori, fino a causare una sofferenza pervadente e disperata. Come riconoscere questo dolore, come aiutare il ragazzo/a dargli una direzione costruttiva, di crescita, e prevenire gesti estremi? Ogni genitore dovrebbe soffermarsi più spesso a guardare negli occhi i propri ragazzi, ascoltando attento, osservando e riflettendo. Dovrebbe chiedersi sincero: «Conosco davvero mio figlio?». E incoraggiare più vita sana e vera, più sport di gruppo, più natura. Bisogna tornare ai fondamentali della vita, per amarla davvero.
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