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L'arte dell'attesa silenziosa e attiva

20/06/2005

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Quanto conta l’attesa, oggi come ieri, nell’amore come nella vita? Quanto conta il saper aspettare, il lasciar maturare e crescere comprensione e sentimenti, progetti e conoscenza reciproca?
Sì, viviamo in tempi frenetici, concitati. Confondiamo la passione con l’impulsività, l’irruenza, l’assecondare attrazioni di pelle – pur entusiasmanti – prima di aver saputo consentirci quell’unicità di emozioni che viene da una vera conoscenza dell’altro che lo renda unico ai nostri occhi e al nostro cuore. O meglio, si sta creando una convinzione diffusa che il tempo meriti di essere vissuto solo se adrenalinico, eccitato, esaltato. Certo, bellezza e unicità possano esistere, e renderci felici, anche e solo per una fulminante attrazione fisica. Il rischio è tuttavia nel prendere il veloce e il fulmineo come unico paradigma dell’amore contemporaneo.
Riflettevo, in questi giorni, su alcuni guai e delusioni pesanti che il non saper aspettare ha causato a pazienti e amici. Non solo in amore, ma anche sul lavoro, quando l’ansia di fare e il non saper aspettare ci portano a errori di valutazione madornali, a azioni di cui poi ci pentiremo, a rompere relazioni che, se avessimo saputo attendere, avrebbero ripreso una forma rasserenata e una loro musica.
E riflettendo, ho riaperto un libro che ho molto amato, per le intuizioni che mi ha regalato tanti anni fa: “Trasgressioni” (Bollati Boringhieri, 1992) di M. Masud Khan, raffinato psicoanalista: “Attendere fa parte della natura dell’uomo. Da tempo immemorabile l’uomo attende qualcuno, o con devozione attende a qualcuno: una divinità, un dio, una persona amata (…). Gli enigmi e i paradossi dell’attesa sono fra le creazioni più nobili della mente e dell’animo dell’uomo. Tutti coloro che hanno intrapreso grandi viaggi negoziano l’attesa (…). L’attesa è l’esperienza cruciale di chiunque cerchi di costruirsi i propri strumenti per sperimentare se stesso e gli altri. L’attesa, la lunga attesa, può essere salute e può essere malattia. Colui che attende trova. La non-attesa garantisce la non-scoperta…”.
In poche righe c’è l’essenziale dell’attesa, che è una sorta di gestazione psichica, di gestazione dell’anima, in cui noi diamo tempo ai semi di un progetto, di un’attrazione, di un’intuizione, di svilupparsi, di prendere forma, di liberarsi da frenesie che potrebberlo interromperla prematuramente, o farla deviare irreparabilmente dal suo corso. Il grande viaggio della vita, nell’amore come nella professione, per arrivare a mete alte deve apprendere la grande lezione del saper aspettare. Che non è il vegetare nell’attesa sterile, tipica di molti giovani d’oggi, che qualcosa di magico arrivi e cambi d’improvviso la nostra vita: questa è la vera malattia. No: è l’attesa silenziosa e attiva, perché non sappiamo quando la vita potrebbe chiamarci a compiti più alti, a incontri significativi che richiedono tuttavia la capacità di saperli vivere in profondità, a emozioni che non possono essere distrutte per insipienza, conformismo o impulsività. Questo richiede un costante lavoro su di sé, per coltivare i propri talenti, affinare le proprie competenze, ma anche i propri sentimenti e la capacità di uno sguardo complesso ed empatico su di sé e sul mondo. Tutto questo si perde nella superficiale frenesia di apparire e di predare che caratterizza i nostri tempi. La sottile intelligenza di M. Masud Khan coglie un altro aspetto cardinale: “La non-attesa garantisce la non-scoperta”. E questo vale per i viaggi oganizzati come per polli in batteria, in cui si vedono cose ma è raro cogliere l’anima profonda di una cultura e di un paese. Vale per le persone, di cui perdiamo bellezze interiori e qualità di sentimenti ed emozioni che potrebbero sbocciare se solo avessimo la pazienza di coltivarli senza fretta. Vale per i nostri figli, di cui non coltiviamo talenti preziosi, di cui nemmeno notiamo l’esistenza, perché non ci prendiamo il tempo di ascoltarli, di osservarli con amore, in silenzio.
L’attesa non è assenza: questa è la sua parte d’ombra, la sua parte irrisolta, quando il tempo è vuoto di contenuti, di emozioni vere, di preparazione, di cura, di letture che ci aiutino a crescere e pensare. Ed è l’assenza il virus che infetta il tempo raro della giovinezza di tanti giovani d’oggi.
Abbiamo una responsabilità, noi adulti, in questa perdita del senso grande dell’attesa in molti dei nostri figli? Sì, purtroppo sì. In questo tempo luminoso d’estate, libero dalla scuola, incoraggiamo i nostri figli a leggere, facciamolo noi stessi. In un romanzo, in un classico, in una poesia, il tempo riprende un passo antico. Che si riapre all’attesa, all’immaginario, alla sperimentazione nella mente di tanti futuri possibili. E’ nel tempo magnifico della adolescenza che si apprende la meraviglia dell’arte dell’attesa che saprà sbocciare in progetti e sentimenti grandi e gioie profonde e uniche. E durature.

Capacità di attesa Riflessioni di vita

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