Ci sono denominatori comuni, in quest’aggressività violenta, armata e assassina contro le donne? E più in generale, nel crescendo di violenza fisica e di indifferenza morale che caratterizza molti comportamenti dei giovani? Il primo denominatore è la carenza educativa a controllare gli impulsi. Molti studi scientifici confermano che negli ultimi decenni la progressiva latitanza educativa, dei genitori prima, e poi della scuola, ha rallentato in modo evidente la capacità di controllare l’impulsività. Non è solo una questione “psicologica”. C’è evidenza neurobiologica di una rallentamento della maturazione del lobo frontale che ha come compito principe proprio l’acquisizione di redini emotive e comportamentali molto salde per evitare che i pensieri omicidi – che tutti possiamo avere, in un momento di collera o rabbia – diventino azioni omicide crudeli e irrimediabili.
Perché c’è questo rallentamento? Perché non sappiamo più dare le regole di comportamento ai nostri bambini, fin da piccolissimi. Perché non riusciamo a dire dei “no” motivati, fermi, autorevoli. E non negoziabili con i capricci o le urla. Ogni “no” che il bambino accetta, rispetta e interiorizza, “allena” all’autocontrollo non solo dal punto di vista psicologico: crea le basi neurobiologiche perché il controllo sia efficace. Invece ci siamo dimenticati quello che ci insegnavano da piccoli: “L’erba voglio non esiste nemmeno nel giardino del re”. Sedotti dalla cultura del piacere, vogliamo dimenticare che esistono i doveri e pensiamo che i nostri figli possano vivere felici in quest’anarchia emozionale. Ci illudiamo che bambini e adolescenti cresciuti nel limbo di una capricciosità umorale e di un’irresponsabilità illimitata, possano poi diventare magicamente adulti con la maturità anagrafica (salvo diventare assassini quando ancora adolescenti). Perché ci è ormai estraneo, dal punto di vista educativo, il concetto di “frustrazione ottimale”: rispettare un no, adesso, per avere poi più soddisfazione e più piacere, dopo. Dal semplice “Prima fai i compiti, poi andrai a giocare”, a “Prima aiuta a spreparare la tavola, poi userai il videogame” a più articolati impegni nel coltivare i talenti personali (nello studio, nello sport, nella musica, nell’arte), prima di pensare solo a divertirsi. Basta guardarsi attorno: un numero crescente di adolescenti non vive e nemmeno si diverte: “ciondola”. Bruciandosi l’oggi e il domani. Se poi l’adolescente appartiene, per biotipo genetico, al gruppo dei ragazzi più alla ricerca di emozioni e sensazioni forti (“sensation-seeking”), più inquieti e al contempo gelosi e possessivi, il rischio di un’impulsività e aggressività devastante diventa concreto fino ad avere esiti fatali.
Purtroppo a queste tragedie non c’è rimedio. Dovrebbero tuttavia indurre i genitori a chiedersi: mio figlio/a sa rispettare le regole di buon comportamento sociale? Sa accettare e rispettare un “no” motivato? Sa mettersi nei panni degli altri, e sentire il dolore degli altri, a seconda dell’età? E’ egoista o empatico? Mi rispetta? Lo rispetto? Che linguaggio usa? E che linguaggio usiamo, in famiglia? Se in famiglia l’atmosfera, anche solo verbale, è aggressiva, violenta, prevaricatrice, l’alfabeto emotivo che si impara è quello. Se i genitori hanno fatto del figlio un tiranno, sappiano che non tollererà poi che nessun altro gli dica di no. E, ritenendosi arbitro del mondo e della vita, potrà uccidere spietatamente, con la stessa assaporata emozione con cui lo farebbe in un videogame. Saper dire di no ai figli (oltre che a se stessi), è parte integrante del saper essere genitori “sufficientemente buoni”.
Aggressività e violenza Autocontrollo Carattere Educazione Impulsività Omicidio / Femminicidio / Infanticidio