Rossella T. (Treviso)
Ricerche recenti indicano purtroppo che ben il 70% delle donne canadesi – gravide e non gravide – ritengono (come sua figlia!) che non ci siano rischi a farsi una canna o due alla settimana durante la gravidanza. Il punto è che il bambino in utero è in strettissimo e continuo scambio biochimico con la mamma. Il tetraidrocannabinolo (THC), principale componente psicoattivo della cannabis, attraversa la placenta e arriva a tutti i tessuti del piccolo, fra cui il cervello, per il quale il THC ha particolare affinità perché ci sono recettori per i cannabinoidi endogeni, che sono i nostri analgesici interni. Inoltre, il THC si accumula nel latte, per cui a ogni poppata il piccolo si prende una quantità di THC proporzionale all’uso che ne fa la mamma (sporadico vs quotidiano).
Il modo con cui la cannabis è consumata non fa differenza: inalata, fumata, mangiata, in pillole o in forme topiche. Le ricerche più recenti indicano che l’uso del THC può essere associato a importanti rischi a breve e lungo termine. I più importanti sono: parto prematuro, basso peso alla nascita (rispetto all’età gestazionale), basso quoziente intellettivo (QI), impulsività e iperattività del piccolo nell’infanzia.
Non si può banalizzare né scherzare. Purtroppo oggi qualsiasi opinione soggettiva sembra avere lo stesso valore di affermazioni basate su solide evidenze cliniche. Tuttavia, quando è in gioco una possibile riduzione della salute mentale del proprio figlio, il senso di responsabilità verso il piccolo che verrà dovrebbe indurre a documentarsi seriamente e, nel dubbio, evitare l’uso di sostanza pericolose per non fargli correre rischi inutili.
Prevenire e curare – In gravidanza tolleranza zero per alcol, fumo e cannabis
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