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La città virtuale delle anime sole

04/09/2006

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Siete soli? Avete paura di uscire in pubblico? Soffrite insomma di fobia sociale? La vita reale vi fa paura?  ...e conoscete l’inglese? Individuato il bisogno, ecco la risposta on line: una “Second Life”, una seconda vita. Virtuale, naturalmente, meno minacciosa, meno inquietante, più confortante e, diciamolo, più facile della vita reale. Un’idea che sta diventando un boom... e un business per i suoi inventori. Autori della seducente opportunità, decisamente in perfetta sintonia con l’epidemia di solitudine contemporanea delle società ad alto reddito, i creativi, è il caso di dirlo, della società americana Linden Lab. Hanno infatti creato un mondo on-line persistente, che esiste sul server dello sviluppatore del gioco. Ognuno può collegarsi via Internet, creare il proprio avatar, ossia la propria identità virtuale, e condurre un’esistenza parallela insieme con migliaia di altre persone. Gli abitanti, nel mio ultimo curioso contatto, hanno già superato quota 600 mila. Non male per una città che ha tre anni di vita e che ora è in crescita esponenziale, come tutti i fenomeni che soddisfino un bisogno forte e negletto.
Che cosa offre? Molte attività culturali, come ogni città che si rispetti: concerti, festival musicali, gare sportive. Una propria moneta virtuale (naturalmente, il Linden Dollar, LD), che può essere scambiata con denaro reale sul Web (250 LD valgono un dollaro). Terreni e case (virtuali) da acquistare. E molti servizi, tra cui anche la psicoterapia online. Una vera e propria “avatar-therapy”. Pensata da un altro creativo, psicoterapeuta in entrambe le vite, reale e virtuale, il dottor Craig Kerley (sul web, Craig Kamenev). Un giovane trentenne con ben chiaro il concetto che il web è virtuale ma il business può essere reale. “Quali sono i problemi psichici più importanti negli USA?” si è chiesto il giovane imprenditore della mente. Tre, in ordine di frequenza, e spessi collegati fra loro: depressione, alcolismo e fobia sociale. Perché non offrire a questi ultimi una possibilità di cura che li raggiunga discretamente a casa, finché non riusciranno a riprendere il coraggio di vivere anche nel mondo reale? Detto fatto. Ed ecco il Center for Positive Mental Health, il Centro per una positiva salute mentale, entrato da poco più di due settimane tra i servizi offerti da questa generosa città, accompagnato da rulli di tamburi mediatici. Ci sono gruppi di discussione on line, in cui ciascuno appare con la propria identità virtuale, l’avatar appunto, che è anche una sintesi dell’Io ideale della persona. E, in questo senso, un indizio importante di quali siano la sua personalità, i suoi desideri, i suoi limiti. E la possibilità di psicoterapie individuali.
La patologia più frequente per cui si chiede aiuto? Proprio la fobia sociale e l’agorafobia (la paura degli spazi aperti), a dimostrazione che il dottor Kerley ha colto il bisogno nel segno.
Chi può beneficiare di questa possibilità? Le persone che hanno questa sostanziale difficoltà psichica a uscire di casa, anche per chiedere un aiuto farmacologico e psicoterapeutico. Più in generale, le persone sole, oppure che abbiamo difficoltà motorie, o malattie che limitino l’autonomia personale. O che, più semplicemente, abitino in luoghi distanti da centri qualificati e per i quali un’ora di psicoterapia comporterebbe troppe ore di viaggio, costi di trasporto e permessi di lavoro in numero non proponibile.
E’ gratis? No, certo che no. La prestazione professionale è reale e ha un suo realissimo costo: nello specifico, 90 dollari per cinquanta minuti di psicoterapia.
Quali limiti ha, questo approccio? Mancano due elementi sostanziali. Innanzitutto, il contatto diretto con il/la terapeuta, con tutte le dinamiche evolutive e di crescita personale che questo implica quando la relazione professionale sia di qualità. E le infinite informazioni che l’osservazione del paziente dà a un buon clinico: la mimica del volto, la postura, il tono e le inflessioni della voce, l’abbigliamento, l’odore e il profumo, tutto il linguaggio non verbale che così potentemente e sottilmente parla di noi. Certo, quello che la persona dice e l’identità che assume possono essere suggestive, ma sono indubbiamente limitate. D’altra parte un buon aiuto, seppur parziale, è meglio del deserto della solitudine.
Funziona, questa psicoterapia? Non si sa: il Centro di salute mentale virtuale è appena nato. L’obiettivo dichiarato è che questa psicoterapia virtuale possa  ridurre il senso di solitudine, e di emarginazione, e aiutare in una maggiore consapevolezza di sé. E costituisca così il primo passo per chiedere poi il necessario aiuto, anche farmacologico, nella vita reale. Non è detto, tuttavia, che questo aiuto si traduca in una riduzione sostanziale del problema fobico di base. Perché potrebbe invece diventare, come la stessa vita nella città virtuale, una sorta di vita in fuga, una dipendenza rassicurante che potrebbe semmai cristallizzare il problema in un’illusione di normalità. Il tempo dirà la verità.
Una domanda resta, immediata: in questo mondo virtuale, i servizi hanno un costo realissimo. Che sia il denaro l’unico metro di misura, l’unico che resta, della realtà?

Internet, videogiochi e televisione Realtà virtuale Solitudine

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