Uno studio condotto in Usa, Gran Bretagna e Australia, appena pubblicato da Berry e collaboratori sul Journal of Oncological Practice (novembre 2017), mostra l’importanza cruciale della gentilezza anche in un campo “estremo” come l’oncologia più avveniristica. L’ipotesi di lavoro è che cure oncologiche sempre più sofisticate possano essere completate e ancor più valorizzate dall’umanità “of high-touch care”, di un tocco di gentilezza profonda da parte di tutto il personale sanitario, medici e infermieri in testa.
Questi ricercatori hanno individuato sei tipi di gentilezza essenziali in oncologia: ascolto profondo, in cui il clinico si prende il tempo per capire davvero i bisogni, le paure e le preoccupazioni del paziente e della sua famiglia; empatia, la capacità di sentire il paziente con cancro (di mettersi nei suoi panni, anche per pochi minuti) espressa sia dal clinico sia da tutti i componenti del gruppo oncologico, per prevenire dolore e sofferenze evitabili; generosità interiore: quella discrezionalità nel porsi con un tocco di dedizione in più, ancora più efficace quando va oltre quanto lo stesso paziente e la famiglia si aspettano; terapie spiegate al giusto tempo, con quell’attenzione a quando, quanto e come si parla, per ridurre stress e ansia; onestà gentile, nel dire la verità, anche quando è dolorosa, con parole, ed espressioni non verbali, che diano conforto e lascino spazio alla speranza; e sostegno attento ai familiari che hanno cura del malato (“care-givers”) perché il loro benessere fisico e mentale è un fattore importante dell’atmosfera che circonda il paziente e delle cure che riceve. Basti pensare a quanto è importante aiutare la serenità e l’equilibrio emozionale dei genitori quando il malato oncologico è un bambino o un adolescente. La gentilezza di un clinico, consapevole che “il come le cure vengono somministrate” è una parte essenziale della loro efficacia, migliora sia il rapporto con il/la paziente, sia l’aderenza alle cure. E resta un fattore critico nella gestione del terremoto di emozioni che ogni diagnosi di cancro porta con sé per i pazienti, per le loro famiglie, ma anche per noi medici.
Più in generale, in tempi di crescente maleducazione, di rozzezza epidemica, di violenza comportamentale, di aggressività di toni e modi, che ruolo ha la gentilezza nella vita quotidiana? E’ essenziale, oggi perfino più di ieri, come tutti i comportamenti che ci differenziano dal conformismo avvilente, in questo caso della brutalità delle espressioni e dei comportamenti. Uno studio di qualche hanno fa, “Kindness counts” (La gentilezza conta), svolto da K. Layous e collaboratori, dell’Università della California e pubblicato su PLoS One, aveva dimostrato che la gentilezza può essere un tratto vincente per migliorare la qualità di vita dei nostri figli. I piccoli che avevano compiuto più gesti gentili avevano avuto un incremento significativo nell’accettazione da parte dei compagni, un aumento degli indici di benessere ed erano stati meno aggrediti dai compagni di classe bulli. Possibile? Sì, perché la gentilezza non è affatto sinonimo di debolezza. Indica educazione del cuore e dei sentimenti, capacità di mettersi nei panni degli altri, di aiutare, di incoraggiare, come ben ricorda lo studio anglosassone. E’ sorella della cortesia, della dolcezza e della capacità di sorridere, comportamenti preziosi perché creano un’oasi anti-stress. La gentilezza può fondersi con l’energia, con il coraggio e con la forza interiore, di cui è espressione sottile. Porta luce e fiducia in tutte le specialità mediche e aumenta l’efficacia della cure. Fa bene alla mente e al cuore: perché non coltivarla ancora, in tutti gli ambiti della vita?
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