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La lezione del frassino e della rosa

27/07/2009

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

“Ho bisogno di poesia e di vita vera. Ho bisogno di pace e di bellezza. Ho bisogno di profumi e di silenzio…”. Per quanti di noi identificano la vacanza non (o non solo) come un’immersione nella bolgia satrapica delle spiagge o nel tourbillon vorticoso di cittadine montane o marine, la risposta migliore sta sui monti. Ma non quelli alla moda. No, certamente no, a luglio e ad agosto. In questi mesi di esodo travolgente, bisogna andare dove pochi camminano, con presenza leggera.
Un luogo magico, per semplicità e bellezza, il migliore, per me, che la magnifica terra del Nord Est può dare, sta nelle Vette e nelle Alpi Feltrine, sul monte Cimonega o sul Pizzocco. Dove è possibile rigenerare corpo, mente e cuore, in perfetto equilibrio. Dove è possibile cogliere nei cespugli e negli alberi silenziosi esempi solidi dell’arte di vivere, sopravvivendo a sconquassi e lacerazioni, come e forse meglio di prima. Dove la mente si placa, perché si ritrova in un ambiente millenario intatto, di cui i nostri cromosomi serbano traccia e di cui il nostro cuore, lacerato nelle frenesie dei contesti urbani, prova profonda e immensa nostalgia. Soprattutto quando, tornando su un sentiero amato ma mai più ripercorso dai tempi del liceo, si ritrovano intatti i boschi e gli orizzonti, familiari e rigeneranti i profumi, esemplarmente tenuti i sentieri e nemmeno una carta o un barattolo per terra in cinque ore di cammino. Un sogno ritrovato.
Se il mattino è limpido e l’alba leggera, dopo una pioggia notturna, partire presto riporta al corpo l’allegria spartana degli anni dolci e ardenti della giovinezza. E se il corpo è in forma, lo slancio soddisfatto del passo e l’energia festosa della mente cancellano in un attimo ogni pesantezza dell’anno trascorso. Ora sono gli alberi a sussurrare. Ed è il torrente, che canta sereno e trasparente, a dare un ritmo diverso al giorno che si snoda in modo musicale. Il cuore ha deciso: si va in Val Canzoi, sopra Cesiomaggiore, dopo Feltre. Una lunga strada percorre dolce il tratto estremo della valle, fino all’inizio del sentiero. Ma sì, andiamo per l’806, per il bivacco Feltre dedicato a quell’uomo di montagna raro che era Walter Bodo. Dopo un laghetto verdissimo, si comincia a salire sul velluto. Un morbido tappeto bruno di foglie di frassino, in un bosco di rara integrità, con raggi di sole acceso che accarezzano insinuanti il verde brillante delle foglie, il grigio lucente dei tronchi e il viola divertito dei ciclamini. Nessuno intorno. Nessuno. Eppure è sabato. E luglio. Camminando con passo regolare e curioso, e cuore indisturbato, c’è tempo di osservare. Ed ecco il frassino grande, sradicato da un temporale almeno vent’anni fa. E’ rimasto lì, con il tronco abbandonato parallelo al suolo, e solo un ciuffo di radici, forse meno di un quinto, ancora attaccate al terreno. Dopo lo shock, il frassino si è detto: “Se c’è anche solo una radice attaccata alla terra, posso ricominciare. Posso continuare a vivere. Ci provo”. E via un ramo, dritto a sembrare un albero vero teso verso il cielo e la linfa arriva, e lui, il primo ramo nuovo, come quelli intorno, cresce di slancio e le piccole radici, rimaste sotterra, prendono coraggio e si allargano di più. E allora ancora, due, tre, sei rami nuovi addirittura, perfettamente dritti, ortogonali al tronco generoso, felici e dritti ad abbracciare il cielo. Il vecchio tronco disteso se li guarda, con un certo gusto. E molto orgoglio. Certo, la posizione non è comoda, ma la linfa che scorre è linfa viva e l’energia delle radici è vera, e la musica delle foglie è quella amica del frassino antico, che del coraggio di vivere ha fatto un monumento, verde e vivo. Cercare frassini coraggiosi diventa un gioco. Un altro, cresciuto alto su una roccia con un groviglio ardito di radici, non è stato da meno. Anche lui, dopo lo squasso violento che lo ha abbattuto, ha ricercato la vita. Accettando di guardare il mondo a testa in giù, ma con i rami nuovi, a sembrare alberi giovani, dritti di felicità a testa in su. Con un tocco di bellezza speciale: le radici scalzate, aggrovigliate e levigate dal tempo, a formare una scultura magnifica. Sembra la Nike di Samotracia, e mai nome – Vittoria – sarebbe più pertinente. Stupenda, hai voglia di accarezzarla con la mano. Per sentire la sua storia ruvida, e la sua voglia di stare ancora nel mondo, al suo posto, con un nuovo equilibrio, un’altra prospettiva e nuova armonia. Gli antichi parlavano di “vis sanatrix naturae”, la forza di cura della natura, e certo il bosco può insegnarci molto, se lo si osserva con attenzione e amore. Salendo ancora, il sentiero è interrotto da una slavina di ghiaccio e neve. Chi si ferma? Si prova a passare a monte, dietro alla slavina, dove la roccia è solida e il terreno è buono. Ha portato via tutto, la slavina, ma non una vecchia rosa selvatica, dal tronco grosso e nodoso, cresciuta in bilico dentro una crepa laterale. E’ rimasta lì, con i rami strappati e malmenati, ma le radici ben adese. E adesso è qui, sorridente e fiorita, protesa verso il sole con i suoi petali rosa, leggiadri in tanta distruzione. Si guarda la valle magnifica, il verde disteso dei boschi lontani, la corona assolata delle vette, il lago di smeraldo in fondovalle. Dopo tanti inverni e tanto freddo e tanta neve, e la paura nera della grande slavina, sorride lieta la vecchia rosa: “Sono ancora viva. E sono qui”.

Ambiente, natura e animali Riflessioni di vita

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