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La morte amica

03/05/2010

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Come vorresti fossero le tue ultime ore? Chi vorresti vicino a te? Come vorresti accomiatarti dal mondo? Nel furore concitato della vita quotidiana, guardiamo al futuro come fossimo eterni. Come se giorni illimitati ci attendessero. Come se le nostre piccole vite avessero fin d’ora luce infinita in questo fragile mondo. Non è così. Basta il sussulto di un vulcano lontano e il cielo si paralizza. Basta un incidente, una malattia, un’inattesa intemperanza della Terra, e tutto finisce in un soffio.
L’amica morte ci accompagna ogni giorno come ombra sottile, leggera. E’ dentro la nostra ombra, visibile per chi si fermi ad osservarla, silenzioso e attento. Dico amica perché, con appropriato dialogo, è preziosa. E’ saggio pensare a lei, di tanto in tanto. E’ saggio guardarla, assorti, e dirle: «So che ci sei. Ma adesso è troppo presto... Tranquilla, sì, mi sto preparando bene. Certo, con calma...». E’ saggio averla amica, come quieta certezza che, per contrasto, dà ancora più luce, più sapore, più intensità struggente di vita ad ogni momento.
La consapevolezza della fugacità, ancorché luminosa e, a tratti, magnifica, dei nostri giorni può aiutarci anche a sciogliere la paura della fine, a smettere di negarne la potente presenza. E, soprattutto, ci aiuta a ripensare al senso della nostra vita, per mettere le priorità in giusta prospettiva. Per continuare a vivere appassionatamente, e più intensamente di prima. Con consapevolezza e lieve distacco. Molto di quello che si sceglie di fare è importante e giusto. Ci sembra urgente e assoluto. Ma al tempo stesso, se lo mettiamo nella prospettiva della vita e del mondo, è così piccolo. E arrabbiarsi per tante stupidaggini diventa irrilevante.
«Sei sicura che la morte ti sia amica?», dirà affettuosamente qualche lettore. Sì, forse per cromosomico ottimismo, forse per educazione, forse per pacificazione, forse per senso concreto della vita. Non la vedo, come Pavese, «insonne, sorda, come un vecchio rimorso o un vizio assurdo». No. E’ diventata sempre più amica col tempo, con la maturità. Ma senza seduzioni per chiusure anticipate. Tutt’altro. E’ amica della passione di vivere. Del curare con intensità e tenerezza gli affetti, familiari e amicali. Del vivere l’amore-passione con un brivido in più. E’ amica del lavorare con responsabilità, attenzione e dedizione, e con divertimento. Imparando a sorridere, a prendersi sul serio a volte, e altre a rimettersi in discussione, con sana autoironia e senso del limite. I giorni, con gli anni, sono diventati veloci, accelerati. In un battito di ciglia è di nuovo estate, o Natale. E allora quest’amica che mi parla gentile nell’ombra leggera mi sussurra: «E’ struggente questa pioggia, non trovi? Guarda questo tramonto, che colori e che nuvole... E questi profumi di primavera improvvisamente tra noi! No, non puoi perderti il profumo del glicine in fiore sulle antiche case alla Giudecca, ad aprile... E quel salmastro, come ci dialoga bene, è una musica. Dai, torna a Venezia, anche per una sera». «Com’è limpida, questa notte. E com’è dolce questa luna... E’ sempre lì, ma chissà perché – dice lei – la vedono solo gli innamorati...».
Ha ragione, quest’amica, che parla anche a te, se l’ascolti. Come è felice una persona, se dici una frase gentile inattesa, che sia un vecchio o un bambino, ma anche il tassista che ti accompagna veloce all’appuntamento. Quel tempo di trasporto senza nome, diventa un momento di incontro, a volte di scambio intenso, in cui ciascuno si sente di esistere per l’altro, solo perché garbo e gentilezza sono così rari da essere carezze inattese che attenuano la fatica di vivere. Fatica che per tutti esiste e, a volte, è feroce.
Ascoltando quest’amica diventa naturale pensare agli ultimi giorni. E prepararli, con calma. Che l’addio sia a casa. Con le persone più amate vicino. Mano nella mano, con una carezza leggera tra i capelli. Con la giusta analgesia, perché il dolore non tolga consapevolezza e non avveleni l’anima. Con silenzi affettuosi, alternati a parole gentili. Con musica amata. Per me, con fiori profumati, il calicanthus che adoro, se sarà inverno, viole e mimose, o lillà, oppure mughetti – che significano “felicità che ritorna” –, rose o ciclamini, a seconda del mese e della stagione. Con una preghiera, per chi crede. Perché è bello dirsi addio – o arrivederci – a casa, con amore, con l’ultimo profumo di vita. Con il senso di una vita compiuta. Sia chiaro, il più tardi possibile. Perché il regalo migliore che la morte amica ci fa, se impariamo a dialogare con lei, è portarci ad amare la vita così profondamente, e consapevolmente, da non perderne nemmeno un sussurro.

Morte e mortalità Riflessioni di vita Tempo

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