«La vita, amico, è l’arte dell’incontro». Questo sosteneva Vinicius de Moraes, poeta, drammaturgo e bon vivant. Così appassionato di incontri, da sposarsi nove volte. Al di là dell’entusiasmo amoroso, forse un po’ tempestoso ed effimero, Moraes tocca il cuore pulsante di una vita ricca di significato. Che cosa c’è, in un incontro? Che cosa ci succede quando siamo aperti, e quanto perdiamo quando ci chiudiamo agli altri? Chi sono stati, per te che leggi, gli incontri essenziali, quelli che ti fanno dire: «Sia benedetta la vita»?
Gli incontri fondamentali cominciano da piccini. Dalla famiglia, dove arriviamo concepiti per desiderio, per caso o per sventura. Il primo colpo di fortuna è sentirsi in sintonia con almeno uno dei due, papà o mamma che sia: quell’intuirsi con un battito di ciglia, uno sguardo, un sorriso. Quell’affinità elettiva che ci fa sentire riconosciuti e amati, nel profondo. E felici di vivere. Altre volte la mamma o il papà non ci sono congeniali. Ed ecco la possibilità di un altro incontro, quella zia simpatica e giramondo, oppure la nonna tostissima, generosa e saggia, o quel nonno burbero che però ti faceva sentire perdonato mentre ti sgridava e più amato di prima. E poi a scuola, fin dalle materne, se si è fortunati. Io mi ricordo ancora suor Cristina, quando andavo all’asilo. Una donna grande, morbida, allegra, con un gran sorriso e un talento naturale che faceva stare benissimo i bambini. Lei era appassionata di teatro, organizzare le recite con i bambini era un divertimento. Allora, in paese, la televisione c’era solo in qualche bar. Le recite erano gremite. E’ lei che mi ha dato a tre-quattro anni il gusto dello stare in scena, di sentire il silenzio attento del pubblico e poi le risate e gli applausi. Un gusto pazzesco, un imprinting, direbbero gli etologi, una ricompensa emozionale (“reward”), direbbero gli psicologi, che non dimentichi più. E’ lei che mi ha fatto intuire l’importanza del prepararsi benissimo, con pazienza e attenzione, ma sempre in un bel gioco, e ripetere a voce alta finché tutto diventa facile e naturale. E così è stato per altri insegnanti preziosi e cardinali per la mia crescita. Quanti di noi hanno trovato in famiglia o a scuola persone davvero speciali per loro? Persone che abbiano fatto la differenza, entusiasmandoci? E quanti di noi, adulti, sentono di essere o essere stati davvero speciali per un bambino, un allievo, un nipote, un amico?
L’incontro speciale non è solo da piccoli. L’amore è il più travolgente degli incontri, ma il più insidioso e, oggi più di ieri, effimero. Quanti degli amori di un giorno, o di anni, ricordate con gioia? E quanti hanno davvero scritto pagine indimenticabili della vostra vita? Anche nel lavoro, gli incontri veri, che creano sodalizi formidabili, che tirano fuori il meglio di noi e della nostra creatività, sono rari. Bisogna essere pronti, aperti e leali. Intuirsi in un secondo e poi costruire un’alleanza di lavoro, con attenzione e impegno, negli anni. E poi ci sono gli incontri misteriosi, la conversazione straordinaria (e rara) su un treno, che ti accende lo sguardo su un orizzonte impensato. La persona scende e scompare. Ma resta una conversazione di luce. E gli incontri di viaggio. E’ bello poter ringraziare la vita per gli incontri che ci ha regalato. Tanti, se siamo aperti, curiosi, con le antenne del cuore e della mente recettive.
E gli animali? Ecco l’incontro più inatteso, e l’arte dell’assaporarlo. L’ultimo, tre anni fa, la gattina selvatica che vive nel bosco, arrivata sulla porta di casa all’Elba in una sera di pioggia, tutta pelle e urli. Terrorizzata, morta di fame, non si faceva sfiorare, sempre in fuga, con le unghie fuori. Trillina, l’ho chiamata, bianca, rossa e nera, con gli occhioni verde acqua. L’ho acquietata con pazienza, piano piano. A Natale, mi è saltata in braccio, con ronfe pazzesche. Quando parto, torna nel bosco, libera. Ho sempre avuto gatti, a casa, belli e affettuosi, ma nessuno mi mai ha seguito come un’ombra, come fa lei. O mi sta in braccio per ore, mentre scrivo o leggo, rendendomi misteriosamente felice, con questa quiete consapevole e intensa, e uno sguardo in cui abitano tutta la dolcezza della vita e del mondo.
Gli incontri fondamentali cominciano da piccini. Dalla famiglia, dove arriviamo concepiti per desiderio, per caso o per sventura. Il primo colpo di fortuna è sentirsi in sintonia con almeno uno dei due, papà o mamma che sia: quell’intuirsi con un battito di ciglia, uno sguardo, un sorriso. Quell’affinità elettiva che ci fa sentire riconosciuti e amati, nel profondo. E felici di vivere. Altre volte la mamma o il papà non ci sono congeniali. Ed ecco la possibilità di un altro incontro, quella zia simpatica e giramondo, oppure la nonna tostissima, generosa e saggia, o quel nonno burbero che però ti faceva sentire perdonato mentre ti sgridava e più amato di prima. E poi a scuola, fin dalle materne, se si è fortunati. Io mi ricordo ancora suor Cristina, quando andavo all’asilo. Una donna grande, morbida, allegra, con un gran sorriso e un talento naturale che faceva stare benissimo i bambini. Lei era appassionata di teatro, organizzare le recite con i bambini era un divertimento. Allora, in paese, la televisione c’era solo in qualche bar. Le recite erano gremite. E’ lei che mi ha dato a tre-quattro anni il gusto dello stare in scena, di sentire il silenzio attento del pubblico e poi le risate e gli applausi. Un gusto pazzesco, un imprinting, direbbero gli etologi, una ricompensa emozionale (“reward”), direbbero gli psicologi, che non dimentichi più. E’ lei che mi ha fatto intuire l’importanza del prepararsi benissimo, con pazienza e attenzione, ma sempre in un bel gioco, e ripetere a voce alta finché tutto diventa facile e naturale. E così è stato per altri insegnanti preziosi e cardinali per la mia crescita. Quanti di noi hanno trovato in famiglia o a scuola persone davvero speciali per loro? Persone che abbiano fatto la differenza, entusiasmandoci? E quanti di noi, adulti, sentono di essere o essere stati davvero speciali per un bambino, un allievo, un nipote, un amico?
L’incontro speciale non è solo da piccoli. L’amore è il più travolgente degli incontri, ma il più insidioso e, oggi più di ieri, effimero. Quanti degli amori di un giorno, o di anni, ricordate con gioia? E quanti hanno davvero scritto pagine indimenticabili della vostra vita? Anche nel lavoro, gli incontri veri, che creano sodalizi formidabili, che tirano fuori il meglio di noi e della nostra creatività, sono rari. Bisogna essere pronti, aperti e leali. Intuirsi in un secondo e poi costruire un’alleanza di lavoro, con attenzione e impegno, negli anni. E poi ci sono gli incontri misteriosi, la conversazione straordinaria (e rara) su un treno, che ti accende lo sguardo su un orizzonte impensato. La persona scende e scompare. Ma resta una conversazione di luce. E gli incontri di viaggio. E’ bello poter ringraziare la vita per gli incontri che ci ha regalato. Tanti, se siamo aperti, curiosi, con le antenne del cuore e della mente recettive.
E gli animali? Ecco l’incontro più inatteso, e l’arte dell’assaporarlo. L’ultimo, tre anni fa, la gattina selvatica che vive nel bosco, arrivata sulla porta di casa all’Elba in una sera di pioggia, tutta pelle e urli. Terrorizzata, morta di fame, non si faceva sfiorare, sempre in fuga, con le unghie fuori. Trillina, l’ho chiamata, bianca, rossa e nera, con gli occhioni verde acqua. L’ho acquietata con pazienza, piano piano. A Natale, mi è saltata in braccio, con ronfe pazzesche. Quando parto, torna nel bosco, libera. Ho sempre avuto gatti, a casa, belli e affettuosi, ma nessuno mi mai ha seguito come un’ombra, come fa lei. O mi sta in braccio per ore, mentre scrivo o leggo, rendendomi misteriosamente felice, con questa quiete consapevole e intensa, e uno sguardo in cui abitano tutta la dolcezza della vita e del mondo.