Protestare leggendo: ecco un raro esempio di capacità di essere unici stando insieme. Di condividere una protesta e far pensare senza distruggere. Di sottolineare una differenza di pensiero, di opinione, di posizione con in mano il più forte simbolo di indipendenza: un libro. Simbolo potente di capacità di concentrazione, di riflessione, di differenza. Simbolo per eccellenza di solitudine scelta, creativa, assaporata, capace di essere felice.
Questa capacità di presenza forte e silenziosa, col libro in mano, l’abbiamo vista in Turchia, con la protesta pacifica dell’“uomo in piedi”, ideata dal coreografo turco Erdem Gunduz, in piazza Taksim, a Istanbul, il 17 giugno 2013. La vediamo da giorni, a Parigi, in Place Vendôme, organizzata dagli oppositori del “mariage pour tous” (il matrimonio tra omosessuali). In tempo di rivoluzioni che stanno attraversando veloci tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, con tumulti di piazza giganteschi, colossali, paurosi, che hanno lasciato sul terreno decine di morti, fa riflettere che qualcuno sia riuscito a pensare e proporre un modo di protestare radicalmente diverso. Antitetico al corteo, alla folla in piazza, al movimento oceanico in cui il singolo si perde, viene travolto, a volte lasciandoci la vita. In cui l’adesione, anche fortissima, a un ideale, a un sogno o a un progetto di cambiamento, si fonde nel movimento di massa perdendo però la propria unicità.
E’ straordinaria la potenza simbolica di questo gesto: qual è l’identikit di questi originali manifestanti? Uomini e donne di ogni età, che in tutta evidenza non amano la forza come mezzo per cambiare le cose. Non sono facinorosi, violenti, collerici, distruttivi. Non amano il rumore, le spranghe, la distruzione di oggetti e la collusione fisica: non li considerano argomenti di cambiamento. Non amano gli insulti, la denigrazione, la diffamazione. Amano la passione civile espressa da ciascuno come individuo unico che pensa, riflette e sceglie. Che sta in piedi, in silenzio, con un libro in mano, leggendo. Alla distanza sufficiente, dagli altri, per non incorrere nella fattispecie di manifestazione non autorizzata. Una distanza che, al di là della necessità specifica, è anche espressione della distanza reale e simbolica che separa chi legge, finché legge, dagli altri. Una sorta di spazio-tempo sospeso, fatto di pensieri, di emozioni, di sogni, che separa il lettore dagli altri e lo immerge in altri mondi, altri tempi, altre atmosfere.
Ho sempre amato moltissimo leggere, fin da piccola, con una felicità di immaginazione immensa: e ringrazio i miei genitori, i miei nonni, i miei insegnanti, per avermi incoraggiata a coltivare questa passione che mi potrà accompagnare con gioia fino agli ultimi giorni, come è stato per tutti i grandi vecchi della mia famiglia. Anche quando siamo ammalati – purché mentalmente vivi – il libro resta un potentissimo analgesico della fatica di vivere. E’ un piacere squisito, ma anche un allenamento all’indipendenza di pensiero, alla capacità di esplorare altri mondi possibili, alla bellezza di sentimenti, di espressioni e di parole, di poesia, di visioni dell’esistenza, alla riflessione sul proprio significato nel mondo.
In Italia, legge il 72% dei bambini e adolescenti tra i 6 e i 14 anni, se i genitori leggono; cala al 39% se i genitori non leggono. Chi legge, appartiene per definizione a un ceto superiore, il ceto colto, dotato di secolare prestigio. Perché frequenta (anche) mondi diversi dal tangibile, dal terreno, dal concreto, preziosi per immaginare poi cambiamenti sostanziali della realtà quotidiana. Pensati prima nel grembo psichico, e poi agiti.
L’originalità, il colpo di genio, sta nell’aver unito il più forte simbolo dell’individualità e dell’interiorità, il libro, con il suo opposto, la protesta di piazza. Scegliamo di leggere, ancora, e appassioniamo i nostri piccoli a leggere, per farne davvero uomini e donne liberi, nella mente e nella vita. Capaci di scelte indipendenti e di opposizione costruttiva.
Questa capacità di presenza forte e silenziosa, col libro in mano, l’abbiamo vista in Turchia, con la protesta pacifica dell’“uomo in piedi”, ideata dal coreografo turco Erdem Gunduz, in piazza Taksim, a Istanbul, il 17 giugno 2013. La vediamo da giorni, a Parigi, in Place Vendôme, organizzata dagli oppositori del “mariage pour tous” (il matrimonio tra omosessuali). In tempo di rivoluzioni che stanno attraversando veloci tutti i Paesi che si affacciano sul Mediterraneo, con tumulti di piazza giganteschi, colossali, paurosi, che hanno lasciato sul terreno decine di morti, fa riflettere che qualcuno sia riuscito a pensare e proporre un modo di protestare radicalmente diverso. Antitetico al corteo, alla folla in piazza, al movimento oceanico in cui il singolo si perde, viene travolto, a volte lasciandoci la vita. In cui l’adesione, anche fortissima, a un ideale, a un sogno o a un progetto di cambiamento, si fonde nel movimento di massa perdendo però la propria unicità.
E’ straordinaria la potenza simbolica di questo gesto: qual è l’identikit di questi originali manifestanti? Uomini e donne di ogni età, che in tutta evidenza non amano la forza come mezzo per cambiare le cose. Non sono facinorosi, violenti, collerici, distruttivi. Non amano il rumore, le spranghe, la distruzione di oggetti e la collusione fisica: non li considerano argomenti di cambiamento. Non amano gli insulti, la denigrazione, la diffamazione. Amano la passione civile espressa da ciascuno come individuo unico che pensa, riflette e sceglie. Che sta in piedi, in silenzio, con un libro in mano, leggendo. Alla distanza sufficiente, dagli altri, per non incorrere nella fattispecie di manifestazione non autorizzata. Una distanza che, al di là della necessità specifica, è anche espressione della distanza reale e simbolica che separa chi legge, finché legge, dagli altri. Una sorta di spazio-tempo sospeso, fatto di pensieri, di emozioni, di sogni, che separa il lettore dagli altri e lo immerge in altri mondi, altri tempi, altre atmosfere.
Ho sempre amato moltissimo leggere, fin da piccola, con una felicità di immaginazione immensa: e ringrazio i miei genitori, i miei nonni, i miei insegnanti, per avermi incoraggiata a coltivare questa passione che mi potrà accompagnare con gioia fino agli ultimi giorni, come è stato per tutti i grandi vecchi della mia famiglia. Anche quando siamo ammalati – purché mentalmente vivi – il libro resta un potentissimo analgesico della fatica di vivere. E’ un piacere squisito, ma anche un allenamento all’indipendenza di pensiero, alla capacità di esplorare altri mondi possibili, alla bellezza di sentimenti, di espressioni e di parole, di poesia, di visioni dell’esistenza, alla riflessione sul proprio significato nel mondo.
In Italia, legge il 72% dei bambini e adolescenti tra i 6 e i 14 anni, se i genitori leggono; cala al 39% se i genitori non leggono. Chi legge, appartiene per definizione a un ceto superiore, il ceto colto, dotato di secolare prestigio. Perché frequenta (anche) mondi diversi dal tangibile, dal terreno, dal concreto, preziosi per immaginare poi cambiamenti sostanziali della realtà quotidiana. Pensati prima nel grembo psichico, e poi agiti.
L’originalità, il colpo di genio, sta nell’aver unito il più forte simbolo dell’individualità e dell’interiorità, il libro, con il suo opposto, la protesta di piazza. Scegliamo di leggere, ancora, e appassioniamo i nostri piccoli a leggere, per farne davvero uomini e donne liberi, nella mente e nella vita. Capaci di scelte indipendenti e di opposizione costruttiva.