Stasera, lunedì, ora americana, il presidente eletto Obama nominerà un triumvirato, in realtà due uomini e una donna, che saranno il fiore all’occhiello del suo sistema di sicurezza nazionale. Questo secondo fonti democratiche bene informate, subito riprese dalla CNN. Chi sono i possibili eletti? Di nuovo Obama sta mostrando quelle caratteristiche di sicurezza interiore, sulla scia del felice pragmatismo inaugurato da Abramo Lincoln, che gli consentono di scegliere i collaboratori in base alle effettive qualità e non al fatto che in un passato, anche recentissimo, fossero suoi avversari, di partito o addirittura del partito oggi ancora in carica, il repubblicano.
Tre assi: Hillary Clinton come segretario di stato. Se così sarà, e sembra molto probabile, con questa scelta felice Obama si assicura un risultato di lunga durata: una collaboratrice di altissimo livello, e per di più già allenata ai contatti, agli scenari, alle liturgie e alle complessità internazionali in otto anni da first lady di Bill Clinton. Una donna tosta, determinata, consapevole dell’importanza del ruolo che la nomina porta in dono e della pacificazione che questo implica per le sue ambizioni. Pacificata, porterà le sue energie, notevoli, e il suo strutturato sapere politico, anche internazionale, a compattare il fronte sul quale Obama era considerato più debole: proprio quello dei rapporti internazionali. Il team Billary (nell’ombra Bill, che ha ancora molto da farsi perdonare, sarà un consulente intuitivo e capace, come è stato da Presidente) sarà senz’altro utile in un mondo in cui i rapporti personali continuano a contare moltissimo. E ci sarà così continuità nel rinnovamento: una scelta coraggiosa e sapiente. Ma i ritorni non si limitano al team Billary: con Hillary segretario di Stato Obama pacifica anche le molte donne democratiche che avevano sostenuto a spada tratta Hillary e che non aveva digerito il suo ritiro dalla corsa per la nomination. Deluse, non si erano rivolte a sostenere la Palin, per la sua pochezza e inconsistenza politica, dopo il fuoco di paglia mediatico durato due settimane (le uniche in cui Obama era sceso nettamente nei sondaggi). Il che, in margine, dimostra come “l’effetto donna”, l’immagine e le strategie comunicative contano, se c’è poi sostanza, altrimenti diventano un boomerang. E si pacificheranno, almeno un po’, quanti temevano l’inesperienza del futuro presidente-eletto proprio sul fronte della gestione della sicurezza, nei rapporti internazionali.
Dimostrando acume di giudizio, e capacità di pensare fuori dagli schemi (anche nostrani, perché da noi la regola è: al governo solo quelli del mio partito), Obama probabilmente sceglierà due altre figure di spicco, di nuovo mostrando che il concetto di cambiamento non segue la filosofia della rottura, ma del servizio per una trasformazione che porti effettivamente a cambiare le cose. Ecco perché probabilmente confermerà addirittura un repubblicano, Robert Gates, a segretario alla Difesa. Un uomo stimato e che entrambi i partiti ritengono abbia lavorato molto bene. Si è mai vista in Italia una scelta simile? Dulcis in fundo, perché non si può parlare di sicurezza e di pace se non si conosce in prima persona la guerra, e la guerra dura, potrebbe puntare su un altro fiore all’occhiello dello scenario militare: il generale dei Marines Jim Jones, 64 anni, in pensione dal 2007, dopo 40 anni di servizio. Un curriculum da capogiro, con onorificenze internazionali che ne mostrano il calibro e la stima di cui gode in Paesi diversissimi (vedere Wikipedia). Jones, tra l’altro, nel recente passato per due volte ha detto di no alla proposta di diventare consulente di Condoleeza Rice. Un tosto, dunque, che non cerca il ruolo per il ruolo, che ha vissuto la guerra del Vietnam e del Golfo, e ha chiuso la carriera come “Supreme Allied Commander, Europe” (SACEUR) (2003-2006). Non un pensionato, in verità, anzi attualmente è capo del Consiglio Atlantico degli Stati Uniti.
Con questo trio, se confermato stasera, Obama placherà moltissime ansie interne. Ma anche internazionali. Esperienza, competenza, lealtà, forza, continuità, spirito di squadra, oltre le barriere e gli scontri passati: questi i denominatori cercati in un processo di selezione sottile e profondo, che sta portando alla ribalta nomi comunque di prestigio e qualità indiscussi, innanzitutto negli USA. Se il buongiorno si vede dal mattino, anche con queste nomine, e le simili che farà, Obama sta mostrando di saper scegliere. E si sa: è la qualità dei collaboratori che qualifica il capo.
In margine, rispondo ai molti lettori che mi chiedono: perché ogni tanto fa incursioni nella politica estera? Perché mi sento cittadina del mondo, e le vicende del mondo mi appassionano. E perché mi piace condividere uno sguardo che mantiene la mia competenza di lettura su motivazioni e comportamenti umani. Passioni e solitudini abitano il piccolo mondo nelle nostre vite individuali e il grande mondo internazionale, che condiziona poi le nostre esistenze in modo capillare e, a volte, angosciante: basti pensare, nel passato recente, all’11 settembre o, adesso, alle stragi di Mumbai (ex Bombay). E perché le strategie, vincenti o perdenti, altrui, anche americane, ci possono insegnare molto perfino per la nostra vita quotidiana. E qui, anche sulle scelte di questo giovane presidente-eletto, c’è molto su cui riflettere e da cui imparare. L’uomo davvero in gamba, sceglie collaboratori molto in gamba. E non mezze tacche, perché non gli facciano ombra, come spesso si fa da noi, e non solo in politica. Basti pensare a molte nostre Università.
Tre assi: Hillary Clinton come segretario di stato. Se così sarà, e sembra molto probabile, con questa scelta felice Obama si assicura un risultato di lunga durata: una collaboratrice di altissimo livello, e per di più già allenata ai contatti, agli scenari, alle liturgie e alle complessità internazionali in otto anni da first lady di Bill Clinton. Una donna tosta, determinata, consapevole dell’importanza del ruolo che la nomina porta in dono e della pacificazione che questo implica per le sue ambizioni. Pacificata, porterà le sue energie, notevoli, e il suo strutturato sapere politico, anche internazionale, a compattare il fronte sul quale Obama era considerato più debole: proprio quello dei rapporti internazionali. Il team Billary (nell’ombra Bill, che ha ancora molto da farsi perdonare, sarà un consulente intuitivo e capace, come è stato da Presidente) sarà senz’altro utile in un mondo in cui i rapporti personali continuano a contare moltissimo. E ci sarà così continuità nel rinnovamento: una scelta coraggiosa e sapiente. Ma i ritorni non si limitano al team Billary: con Hillary segretario di Stato Obama pacifica anche le molte donne democratiche che avevano sostenuto a spada tratta Hillary e che non aveva digerito il suo ritiro dalla corsa per la nomination. Deluse, non si erano rivolte a sostenere la Palin, per la sua pochezza e inconsistenza politica, dopo il fuoco di paglia mediatico durato due settimane (le uniche in cui Obama era sceso nettamente nei sondaggi). Il che, in margine, dimostra come “l’effetto donna”, l’immagine e le strategie comunicative contano, se c’è poi sostanza, altrimenti diventano un boomerang. E si pacificheranno, almeno un po’, quanti temevano l’inesperienza del futuro presidente-eletto proprio sul fronte della gestione della sicurezza, nei rapporti internazionali.
Dimostrando acume di giudizio, e capacità di pensare fuori dagli schemi (anche nostrani, perché da noi la regola è: al governo solo quelli del mio partito), Obama probabilmente sceglierà due altre figure di spicco, di nuovo mostrando che il concetto di cambiamento non segue la filosofia della rottura, ma del servizio per una trasformazione che porti effettivamente a cambiare le cose. Ecco perché probabilmente confermerà addirittura un repubblicano, Robert Gates, a segretario alla Difesa. Un uomo stimato e che entrambi i partiti ritengono abbia lavorato molto bene. Si è mai vista in Italia una scelta simile? Dulcis in fundo, perché non si può parlare di sicurezza e di pace se non si conosce in prima persona la guerra, e la guerra dura, potrebbe puntare su un altro fiore all’occhiello dello scenario militare: il generale dei Marines Jim Jones, 64 anni, in pensione dal 2007, dopo 40 anni di servizio. Un curriculum da capogiro, con onorificenze internazionali che ne mostrano il calibro e la stima di cui gode in Paesi diversissimi (vedere Wikipedia). Jones, tra l’altro, nel recente passato per due volte ha detto di no alla proposta di diventare consulente di Condoleeza Rice. Un tosto, dunque, che non cerca il ruolo per il ruolo, che ha vissuto la guerra del Vietnam e del Golfo, e ha chiuso la carriera come “Supreme Allied Commander, Europe” (SACEUR) (2003-2006). Non un pensionato, in verità, anzi attualmente è capo del Consiglio Atlantico degli Stati Uniti.
Con questo trio, se confermato stasera, Obama placherà moltissime ansie interne. Ma anche internazionali. Esperienza, competenza, lealtà, forza, continuità, spirito di squadra, oltre le barriere e gli scontri passati: questi i denominatori cercati in un processo di selezione sottile e profondo, che sta portando alla ribalta nomi comunque di prestigio e qualità indiscussi, innanzitutto negli USA. Se il buongiorno si vede dal mattino, anche con queste nomine, e le simili che farà, Obama sta mostrando di saper scegliere. E si sa: è la qualità dei collaboratori che qualifica il capo.
In margine, rispondo ai molti lettori che mi chiedono: perché ogni tanto fa incursioni nella politica estera? Perché mi sento cittadina del mondo, e le vicende del mondo mi appassionano. E perché mi piace condividere uno sguardo che mantiene la mia competenza di lettura su motivazioni e comportamenti umani. Passioni e solitudini abitano il piccolo mondo nelle nostre vite individuali e il grande mondo internazionale, che condiziona poi le nostre esistenze in modo capillare e, a volte, angosciante: basti pensare, nel passato recente, all’11 settembre o, adesso, alle stragi di Mumbai (ex Bombay). E perché le strategie, vincenti o perdenti, altrui, anche americane, ci possono insegnare molto perfino per la nostra vita quotidiana. E qui, anche sulle scelte di questo giovane presidente-eletto, c’è molto su cui riflettere e da cui imparare. L’uomo davvero in gamba, sceglie collaboratori molto in gamba. E non mezze tacche, perché non gli facciano ombra, come spesso si fa da noi, e non solo in politica. Basti pensare a molte nostre Università.