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Lo sguardo dell'alleanza fra medico e paziente

Lo sguardo dell'alleanza fra medico e paziente
27/02/2023

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica
H. San Raffaele Resnati, Milano

La ragazza ha lo sguardo cupo e lontano. Sovrappeso, trascurata, una laurea nel cassetto, incapace di uscire dalla tana-casa dove due genitori la vivono come una delusione e un fallimento permanente. Dopo sette anni di autoreclusione, sorda a ogni tentativo di stimolarla a riconfrontarsi con la vita, accetta di parlare con un vecchio psichiatra. Uno di quei medici ormai rari che hanno davvero a cuore il loro paziente, che riescono a guardarlo negli occhi, con attenta tenerezza, soprattutto se è giovane e in difficoltà con la vita. E che con quello sguardo, che accoglie con un sorriso buono, e il cuore in ascolto, riesce a farlo sentire unico e accolto nella sua verità, anche molto problematica: persona e giovane vita ripiegata con dolore su di sé, prima che malattia che cammina.
Non è solo questione di sguardo. Quel medico, con tanti decenni di esperienza professionale alle spalle, non guarda solo la trappola di nera depressione che reclude la vita dei pazienti. Nel corso dell’accurato primo colloquio, indaga aspetti clinici che oggi pochi psichiatri e psicoterapeuti considerano nelle donne: la salute mestruale. «Come vanno le mestruazioni?», le chiede. «Un incubo! Sono tanto abbondanti, i primi due giorni ho anche coaguli, mi sento uno straccio. E sono così dolorose che non mi alzo nemmeno dal letto per tre giorni». Lo psichiatra chiede un emocromo, la sideremia. La ragazza è molto anemica. «L’anemia divora energia vitale e raddoppia la depressione. Il dolore invalidante fa il resto. La mando dalla ginecologa che la può aiutare su questi fronti. Sicuramente si sentirà molto meglio. Se lavoriamo bene insieme, vedrà che anche nella sua vita personale tornerà il sereno!».
La giovane donna mi racconta quel colloquio, con gratitudine. «Per la prima volta mi sono sentita una donna con problemi di salute curabili, e non un fallimento permanente che cammina. Con quel modo di guardarmi, di incoraggiarmi con lo sguardo che mi dava fiducia, è come se mi avesse gettato un salvagente a cui aggrapparmi. Quello psichiatra, così attento alla mia salute fisica e non solo mentale, ha dato più concretezza ai miei problemi. Come uscire dalla nebbia e tornare a rivedere il sole. Vedi gli ostacoli più chiari. E se li vedi bene, li puoi superare. Anche i mei genitori, adesso, mi guardano in un altro modo…».
Il vecchio medico ha visto giusto: cicli abbondanti, molto dolorosi, e anemia importante da carenza di ferro, divorano l’energia vitale e peggiorano la depressione. Una pillola in continua, mestruazioni silenziate per un po’, integrazione di ferro e vitamine del gruppo B, opportuna integrazione antidepressiva aiutano la giovane donna a sentire rinascere l’energia vitale e la fiducia in sé stessa. Con più energia, inizia a camminare al mattino, all’aperto, come sempre raccomando, comincia a perdere peso, a curarsi di più. La psicoterapia, con il saggio psichiatra, procede spedita.
Un anno dopo, il “fallimento che cammina” è una giovane donna che ha ritrovato la sua musica. I talenti schiacciati dall’anemia, dalla depressione, dall’autoreclusione, dal giudizio negativo anche dei genitori, tornano pian piano a emergere e a fiorire. Ha ripreso gli studi, per un master di perfezionamento.
E’ commovente vedere giovani creature riemergere dall’assenza di vita e dall’aura nera e colpevolizzante del fallimento. E’ una storia paradigmatica che merita di essere condivisa per alcune considerazioni. La prima: una doverosa autocritica verso la medicina contemporanea, super-tecnologica, che fa mille esami, e “reifica il paziente”, come diceva Wilhelm Reich, rendendolo un oggetto malato (o deteriorato), anzi un insieme di organi oggetto, che (quasi) più nessuno si preoccupa di mettere insieme. Una medicina che non guarda più la persona. Se il medico guarda negli occhi, invece di guardare solo lo schermo del computer, se stabilisce una relazione di fiducia che passa attraverso lo sguardo, il sorriso, il tono di voce, l’atteggiamento non verbale, sorretti da un’indubbia competenza e una vasta esperienza clinica, garantisce il primo strumento di cura: l’alleanza vera e profonda tra medico e paziente, il patto di fiducia reciproca, il fare squadra insieme, che è la premessa per cercare di uscire al meglio anche dalle situazioni più difficili. La seconda: la necessità di dedicare molta più attenzione diagnostica e terapeutica ai disturbi del ciclo, flussi abbondanti e dolorosi, e anemia associata, che spesso alimentano e mantengono depressioni che psicofarmaci e psicoterapia, da soli, non riescono a risolvere. La terza: l’urgenza di riportare al centro della formazione medica la competenza internistica generale, prima di quella iper-specialistica, e l’educazione a ri-guardare il paziente e la paziente come persona che soffre e sta chiedendo aiuto, prima che come un organo malato. Cercando di saldare la frattura che ha percorso tutto il Novecento tra una “medicina senz’anima” e una “psicologia senza corpo”, come diceva Aleksandr Lurija. Ripararla è urgente.

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