Solo chi ha conosciuto la sconfitta può assaporare appieno il gusto di vincere. Anticipato, sognato, perseguito, cercato, con costanza e determinazione, soprattutto in tempi difficili. Ma senza sedersi sugli allori, come molti italiani fanno, non solo nel calcio, quando al primo risultato sembra che abbiano già vinto il mondiale o le olimpiadi. Sobrietà di analisi e toni, anche questo è essenziale quando si persegue un obiettivo lungo una strada dalle molte insidie, interiori prima che ambientali.
Lo sport è un grande coach di corpo e mente, fin da bambini, ad alcune condizioni: se il tipo di sport è scelto spontaneamente dal piccolo perché gli/le piace, senza pressioni familiari; se lo fa per giocare, per divertirsi, senza angosce sul risultato, che verrà comunque, quando lo sport è praticato con passione, disciplina, entusiasmo, impegno; se è espressivo di talenti, vocazioni, abilità motorie ed emotive, e non è difensivo o dopato.
Fa bene perché l’attività fisica, focalizzata su un obiettivo e caratterizzata da regole precise, come succede nello sport, è un formidabile fattore di identità personale. «L’Io è innanzitutto un Io corporeo», diceva Sigmund Freud: perché noi siamo la verità del nostro corpo, nella salute come nella malattia, nell’eccellenza sportiva come nell’amore. Identità, ma anche integrazione: la competenza motoria, la bravura nello sport, definisce il “rango” e il livello di accettazione nel gruppo dei coetanei e degli amici. Più sei fisicamente atletico, più sale il testosterone, più le regole di aggregazione nel gruppo sono dettate da leggi antiche e primitive, che il successo nello sport fa muovere nella direzione del rispetto e dell’ammirazione. In più, lo sport allena diverse forme di intelligenza: motoria, emotiva e sociale, ma anche tattica e strategica. Tutte hanno uno base genetica e, ben sviluppate, fanno la differenza tra il grande atleta e il campione. Perché implicano un quid in più: una migliore capacità di gestione del tempo e dell’attesa, nella preparazione atletica, nella gestione di sé, del corpo e dei ritmi di lavoro prima di un appuntamento importante, ma anche nella conduzione della gara stessa. Qualità che fanno poi l’eccellenza in tutti i campi della vita.
Lo sport canalizza e scarica le emozioni negative, che altrimenti sono tossiche per corpo e mente. E, se ben vissuto, carica le pile della mente e della vita con energia pulita: coraggio, determinazione, costanza, onestà, lealtà, capacità di autocritica. Soprattutto se gli allenatori (e i genitori!) coltivano queste qualità nella loro vita personale: perché, si sa, le parole volano, gli esempi trascinano. Con lo sport, poi, si impara un metodo: di allenamento, di studio, di lavoro. Metodo che latita invece in bambini e adolescenti che non lo praticano. Metodo per allenarsi, ma anche per ottimizzare il tempo dello studio, e, più avanti, del lavoro, se non si è sportivi professionisti. Metodo per acquisire disciplina, nell’allenamento e nella vita. In nessuno sport esiste il colpo di genio, se non c’è una solidissima e quotidiana preparazione fisica e mentale. L’improvvisazione non fa vincere. Nello sport il ragazzo vive sulla propria pelle – e nella propria mente – che per migliorare bisogna impegnarsi in prima persona e faticare con costanza, tutti i giorni, senza alibi e senza storie. Impara che nel gruppo la responsabilità individuale è parte essenziale della responsabilità collettiva: il tuo andar male può far andare a picco la squadra. Comprende, vivendolo nel gioco quotidiano, che l’intelligenza motoria – l’essere esecutivamente agili, brillanti, potenti, creativi ed efficaci – si esalta se accompagnata dall’intelligenza emotiva, che sta alla base anche della capacità di intuire l’altro, di amare e essere amati, stabilendo rapporti sani, dall’amicizia alla solidarietà, nella squadra e nella vita.
Ci sono aspetti negativi, nello sport? Sì. Li vedremo nel prossimo appuntamento.
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