La dicotomia natura-cultura, così forte nelle nostre regioni, contribuisce a ridurre la nostra fertilità: la media italiana di 1.4 figli per donna colloca il nostro Paese tra i meno fertili d’Europa. Non solo. Contendiamo all’Irlanda la più alta età media al primo parto (31 anni e tre mesi), ma vinciamo senza rivali il primato di maggior percentuale di donne che hanno il primo figlio dopo i quarant’anni.
Tra le eroine che riescono a realizzare il triathlon più difficile del mondo (essere mamme presenti, mogli vivaci e professioniste soddisfatte) ci sono le donne acrobate, tipologia di grande interesse per le peculiarità che presenta: grande solidità del carattere, baricentro emotivo piazzato, visione concreta della vita, pochissima vulnerabilità all’ansia, ottima energia vitale, obiettivi grandi ma senso del tempo e della misura nel realizzarli: bravissime nel gestire con naturalezza lo stress, senza farsene (troppo) distruggere. Ce ne sono molte, in Veneto, soprattutto tra le imprenditrici di piccole e medie aziende, capaci di avere belle famiglie, con uno-due e perfino tre figli, mariti presenti e un lavoro di cui sono contente: ma la loro età media si colloca intorno ai cinquant’anni. Il loro start-up è coinciso con l’avere una coppia stabile, il matrimonio con un uomo affidabile e figli abbastanza presto, e poi un graduale investimento sul lavoro.
Per le donne più giovani, il triathlon è diventato molto più difficile: l’iter di studio è più lungo, i maschi più immaturi, le coppie molto più labili, i redditi più precari. Di conseguenza, i figli si hanno sempre più tardi, con il rischio concretissimo di non averli. Ed ecco il gruppo in crescita: le “non madri”, non per scelta serena, ma per inerzia, destino, eventi avversi, realismo, paura, sfiducia, solitudine.
Le “non madri” per scelta interiore, serena, pacata e definitiva, sono poche. Felici, vivono una vita appagante, senza rimpianti. Hanno investito sull’autonomia, la realizzazione personale, la bellezza, come stile interiore. Innamorate della vita, navigatrici solitarie del tempo, possono innamorarsi, appassionarsi, vivere affetti significativi e profondi. Libere dentro, tuttavia, non amano le convivenze protratte, con le loro reti invisibili e pervadenti, i loro limiti, la loro tendenza a tenerle ancorate sull’ieri.
Le “non madri” per assenza – del partner giusto, del momento giusto, del contesto giusto, del coraggio adeguato (ci vuole anche coraggio, per essere madri, oggi) – non sono felici. Si adattano, se ne fanno una ragione anche, ma resta dentro il cuore un’ombra di tristezza per quella parte di sé incompiuta, non realizzata, amputata. Ombra che diventa un baratro di dolore se l’essere mamma era un sogno a lungo coltivato, il baricentro del progetto di sé nella vita e nel mondo.
E gli uomini, loro, come si muovono, in questo scenario di infertilità complessa? Più fortunati, hanno la chance biologica di poter concepire un figlio anche a ottant’anni. Non sentono l’urgenza del tempo, possono consentirsi adolescenze prolungatissime da Peter pan farfalloni amorosi, fare esperienza della vita senza responsabilità di prole. E avere poi figli tardi, con una fanciulla in fiore.
E’ una tendenza generalizzata nel mondo occidentale? Non proprio. In Olanda, le coppie hanno figli presto e le donne possono investire sul lavoro e sulla famiglia, sempre con molto impegno ma senza aut-aut. I fattori critici? Maschi più indipendenti dalla famiglia di origine, più autonomi, più capaci di vedere il figlio non come limite ma come arricchimento della vita anche nella prima maturità, tra i venticinque e i trent’anni, capaci di assumersi e condividere le responsabilità di una famiglia. E servizi sociali adeguati. Purtroppo (anche) per entrambi questi aspetti l’Italia è in piena regressione e non si vede luce, all’orizzonte.
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