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Menopausa precoce: cause, sintomi, terapia

Menopausa precoce: cause, sintomi, terapia
06/05/2015


Intervista alla Prof.ssa Alessandra Graziottin
Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano
Giulia ha 40 anni, soffre di disturbi alimentari dall’adolescenza ed è appena andata in menopausa anticipata. Come Ada, che ha subito la stessa sorte a 37 anni, dopo un intervento di rimozione delle ovaie per cisti sospette. Ancora più cattivo il destino con Marika, menopausa precoce a 28 anni in seguito alla chemioterapia per tumore al seno.
La fine della vita fertile in età giovanile è un fenomeno tutt’altro che raro, ma se ne parla poco. Di recente, però, il tema è stato oggetto di un corso ECM organizzato dalla Fondazione Alessandra Graziottin per la cura del dolore nella donna Onlus (fondazionegraziottin.org): “Menopausa precoce, dal dolore alla salute”.
«Non si è mai abbastanza giovani per non andare in menopausa», sintetizza la professoressa Graziottin, direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano. «La fine del ciclo mestruale è fisiologica tra i 45 e i 55 anni. Si parla di menopausa precoce se si verifica prima dei quarant’anni, e anticipata tra i 40 e i 45», continua la professoressa. «A volte è spontanea (1 per cento delle italiane), per fattori genetici, ambientali o legati allo stile di vita. Si tratta comunque di un trauma per molte donne, che mentalmente si sentono trent’anni, anagraficamente ne hanno quaranta o meno, e biologicamente si trovano a fare i conti con un livello ormonale da cinquantenne. In un altro 4-5 per cento circa delle donne, è invece iatrogena, cioè una conseguenza di cure mediche: interventi chirurgici di asportazione delle ovaie (per esempio per endometriosi), chemioterapia o radioterapia».

I sintomi

In un terzo dei casi la menopausa precoce spontanea è familiare: «Bisogna quindi fare attenzione all’età in cui sono andate in menopausa mamma, nonna o una sorella maggiore», avverte Alessandra Graziottin. «Negli altri casi, ci possono essere cause autoimmuni, quando cioè l’organismo costruisce anticorpi che attaccano l’ovaio: la guardia deve essere alta se la donna ha già avuto tiroiditi, celiachia, artrite reumatoide, perché quando il sistema immunitario ha cominciato a “sbagliare bersaglio” tende a ripetere l’errore con più facilità. Ancora, può associarsi a insufficienza renale, lupus eritematoso, diabete. Nella maggior parte dei casi le cause restano però misteriose».
Anche i sintomi possono essere difficili da decifrare: «Il primo segnale di allarme sono le irregolarità del ciclo: si accorcia, aumenta il flusso o compare in ritardo. Fino a saltare per un mese intero». Altre volte, ci sono avvisaglie più sfumate: «Disturbi del sonno, tachicardia notturna, peggioramento della sindrome premestruale, chili in più, pelle secca, perdita dei capelli, oltre a dolori articolari intensi nel 25% delle donne». La causa? «La fluttuazione dei livelli degli estrogeni, che sregola l’ipotalamo, la “centralina” del cervello che controlla i bioritmi (sonno, appetito, ritmo cardiaco, umore...). «Anche il desiderio che cala fino a scomparire può essere la spia di un cambiamento ormonale», sottolinea la ginecologa. «E con esso, c’è più difficoltà all’eccitazione, secchezza vaginale e crescenti difficoltà orgasmiche».

I numeri della menopausa precoce

La menopausa si definisce “precoce” se compare prima dei 40 anni (l’età media della menopausa fisiologica è 50 anni e 6-8 mesi). Nella forma spontanea colpisce circa l’1 per cento delle donne italiane. La iatrogena (per cure mediche, come radioterapia, chemioterapia, ovariectomia bilaterale) riguarda il 3,5-4,5 per cento. Un ulteriore 11 per cento di donne ha invece una menopausa prematura, ossia fra i 40 e i 45 anni. Infine, l’insufficienza ovarica prematura colpisce lo 0,01 per cento di donne con meno di 20 anni.

Gli esami

In caso di sintomi sospetti, c’è un esame del sangue specifico: il dosaggio plasmatico dell’ormone FSH (ormone follicolo stimolante), secreto dall’ipofisi. Spiega la professoressa Graziottin: «Livelli superiori a 30 mUI/ml (milliUnità Internazionali per millilitro), in un prelievo nella terza giornata del ciclo, indicano che la riserva di follicoli ovarici è limitata e che è già iniziato il processo di menopausa precoce. Livelli tra 10 e 30 mUI/ml indicano che l’ovaio comincia a rispondere agli stimoli ormonali con più difficoltà. In questi casi va discussa con la donna l’opportunità di cercare una gravidanza con la fecondazione assistita. Oppure di salvare gli ovociti residui congelandoli (crioconservazione), così da poterli utilizzare quando la gravidanza sarà desiderata. La diagnosi di menopausa precoce è certa se in due dosaggi consecutivi, effettuati a distanza di un mese, l’FSH è superiore a 40 mUI/ml». Altri esami utili sono il dosaggio degli estrogeni (17beta estradiolo), dell’inibina B e dell’ormone antimulleriano, essenziale per accertare la riserva ovarica. L’ecografia, infine, consente di verificare il volume delle ovaie.

La terapia

La menopausa precoce ha un rapido impatto sul benessere della donna: «Oltre all’aggravamento dei disturbi che l’avevano preannunciata (o la loro improvvisa comparsa, se è conseguenza di un intervento chirurgico o terapie), ci sono le vampate che non sono solo un disagio, ma anche la spia di una vulnerabilità di tutto il cervello alla carenza ormonale», sottolinea Alessandra Graziottin. La perdita di estrogeni e androgeni contribuisce all’invecchiamento cerebrale anticipato e alla neuroinfiammazione, componente importante della depressione. Inoltre, se la menopausa precoce è trascurata, è documentato un peggioramento di Alzheimer e morbo di Parkinson: «Ecco perché, insieme a un corretto stile di vita che preveda movimento fisico e attenzione alla dieta, è fondamentale una terapia ormonale sostitutiva personalizzata (TOS). Secondo gli studi scientifici, in caso di menopausa precoce la TOS è essenziale almeno fino a 51 anni, purché non ci siano controindicazioni (cancro al seno o all’utero, trombosi, epatiti)».
Particolare attenzione va posta all’apparato osteo-articolare: «La menopausa è nemica della salute dell’osso, causando osteoporosi e fastidiosi dolori articolari, i primi segni dell’artrosi, malattia che colpisce le donne tre volte più degli uomini perché tutte le componenti delle articolazioni hanno recettori per gli estrogeni e gli androgeni, la cui carenza accentua i processi di invecchiamento. Una terapia ormonale ben fatta può rallentare osteoporosi e artrosi». Ultimo, ma non ultimo, la TOS riduce anche il rischio di diabete e ha effetti positivi su trigliceridi, colesterolo e ipertensione, offrendo quindi protezione anche contro le malattie cardiovascolari.

Il dibattito sulla TOS

Sulla terapia ormonale sostitutiva si sentono pareri opposti, perché gli esperti sono divisi e il conflitto di opinioni non aiuta la donna che deve decidere per se stessa e il proprio futuro, visto che ormai possiamo vivere per oltre trent’anni dopo la menopausa. Che fare?
«In Italia fa la TOS il 4 per cento delle donne, contro il 57 per cento delle ginecologhe e il 59 per cento delle mogli dei ginecologi. Credo sia l’unico caso in cui i medici usano una terapia 11 volte più dei pazienti», risponde Alessandra Graziottin. «Nei Paesi Nordici (Finlandia, Norvegia, Svezia), fa la terapia il 52 per cento delle donne e l’86 per cento delle ginecologhe. Personalmente la prescrivo all’82 per cento delle mie pazienti in menopausa. Non la fa chi sta benissimo o chi ha una controindicazione grave: tumori a mammella, utero o ovaio, epatite, pregresse tromboflebiti, trombosi, ictus o infarto, malattie autoimmuni a rischio di peggioramento come il lupus eritematoso. Certo, chi viene da me sa che io sono favorevole alla terapia: c’è un’autoselezione delle pazienti che spiega perché la mia percentuale sia così elevata. Resta il fatto che da trent’anni utilizzo la terapia ormonale, perché l’esperienza mi ha insegnato che usata bene, fin dall’inizio della menopausa e con dosaggi personalizzati, dà più vantaggi per la salute e la qualità della vita che rischi: come del resto hanno dimostrato le molte “rianalisi” dei dati americani che all’inizio avevano così spaventato anche i medici».
Un dato è certo: la terapia ormonale fa bene, se usata durante o subito dopo la menopausa. Può diventare rischiosa se iniziata tardivamente, quando molte patologie cardiovascolari o neurodegenerative sono già in stadio avanzato, e se fatta con dosaggi e tipo di ormoni inappropriati o in donne già a rischio di patologie tumorali o cardiovascolari (per esempio se obese o fumatrici).

Artrosi / Osteoartrite Dolore osteo-articolare Malattie autoimmuni Menopausa iatrogena Menopausa precoce Osteoporosi e osteopenia Terapia ormonale sostitutiva Vampate di calore

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