La signora è sui 55 anni. Curata, un po’ sovrappeso, separata da anni. Due figli.
«Devo fare mea culpa. Mi sono fatta terrorizzare da queste storie sugli estrogeni e non ho iniziato la terapia ormonale. Ho tollerato le vampate, l’insonnia, i dolori articolari, l’aumento di peso, la vescica un po’ agitata. Prima o poi mi adatterò, mi dicevo. Ma questa non me l’aspettavo!».
«Cosa è successo?».
«Una cosa tremenda, imbarazzante, umiliante. Non ne ho parlato con nessuno, tanto mi vergogno, ma devo trovare una soluzione, se c’è. Sono mesi che ci penso, poi ho preso il coraggio a quattro mani e sono venuta a chiederle aiuto».
«Mi racconti, l’ascolto. Anche se una mezza idea su cos’è successo ce l’ho!», aggiungo guardandola e riflettendo al tempo stesso. Uno sguardo che negli anni mi ha insegnato quanto un medico si possa sintonizzare sui sentimenti di un/una paziente in difficoltà, soprattutto emotiva.
«Davvero?! Se lei ha intuito qualcosa allora vuol dire che non sono l’unica?».
«Esatto!».
«Questo già mi toglie un bel po’ di imbarazzo», aggiunge con un sospiro. «Poi mi dirà cosa l’ha messa sulla pista giusta, se ha intuito bene».
Cambia la postura, il volto si alleggerisce. Questo viraggio di conversazione sembra averla tolta dall’angolo della vergogna.
«Non so come diglielo, è andata così. Da cinque anni non avevo rapporti. Mi ero convinta di star sola, i figli sono grandi e studiano lontano. Ho incontrato questo signore l’anno scorso, da amici, prima del lockdown. Un bell’uomo, simpatico, divorziato. Ci sentivamo ogni tanto. Poi ci siamo rivisti l’estate scorsa, mi sono accorta che mi piaceva molto. E io a lui. La faccio breve. Andiamo via un week-end, io tutta emozionata, come se avessi vent’anni. All’amore non ci pensavo più, mi dicevo, e guarda la vita che regali ti fa! Non sapevo che mi sarebbe arrivata una travata in testa… Insomma, abbiamo un rapporto, io tutta eccitata, e al momento di venire, tragedia: me la sono fatta addosso! Sono rimasta paralizzata dalla vergogna, non sapevo più cosa dire. Lui ha cercato di scherzare: “Vuol dire che eri tanto eccitata e ti piaceva tanto”. Però io ero congelata. Gli ho chiesto scusa e di tornare a casa. Non l’ho più voluto rivedere. Lui invece mi cerca. Nell’ultimo messaggio mi ha scritto: “Capisco l’imbarazzo, ma perché non vai da un medico, invece di rovinarti la vita?”. Ecco, mi son tolta il rospo dal cuore. Ma lei l’aveva capito?».
«L’intuizione era quella, sì. Mi ha messa sulla pista giusta proprio lei».
«Io?».
«Noi medici dobbiamo essere un po’ degli Sherlock Holmes, capaci di cogliere gli indizi. Il primo è stato il suo commento sulla vescica un po’ agitata, che noi medici chiamiamo “iperattiva”. Poi quelle tre parole: imbarazzo, umiliazione, vergogna. Le usano le persone che soffrono di incontinenza urinaria. Mi restava da capire quando e con chi. Se la donna mi racconta questi sentimenti con il suo carico emotivo, è molto probabile che sia successo in un rapporto, al momento dell’orgasmo. Un disturbo più frequente di quanto si pensi, in chi soffre di vescica iperattiva, ma che è tenuto segreto, proprio per la vergogna. Anche di parlarne con un medico».
«C’è una cura?».
«Spero di sì, però dopo la valutazione urologica e l’esame urodinamico, per capire meglio quanto iperattiva sia la sua vescica e come funziona tutto il sistema di continenza».
«E dopo?».
«La terapia migliore è un bel tris: farmaci che “calmano" la vescica, prescritti dall’urologo se li trova indicati; i miei amici ormoni, che migliorano anche la capacità di tenuta dei tre sistemi di continenza e calmano la vescica; e la fisioterapia, perché con la visita ho visto che i suoi muscoli pelvici hanno perso molto tono con i parti. Abbiamo buone chances».
«Magari! Che regalo!».
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