In tempi concitati, in cui urla e sovratoni cancellano ogni possibilità di conversazione vera, in cui la collera – più o meno motivata – è un pass-partout sociale, in cui l’aggressività impera, la moderazione è un’altra virtù in caduta libera. Per la verità, non solo tra le donne, ma anche tra gli uomini.
Per i cattolici, questa capacità di autocontrollo è inclusa tra le virtù cardinali, come temperanza. Nell’etimo, queste due parole dicono la stessa cosa: la capacità di governare, regolare, contenere dentro i dovuti limiti i propri impulsi. La capacità di usare prudenza e misura, di agire con cautela e assennatezza, senso del tempo e del contesto.
La moderazione non è viltà, non è debolezza, non è ipocrisia, non è passivo asservimento. Anzi. Richiede una sottile e pronta intelligenza, nel senso di intuizione e comprensione profonda, non solo di sé e delle proprie reazioni, ma soprattutto del contesto emotivo in cui si è coinvolti. E’ questa intelligenza emotiva – storicamente più coltivata nelle donne, e ora in via di smarrimento – che consente di cogliere con fulminea intuizione un’intera situazione, sentirne le vulnerabilità, le insidie, ma anche i punti di forza, quando si mantenga la calma interiore e la lucidità necessarie per leggere a fondo i comportamenti degli altri, e comportarsi di conseguenza. E’ capacità di autocontrollo, educata negli anni. Che non è repressione, si badi bene, ma capacità di canalizzare le proprie ragioni in modo serrato, argomentando in modo concisamente efficace. Evitando gesti plateali, insulti gratuiti, frasi offensive di cui poi ci si può pentire. Evitando di disseminare di morti e feriti (metaforicamente parlando) le proprie relazioni interpersonali.
Una donna capace di moderazione diventa il perno forte sia della relazione di coppia, sia della vita familiare. Con antica saggezza, un proverbio veneto dice che “Una donna fa un uomo o lo disfa. Fa una famiglia o la disfa”, sottolineando la centralità femminile come perno degli affetti, capace di saldare le relazioni attraverso la modulazione delle intense emozioni che si muovono sugli scenari di coppia e familiari. Non ultimo, la donna può trovare nella capacità di moderazione un’arma formidabile anche sul lavoro.
E perché le donne dovrebbero ancora oggi coltivare la moderazione? E la parità? E il diritto di dire anche loro, forte e chiaro e subito, quello che pensano e sentono, senza filtri e senza attenuazioni? La ragione, di buon senso, è una sola: che la progressione, la crescita esponenziale di aggressività, quale succede quando tutti ci si lascia prendere la mano dall’impulsività, porta solo a lacerazioni più rapide e profonde, Certo, se anche gli uomini, in parallelo, coltivassero la moderazione, il mondo andrebbe meglio. Tuttavia, alcune differenze di genere, tra i due sessi, anche sul fronte di questa capacità, vanno riconosciute.
Tra uomini e donne, infatti, l’emozione di collera-rabbia è più forte ed esplosiva nei primi, per diverse ragioni. Innanzitutto, la “forza” di questo sentimento è accentuata dal testosterone, ormone che è dieci volte più elevato negli uomini, i quali tendenzialmente sono più impulsivi e aggressivi delle donne. Il freno maggiore, invece, ossia la capacità di moderazione, è rappresentata dal lobo frontale, quella parte del cervello che regola i comportamenti “socialmente appropriati”. A sua volta, l’efficacia con cui il lobo frontale sa “frenare” l’impulsività di base, determinando poi il comportamento visibile, dipende innanzitutto da fattori genetici: la vulnerabilità alla collera, oltre che peculiare negli uomini, è esasperata per ragioni genetiche nei soggetti non a caso definiti “collerici”. In seconda battuta, dipende dall’allenamento attraverso cui l’educazione porta a migliorare la capacità di autocontrollo, proprio attraverso un esercizio “neurobiologico”, oltre che psichico, della capacità del lobo frontale di frenare l’accelerazione biochimica che sottende l’attacco di collera: freno più facile quando l’impulso aggressivo ha minore intensità. Storicamente, l’educazione all’autocontrollo è sempre stata più coltivata nelle donne, insieme con la dolcezza, la mitezza, la prudenza, l’assennatezza. L’uso “repressivo” che è stato fatto di questo tipo di educazione ha portato a una sorta di messa all’indice di queste qualità. Le quali, se scelte e coltivate per convinzione personale invece che per obbligo o censura sociale, possono rivelarsi maieutiche per esprimere il meglio di sé, anche nella vita sociale e professionale.
Purtroppo assecondare l’impulsività, dicendo tutto quello che passa per la mente senza il minimo filtro e controllo, è ritenuto oggi un segno di libertà, di spontaneità, di passionalità, un diritto ineludibile. Una conquista, addirittura, per le donne. In realtà, in entrambi i sessi, l’impulsività non governata, non temperata, non modulata, è tendenzialmente una schiavitù: ci rende succubi della nostra parte più umorale, più “automatica”, più dominata da riflessi arcaici pre-razionali. Esprime cioè una reazione stimolo-risposta tanto più rapida e violenta, quanto meno si è educati alla moderazione e quanto più la capacità modulante del lobo frontale è frenata o bloccata da droghe eccitanti, dall’alcool, dall’eccitazione fisica e psichica.
Ha senso riscoprire questa virtù antica? Sì, se ogni donna (e uomo) percepisce questo allenamento alla moderazione come una forma più alta di libertà: che ci permette di scegliere, di volta in volta, quando, cosa e come dire, e quando tacere, quando agire e quando attendere, quando muovere gli affetti e quando alleggerirli, aumentando di fatto la nostra capacità di esistere in modo più incisivo, morbido e costruttivo insieme, nel mondo che ci circonda.
Per i cattolici, questa capacità di autocontrollo è inclusa tra le virtù cardinali, come temperanza. Nell’etimo, queste due parole dicono la stessa cosa: la capacità di governare, regolare, contenere dentro i dovuti limiti i propri impulsi. La capacità di usare prudenza e misura, di agire con cautela e assennatezza, senso del tempo e del contesto.
La moderazione non è viltà, non è debolezza, non è ipocrisia, non è passivo asservimento. Anzi. Richiede una sottile e pronta intelligenza, nel senso di intuizione e comprensione profonda, non solo di sé e delle proprie reazioni, ma soprattutto del contesto emotivo in cui si è coinvolti. E’ questa intelligenza emotiva – storicamente più coltivata nelle donne, e ora in via di smarrimento – che consente di cogliere con fulminea intuizione un’intera situazione, sentirne le vulnerabilità, le insidie, ma anche i punti di forza, quando si mantenga la calma interiore e la lucidità necessarie per leggere a fondo i comportamenti degli altri, e comportarsi di conseguenza. E’ capacità di autocontrollo, educata negli anni. Che non è repressione, si badi bene, ma capacità di canalizzare le proprie ragioni in modo serrato, argomentando in modo concisamente efficace. Evitando gesti plateali, insulti gratuiti, frasi offensive di cui poi ci si può pentire. Evitando di disseminare di morti e feriti (metaforicamente parlando) le proprie relazioni interpersonali.
Una donna capace di moderazione diventa il perno forte sia della relazione di coppia, sia della vita familiare. Con antica saggezza, un proverbio veneto dice che “Una donna fa un uomo o lo disfa. Fa una famiglia o la disfa”, sottolineando la centralità femminile come perno degli affetti, capace di saldare le relazioni attraverso la modulazione delle intense emozioni che si muovono sugli scenari di coppia e familiari. Non ultimo, la donna può trovare nella capacità di moderazione un’arma formidabile anche sul lavoro.
E perché le donne dovrebbero ancora oggi coltivare la moderazione? E la parità? E il diritto di dire anche loro, forte e chiaro e subito, quello che pensano e sentono, senza filtri e senza attenuazioni? La ragione, di buon senso, è una sola: che la progressione, la crescita esponenziale di aggressività, quale succede quando tutti ci si lascia prendere la mano dall’impulsività, porta solo a lacerazioni più rapide e profonde, Certo, se anche gli uomini, in parallelo, coltivassero la moderazione, il mondo andrebbe meglio. Tuttavia, alcune differenze di genere, tra i due sessi, anche sul fronte di questa capacità, vanno riconosciute.
Tra uomini e donne, infatti, l’emozione di collera-rabbia è più forte ed esplosiva nei primi, per diverse ragioni. Innanzitutto, la “forza” di questo sentimento è accentuata dal testosterone, ormone che è dieci volte più elevato negli uomini, i quali tendenzialmente sono più impulsivi e aggressivi delle donne. Il freno maggiore, invece, ossia la capacità di moderazione, è rappresentata dal lobo frontale, quella parte del cervello che regola i comportamenti “socialmente appropriati”. A sua volta, l’efficacia con cui il lobo frontale sa “frenare” l’impulsività di base, determinando poi il comportamento visibile, dipende innanzitutto da fattori genetici: la vulnerabilità alla collera, oltre che peculiare negli uomini, è esasperata per ragioni genetiche nei soggetti non a caso definiti “collerici”. In seconda battuta, dipende dall’allenamento attraverso cui l’educazione porta a migliorare la capacità di autocontrollo, proprio attraverso un esercizio “neurobiologico”, oltre che psichico, della capacità del lobo frontale di frenare l’accelerazione biochimica che sottende l’attacco di collera: freno più facile quando l’impulso aggressivo ha minore intensità. Storicamente, l’educazione all’autocontrollo è sempre stata più coltivata nelle donne, insieme con la dolcezza, la mitezza, la prudenza, l’assennatezza. L’uso “repressivo” che è stato fatto di questo tipo di educazione ha portato a una sorta di messa all’indice di queste qualità. Le quali, se scelte e coltivate per convinzione personale invece che per obbligo o censura sociale, possono rivelarsi maieutiche per esprimere il meglio di sé, anche nella vita sociale e professionale.
Purtroppo assecondare l’impulsività, dicendo tutto quello che passa per la mente senza il minimo filtro e controllo, è ritenuto oggi un segno di libertà, di spontaneità, di passionalità, un diritto ineludibile. Una conquista, addirittura, per le donne. In realtà, in entrambi i sessi, l’impulsività non governata, non temperata, non modulata, è tendenzialmente una schiavitù: ci rende succubi della nostra parte più umorale, più “automatica”, più dominata da riflessi arcaici pre-razionali. Esprime cioè una reazione stimolo-risposta tanto più rapida e violenta, quanto meno si è educati alla moderazione e quanto più la capacità modulante del lobo frontale è frenata o bloccata da droghe eccitanti, dall’alcool, dall’eccitazione fisica e psichica.
Ha senso riscoprire questa virtù antica? Sì, se ogni donna (e uomo) percepisce questo allenamento alla moderazione come una forma più alta di libertà: che ci permette di scegliere, di volta in volta, quando, cosa e come dire, e quando tacere, quando agire e quando attendere, quando muovere gli affetti e quando alleggerirli, aumentando di fatto la nostra capacità di esistere in modo più incisivo, morbido e costruttivo insieme, nel mondo che ci circonda.