A che cosa serve “fare prima?”: «A ridurre la durata del travaglio, e quindi del dolore», è la risposta. In realtà, si può ridurre il dolore in altro modo: invece che forzare i tempi del parto, con rischi per mamma e bambino, la via più saggia e rispettosa della nascita è mettere la donna in analgesia peridurale. Opportunità che purtroppo è offerta solo al 10% (!!!) delle donne italiane. Alle altre non resta che cercare disperatamente il taglio cesareo, per evitare un’esperienza troppo spesso traumatica, oppure accettare la logica insidiosa del “fare presto” o, ancora, tornare al parto in casa: in cui però, in caso di emergenza (il parto può complicarsi in modo inatteso e imprevedibile), i rischi e gli esiti possono essere drammatici. Con l’analgesia, invece, si può ridurre al minimo il dolore del travaglio e consentire che il corpo della donna e quello del piccolo si adattino reciprocamente, gradualmente e con dolcezza all’uscita, senza forzare. Anzi, si può utilizzare il tempo più lungo, anche del periodo espulsivo, per fare un massaggio/stretching della muscolatura del pavimento pelvico, come facevano le vecchie ostetriche (da cui l’ho imparato) che assistevano i parti in casa.
L’obiettivo? Facilitare l’adattamento del canale da parto alla progressione della testa del bambino, dilatandolo dolcemente e progressivamente al punto che può essere possibile evitare l’episiotomia (il taglio che si fa per “agevolare” l’uscita del piccolo). Il massaggio può durare mezz’ora e più, e ha anche un notevole effetto antalgico sulla mamma (provare per credere).
Se il sacco è integro, il piccolo adatta il suo corpicino all’uscita, in modo molto più graduale, per una evidente ragione biomeccanica: se applichiamo una pressione su un palloncino pieno di liquido (l’utero), l’energia si distribuisce gradualmente su tutto il corpo, ed è la parte anteriore del sacco, integra e con il liquido amniotico, a fare da cuneo proteggendo la testa del piccolo mentre si adatta al canale da parto. Se invece il sacco è rotto, è la testa stessa che fa da cuneo. Ragioniamo: un bambino di tre chili, tre chili e mezzo, deve adattare testa e corpo per passare in un canale che, fino all’inizio del periodo espulsivo, non è più largo di tre-quattro centimetri. E il corpo della mamma deve adattarsi ad un passaggio altrettanto impegnativo, già dal punto di vista biomeccanico. Ci vuole tempo e pazienza!
In un parto normale, in una donna sana con un bacino ben conformato, muscoli del pavimento pelvico elastici, e con un bambino di peso ottimale, questo passaggio si realizza con una sorta di danza, di musica, un’onda di spinta e risposta che si gioca tra la contrazione dell’utero, che spinge in fuori il bambino, e la resistenza elastica dei muscoli e dei tessuti connettivi del pavimento pelvico, che resistono alla spinta: prima determinando la rotazione in avanti della testa, di un ottavo di cerchio, per il principio della trottola, poi cedendo gradualmente fino a diventare un canale elastico e accogliente.
Un parto naturale, in analgesia peridurale, rispettando i tempi e la musica del parto, senza forzature per fare presto, ben assistito da un’ostetrica competente che aiuti la preparazione del canale da parto con il massaggio/stretching e assista con perizia l’uscita della testa, è un’esperienza magnifica per la donna (e per il marito, se assiste): per la felicità di vedere il proprio bambino, appena uscito, roseo e sereno, sano e bello, e che quasi non si è accorto di nascere. Averlo subito a contatto di pelle (skin to skin), vedere che si addormenta rilassato e dopo un po’ inizia a succhiare beato le dà la certezza che aver saputo aspettare (senza fare presto) è stata la scelta più giusta e amorosa.
Saper aspettare (monitorando con accortezza che mamma e piccino siano sempre in perfette condizioni!) è il grande lusso dell’ostetricia di oggi. In un mondo sempre più frenetico e concitato, irritato e impaziente, attento all’efficienza (?!) ma non all’umanità del nascere e al grande mistero di una vita che si affaccia sul mondo, anche la nascita affrettata può diventare molto traumatica. E’ compito di un’ostetricia consapevole e responsabile promuovere sì il parto naturale, ma garantendo a tutte le donne l’analgesia peridurale e un maggior rispetto dei tempi del parto, necessari per l’adattamento ottimale tra il corpo della mamma e del bambino. «Costa di più, assistere un parto così!»: è l’obiezione di molti amministrativi ospedalieri. Ma quanto valgono la salute della mamma e del bambino? Quanto vale per la stessa società un bambino che nasce con dolcezza, con tutte le potenzialità che aveva al concepimento? E una donna che dopo il parto non deve pagare per mesi e anni un prezzo di dolore, perché il suo corpo è stato traumatizzato da una parto devastante, cui conseguono incontinenza, cicatrici dolenti, impossibilità ai rapporti, dolore fisico ed emotivo e un’immensa solitudine, soprattutto se il bambino nasce poi con problemi?
L’ostetricia è difficile e rischiosa. Per questo è meglio partorire in ospedale. Con parto naturale sì, se tutto è fisiologico, ma in analgesia, con un’assistenza qualificata, rispettosa della sacralità del nascere e del tempo necessario perché il bambino possa davvero “nascere con la camicia”: con il sacco integro, dolcemente, in sicurezza e in salute, sua e della mamma.