La ragione è anzitutto biomeccanica. Il liquido amniotico che si trova al davanti della testa – se il sacco è integro – fa da cuscinetto ammortizzatore e riduce in modo drastico i traumi che la testa del piccolo subisce quando passa lungo il canale del parto facendo essa stesso da cuneo, quando il sacco viene rotto anticipatamente (“amniorexi”) dal medico o dall’ostetrica «per accelerare il parto e fare presto». In realtà, durante il travaglio, non bisognerebbe accelerare un bel nulla, se mamma e bimbo sono ben monitorati e stanno bene e se la mamma è in analgesia peridurale. Un’opportunità che dovrebbe essere garantita a tutte le partorienti, se la desiderano.
L’analgesia consente di vivere senza dolore un tempo di travaglio più lungo, ma necessario perché il bacino e la vagina della mamma si adattino reciprocamente: un bimbo di tre-quattro chili deve passare in un canale muscolo-scheletrico appena compatibile e in una vagina che è uno spazio virtuale di due-tre centimetri di larghezza. Il giusto tempo consente di dilatare senza danneggiare. Purtroppo abbiamo preso dagli americani un senso del tempo e della velocità che non rispetta la verità e la musica della biologia. E allora giù con l’ossitocina per far contrarre l’utero di più e forzare la progressione, giù con l’amniorexi per aumentare ulteriormente le contrazioni, vai con l’episiotomia (il taglio sui genitali della donna «per facilitare la nascita»): nascere può diventare un gesto molto violento. Della nascita – con molte eccezioni, per fortuna – si rischia di perdere l’umanità, l’unicità e la sacralità. Immaginiamoci di dover passare con tutto il corpo in un tunnel stretto e rigido con qualcuno che ci spinge sul sedere per farci progredire rapidamente. Non è meglio, visto che l’ossigeno e i nutrienti arrivano tramite la placenta e il cordone ombelicale, dare il tempo perché il tunnel diventi sempre più elastico e accogliente? “Fare presto”, quando tutto va bene, è un’idea perniciosissima. Rischia solo di causare un mare di guai, come infatti si vede, sia come entità di traumi fetali sia come danni a carico della mamma, tra cui lacerazioni genitali, incontinenze urinarie e fecali, prolassi, impossibilità ai rapporti, dolore cronico…
Pensiamo all’etimo di “ostetricia”: deriva dal latino “ob-stare”, “stare davanti” alla partoriente, pronti a intervenire, ma senza forzare. Nascere è una danza tra il corpo materno e l’utero che spinge da un lato, il pavimento pelvico che resiste meccanicamente dall’altro lato, e il bimbo che fa da cuneo elastico. Monitoraggio attento e non invasivo, analgesia, niente ossitocina (che va riservata a casi particolari), niente rottura precoce del sacco: si può seguire la progressione del travaglio con rispetto e attenzione, con calma e competenza, sempre in ambiente qualificato per eventuali urgenze. E’ necessario preparare bene i muscoli che circondano la vagina, prima e durante la gravidanza. Più sono elastici, più accompagnano l’uscita del bimbo senza lacerarsi. L’episiotomia non va fatta di routine ma solo su indicazione, per evitare lacerazioni irregolari, scomposte e dannose. L’analgesia in travaglio è essenziale per ridurre ansia, dolore e stress materno, e facilitare il bioritmo del parto col giusto tempo. Anche di questo si è parlato al Corso di Formazione ECM per ginecologi organizzato a Milano dalla Fondazione Alessandra Graziottin per la cura del dolore nella donna Onlus. Ma il beneaugurante “nascere con la camicia” richiede molto altro, anche da parte dei genitori. Ne parliamo la prossima settimana.
Analgesia peridurale Capacità di attesa Parto vaginale / Parto cesareo Tempo