EN

Omosessualità: esiste una cura?

04/04/2008

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

“Gentile Professoressa, le scrivo anche a nome di mia moglie in un momento molto difficile per la nostra famiglia. Abbiamo un unico figlio, di 17 anni: un bel ragazzo, studioso, bravo anche nello sport. Due mesi fa ci ha confessato di essere omosessuale. Per noi è stato un autentico trauma, anche perché ci era capitato, in passato, di vederlo insieme a delle ragazze. Lui però ci ha spiegato che erano solo delle “prove”, e che poco per volta ha capito che delle donne non gliene importa niente. Ora frequenta un suo coetaneo (ci vengono i brividi solo a pensarlo) e, dato che con noi è sempre stato aperto, ha deciso di dircelo, in modo da poter vivere questa esperienza “in piena serenità”. Sereno sarà lui! Noi siamo rimasti di sasso. Non riusciamo a trovare nulla che possa spiegare una scelta del genere. Ha sempre avuto un ottimo rapporto sia con me che con mia moglie. Lo abbiamo sempre incoraggiato a fare sport e a frequentare gli amici e le amiche. Sin da piccolo l’ho portato con me alla partita e a camminare in montagna... Insomma, lo abbiamo sempre trattato da maschio. Mia moglie e io ci siamo sempre vantati di non avere alcun pregiudizio verso i gay... E ora invece non ci diamo pace, ci chiediamo dove abbiamo sbagliato. Lei che cosa ne dice? Cosa può essere stato a rovinarlo? Ed esiste una cura, che so, qualcosa che possa farlo tornare sano e normale?”.
Paolo T. (Milano)
Inizio dalla sua ultima domanda, gentile signor Paolo, perché da essa dipende ogni altra considerazione. Si può curare l’omosessualità affinché un ragazzo, o una ragazza, possa tornare “normale?”. La risposta è no. Questa possibilità non esiste, se per “normalità” si intende il ritorno della direzione del desiderio su una persona del sesso opposto. In particolare, quando la scelta omosessuale non è foriera di paure e angosce, ma perfettamente in armonia con le proprie aspirazioni più profonde, come mi sembra sia il caso di vostro figlio, non c’è alcun tipo di terapia che la possa cambiare. Per la stessa ragione per cui non c’è una “cura” che possa far diventare omosessuale una persona eterosessuale (che normalmente desidera una persona del sesso opposto, come succede nella maggioranza dei casi)!

E se nostro figlio arrivasse a desiderarlo, magari dopo una delusione?

Anche in questo caso, non esisterebbero cure efficaci: “voler cambiare” non basta. Pensate solo a coloro che, per fede religiosa, farebbero di tutto pur di avere un desiderio orientato verso una persona dell’altro sesso. Si può inibire il desiderio, anche farmacologicamente: ma non c’è, per lo meno oggi, alcuna terapia, né farmacologica né psicologica, che possa modificarne la direzione. Men che meno quando la condizione omosessuale è ben accettata e vissuta con serenità.

Perché, anche volendolo, non c'è terapia?

Perché l’insieme dei fattori biologici, psicologici e relazionali che accende il desiderio è molto complesso e tuttora poco conosciuto. Non dimentichiamo inoltre che, in molti casi, entra in gioco anche una forte componente genetica. Gli studi su gemelli identici (“omozigoti”) hanno dimostrato una concordanza nella scelta omosessuale del 48% nei maschi, e del 27% nelle femmine. La componente genetica è quindi molto più forte di quanto si pensasse in passato.

Potrebbe almeno trattarsi di una scelta provvisoria?

Sì, questo è possibile. In questi casi si parla di omosessualità “di transizione”, un fenomeno che si riscontra soprattutto in ragazzi e ragazze molto giovani e molto disinibiti, che amano sperimentarsi anche con l’erotismo. La maggior parte di questi giovani non si definisce omosessuale, ma “indifferenziata”, a sottolineare che il loro interesse è per le emozioni che provano e non per il fatto che il partner sia maschio o femmina. “Amo la persona in sé.... Che sia maschio o femmina non mi interessa”: è l’affermazione che meglio descrive questa nuova tendenza.

E' una situazione molto diffusa?

Abbastanza. Un recente studio americano su ragazze dai 15 ai 20 anni con comportamenti omosessuali ha mostrato che circa un terzo si definisce “lesbica”, un terzo “bisessuale” e un terzo “unlabelled”, senza etichetta. E’ il gruppo che rivendica il diritto di “amare chi mi piace”, senza doversi definire con una categoria rigida. Dato ancora più interessante, in sei anni il 25 per cento delle ragazze ha cambiato gruppo, ossia si percepisce in modo diverso rispetto a prima. Questo ci fa capire la grande duttilità dei comportamenti degli adolescenti d’oggi, ragazzi e ragazze, anche per quanto riguarda la direzione (etero o omosessuale) e l’espressione del desiderio.

Dunque anche per nostro figlio c'è la possibilità di cambiare?

Da un certo punto di vista, sì: in un ragazzo così giovane, l’atteggiamento omosessuale potrebbe esprimere una fase sperimentale dei sentimenti e dell’intimità fisica, che non delinea necessariamente un destino ineluttabile. Attenzione, però: dico questo non per illudervi, ma per aiutarvi a capire che il comportamento, anche sessuale, di un’adolescente va letto con molta cautela e senza precipitazione. Però non dovreste pensare a questa possibilità come a una “guarigione” – vostro figlio non è ammalato – ma solo come a uno dei possibili esiti di un processo di crescita che, per la plasticità tipica dell’adolescenza, rimane aperto a evoluzioni diverse.

Se questo è vero, come potremmo aiutarlo a chiarirsi le idee?

Dipende dal tipo di “aiuto” che avete in mente. Cure, lo abbiamo già detto con chiarezza, non ce ne sono, e d’altra parte non c’è nulla che debba essere “curato”. Anche quando il comportamento è oscillante o nettamente bisessuale, non esistono terapie finalizzate a un orientamento definitivo, nell’uno o nell’altro senso. Dunque il primo e fondamentale aiuto che potete dargli è di non alimentare in lui dubbi o complessi di inferiorità, come se la sua fosse una menomazione, una malattia. In secondo luogo, ma solo se vostro figlio è d’accordo e ne sente il bisogno, potrebbe essere utile una breve psicoterapia finalizzata a prendere maggiore coscienza della propria complessità erotica e di méta sessuale. In parallelo, qualche seduta con uno/a psicoterapeuta esperto potrebbe essere utile anche a voi.

Per quale motivo?

Per comprendere perché siate “rimasti di sasso”, per superare l’angoscia e i sensi di colpa che emergono dolorosi nella vostra lettera (“dove abbiamo sbagliato?”), insomma per superare lo shock. E anche per superare in modo sereno quel senso di perdita, per non avere più il figlio “normale” che pensavate di avere, secondo un certo modello stereotipato di normalità. Mentre invece il segno più positivo della qualità del rapporto che avete instaurato con vostro figlio è che lui, così giovane, abbia sentito che poteva parlarvi a cuore aperto. Questo è un segnale straordinario di fiducia in voi e nel vostro affetto.
Più in generale, la vostra tensione dice bene quanto per molti di noi sia ancora grande la distanza tra il “non avere alcun pregiudizio sui gay” e accettare poi che lo sia un figlio o una persona cara. Qualche colloquio psicoterapeutico, che vi aiuti a superare questo groviglio di emozioni negative, potrebbe esservi prezioso per recuperare la serenità necessaria a un dialogo sincero e costruttivo con vostro figlio, per continuare a volergli bene nella sua verità.

Identità sessuale / Disturbi dell'identità Omosessualità

Iscriviti alla newsletter

Rimani aggiornato su questo e altri temi di salute e benessere con la nostra newsletter quindicinale

Iscriviti alla newsletter