Gay e disperato. Quanto solo si è sentito il ragazzino di 14 anni che si è suicidato a Roma perché nessuno ha capito il suo dramma? Deriso, emarginato dai coetanei, si sentiva ancora più vulnerabile perché la sua verità veniva ogni giorno umiliata e calpestata. Gli adolescenti possono essere violentemente crudeli, fino a indurre al suicidio. Scelto per disperazione, per perdita assoluta di speranza in un domani migliore. Per sottrarsi a un tormento intollerabile in modo definitivo. E irreparabile. Da quanto tempo questo infelice ragazzo soffriva in silenzio per una differenza di emozioni e desideri che non riusciva a rivelare in famiglia? E’ difficile essere se stessi. E’ ancora più difficile esserlo quando la propria verità è diversa da quella della maggioranza. O da quella che pensiamo sognata da chi ci ama. E’ molto difficile essere accettati quando si è diversi: perché si è gay, o si ha una pelle o una cultura diversa, o talenti diversi da quelli attesi in famiglia, o perché si ha un handicap che ci limita.
E tuttavia, si chiedono in molti: come mai suicidarsi proprio adesso, quando l’omosessualità è ormai accettata come una scelta normale e totalmente legittima? Attenzione, generalizzare è pericoloso e questo doloroso suicidio ne è la prova. L’accettazione dell’omosessualità appartiene solo alle frange più colte ed emotivamente più aperte della popolazione. Per la maggioranza degli italiani l’inerzia culturale, la persistenza di vecchi stereotipi e modi di pensare e giudicare è ancora fortissima. Gli adolescenti che deridono con violenza e crudeltà i coetanei omosessuali ne sono un chiaro esempio. In più, in tempi emotivamente difficili come questi, crescono ancora di più intolleranza, razzismo, bisogno di aggregarsi per allontanare come minaccioso tutto ciò che si differenzia da noi e dalle nostre presunte verità. Purtroppo altri ragazzi si sono suicidati in questi ultimi anni per la medesima ragione. E molti altri vivono in silenzio situazioni pesantissime di derisione e violenza emotiva, se non addirittura fisica. Ha detto benissimo Papa Francesco alcuni giorni fa durante il viaggio in Brasile: «Dobbiamo abbandonare la cultura dello scarto. E scegliere la cultura dell’incontro». Solo se incontriamo l’altro, figlio, allievo, amico o fratello che sia, nella sua verità possiamo davvero aiutarlo a essere compiutamente e serenamente se stesso. Si chiede una legge per l’omofobia. Utile, ma non basta. E’ indispensabile che gli adulti tornino ad ascoltare: con le antenne del cuore, con lo sguardo, con la tenerezza, con la sollecitudine, prima che con le orecchie. Che imparino a riconoscere i segnali minimi di sofferenza, di emarginazione dal gruppo, di inquietudine. Ma come si può parlare di ascolto e di rispetto in una società in cui il dibattito pubblico e televisivo è dominato dall’assoluta incapacità di ascoltare, dall’intolleranza, dalla violenza, dalla volgarità, dall’aggressività, dalla diffamazione sistematica di chi non la pensa come noi? Con questi esempi, come possiamo pretendere che proprio i più giovani imparino a rispettare i compagni diversi? E’ un’autocritica profonda che dobbiamo fare, noi adulti, e soprattutto coloro che sono più visibili. Perché sono quelli i modelli che i più giovani imitano.
Un ascolto sincero, accogliente, affettuoso della verità di questo ragazzo lo avrebbe salvato. Non averlo fatto è un’omissione di soccorso, che ognuno di noi ripete ogni giorno, tutte le volte in cui potrebbe ascoltare un dolore profondo, e non lo fa. Intuisco lo strazio dei suoi genitori. Perdere un figlio per malattia o incidente è una tragedia. Perderlo per suicidio apre uno strazio infinito, lacerato dal peso di una responsabilità immane. Lo intuisco con commozione: il dolore è spaventoso. E’ difficile essere genitori. La terribile morte di questo ragazzo pone a ogni genitore due domande: quanto conosco mio figlio? Quanto lo so ascoltare?
E tuttavia, si chiedono in molti: come mai suicidarsi proprio adesso, quando l’omosessualità è ormai accettata come una scelta normale e totalmente legittima? Attenzione, generalizzare è pericoloso e questo doloroso suicidio ne è la prova. L’accettazione dell’omosessualità appartiene solo alle frange più colte ed emotivamente più aperte della popolazione. Per la maggioranza degli italiani l’inerzia culturale, la persistenza di vecchi stereotipi e modi di pensare e giudicare è ancora fortissima. Gli adolescenti che deridono con violenza e crudeltà i coetanei omosessuali ne sono un chiaro esempio. In più, in tempi emotivamente difficili come questi, crescono ancora di più intolleranza, razzismo, bisogno di aggregarsi per allontanare come minaccioso tutto ciò che si differenzia da noi e dalle nostre presunte verità. Purtroppo altri ragazzi si sono suicidati in questi ultimi anni per la medesima ragione. E molti altri vivono in silenzio situazioni pesantissime di derisione e violenza emotiva, se non addirittura fisica. Ha detto benissimo Papa Francesco alcuni giorni fa durante il viaggio in Brasile: «Dobbiamo abbandonare la cultura dello scarto. E scegliere la cultura dell’incontro». Solo se incontriamo l’altro, figlio, allievo, amico o fratello che sia, nella sua verità possiamo davvero aiutarlo a essere compiutamente e serenamente se stesso. Si chiede una legge per l’omofobia. Utile, ma non basta. E’ indispensabile che gli adulti tornino ad ascoltare: con le antenne del cuore, con lo sguardo, con la tenerezza, con la sollecitudine, prima che con le orecchie. Che imparino a riconoscere i segnali minimi di sofferenza, di emarginazione dal gruppo, di inquietudine. Ma come si può parlare di ascolto e di rispetto in una società in cui il dibattito pubblico e televisivo è dominato dall’assoluta incapacità di ascoltare, dall’intolleranza, dalla violenza, dalla volgarità, dall’aggressività, dalla diffamazione sistematica di chi non la pensa come noi? Con questi esempi, come possiamo pretendere che proprio i più giovani imparino a rispettare i compagni diversi? E’ un’autocritica profonda che dobbiamo fare, noi adulti, e soprattutto coloro che sono più visibili. Perché sono quelli i modelli che i più giovani imitano.
Un ascolto sincero, accogliente, affettuoso della verità di questo ragazzo lo avrebbe salvato. Non averlo fatto è un’omissione di soccorso, che ognuno di noi ripete ogni giorno, tutte le volte in cui potrebbe ascoltare un dolore profondo, e non lo fa. Intuisco lo strazio dei suoi genitori. Perdere un figlio per malattia o incidente è una tragedia. Perderlo per suicidio apre uno strazio infinito, lacerato dal peso di una responsabilità immane. Lo intuisco con commozione: il dolore è spaventoso. E’ difficile essere genitori. La terribile morte di questo ragazzo pone a ogni genitore due domande: quanto conosco mio figlio? Quanto lo so ascoltare?