Gli ottimisti vivono meglio, non c’è dubbio. Ma vivono anche più sani e più a lungo? Sì. Molti studi avevano già approfondito il rapporto tra depressione e salute globale, dimostrando come l’umore depresso porti con sé stili di vita meno salutari e una maggiore vulnerabilità a malattie dismetaboliche, diabete in primis, e cardiovascolari. Soprattutto a causa di queste, ma non solo, aumenta poi il rischio di una maggiore morbilità complessiva e di una vita tendenzialmente più breve. Ora nuovi studi, condotti sul fronte opposto, ci dicono che gli ottimisti per temperamento veleggiano sereni non solo nel quotidiano ma anche verso l’età più avanzata, grazie ad una più luminosa salute. E che l’ottimismo li protegge, con tanta maggiore efficacia quanto più l’umore è stabile e sereno, nei confronti di tutte le cause di mortalità – anche accidentali, oltre che legate alle malattie – con un vantaggio più forte sul fronte cardiovascolare.
Che cosa traduce allora l’ottimismo in salute? E che cosa possiamo apprendere dallo stile esistenziale degli ottimisti?
Ereditarietà genetica e ambiente si intrecciano nell’arco della vita nel modulare l’atteggiamento emotivo che ognuno di noi ha verso l’esistenza. Innanzitutto, l’ottimista naturale è nato sorridendo. Probabilmente grazie a buoni geni, ereditati da almeno uno dei genitori, ma anche grazie a un ambiente uterino favorevole in gravidanza. Una mamma serena e una gravidanza fisiologica garantiscono infatti l’ambiente biochimico e affettivo ottimale per affacciarsi sul mondo con lo sguardo e la salute giusti. Di converso, gravidanze difficili, emotivamente e fisicamente, costituiscono uno stress di varia gravità per il bambino già in utero, aumentandone la vulnerabilità a disturbi di tipo depressivo, e a malattie cardiovascolari, quali l’ipertensione, specie se un parto prematuro abbia ulteriormente complicato il quadro di esordio alla vita. Vulnerabilità, va sottolineato, non significa destino. Tuttavia, il primo apprendimento che ci viene da notevoli studi sul rapporto tra qualità della gravidanza ed esiti di salute fisica e psichica del bambino – e del futuro adulto – ci deve indurre a curare ancora meglio quella fase misteriosa e poetica, quei nove mesi silenziosi in cui cominciano ad esprimersi tutte le potenzialità del bambino e poi dell’uomo. Nell’infanzia, e nell’adolescenza, alcuni fattori aiutano l’ottimismo a svilupparsi (e moderano, se presenti, la vulnerabilità al pessimismo): qualità del cibo (non quantità!) perché i mattoni con cui il cervello funziona sono fatti di proteine, vitamine e oli essenziali; qualità e quantità del sonno, essenziale perché il cervello funzioni al meglio, ottimizzando anche l’umore; qualità di amore ricevuto in famiglia, e la presenza di tanti coetanei e amici con cui giocare. Gli affetti sereni, con familiari e coetanei, aiutano a maturare l’intelligenza emotiva, quella capacità immediata che l’ottimista ha di sintonizzarsi con gli altri, che è alla base anche della sua piacevolezza sociale. E che lo aiuta a superare comunque positivamente le molte prove, le difficoltà, i colpi bassi, che la vita non risparmia a nessuno. L’ottimista riesce a vedere il pezzetto di azzurro anche nel cielo più nero. Punta lo sguardo su quel frammento di cielo per tenere alta la speranza di farcela. Ama la vita, ancora di più quando incidenti, malattie o perdite affettive lo confrontano con l’essenziale dell’esistenza. E vuole viverla il più a lungo possibile, e nel miglior modo.
Fin qui, dirà qualcuno, nessun merito: l’ottimista è nato fortunato, e la sua buona stella gli ha piazzato vicino anche la famiglia giusta e gli amici ideali. In realtà, ascoltando molte pazienti ottimiste, cui erano successe tragedie personali pesanti (da malattie gravi a lutti significativi), mi sono convinta che l’ottimismo, che pure ha una solida base genetica, viene anche coltivato, come stile di pensiero e di comportamento, da un altrettanto solido senso di responsabilità verso se stessi e verso gli altri. Per esempio, quando le cose non vanno, l’ottimista incolpa la società e il mondo esterno molto meno di quanto faccia il pessimista. L’ottimista tende ad impegnarsi in prima persona per cambiare le cose, sia nel piccolo mondo della propria vita, sia in quello più ampio della famiglia, del lavoro o della società. Ha stili di vita più sani, fa più sport, non utilizza droghe, in un circolo virtuoso in cui lo stile di vita potenzia poi la salute fisica e psichica. In altre parole, l’assunzione di responsabilità che l’ottimista fa verso la propria vita zappa il terreno dell’ottimismo genetico e vi pianta i fiori, le verdure e gli alberi migliori.
E come spiegare la minore vulnerabilità dell’ottimista non solo alle malattie, ma anche agli incidenti? (Attenzione: l’ottimista, che è fondamentalmente un sereno, non va confuso con il “gasato” mentale, affetto invece da maniacalità, ben nota patologia psichiatrica...). L’ottimista è più attento, fa le cose con maggiore calma interiore, è meno distratto da conflitti interni e, soprattutto, è meno vulnerabile all’autolesionismo, più o meno conscio, così presente in chi vada soggetto a incidenti ripetuti.
Che cosa possiamo dunque apprendere dagli ottimisti? Che il carattere è un fattore dinamico della personalità: accanto alla genetica, che delinea i tratti principali, l’ambiente in cui cresciamo e il nostro stesso atteggiamento possono modulare molto il tratto caratteriale. L’ottimismo della volontà, oltre che della ragione, può aiutarci a mantenere stili di vita più sani nell’arco della vita. A frequentare persone positive. A saper cogliere la bellezza del mondo, che è lì per tutti ma che cogliamo solo a tratti, in momenti particolari. Mi chiedo sempre: come mai la luna è sempre lì, e la vedono solo gli innamorati? Ecco: l’ottimismo come atteggiamento scelto ci porta a vedere la luna, e assaporarne la bellezza silenziosa, ogni notte, anche da soli. E a desiderare di vederla il più a lungo possibile. Nonostante tutto, innamorati della vita.
Che cosa traduce allora l’ottimismo in salute? E che cosa possiamo apprendere dallo stile esistenziale degli ottimisti?
Ereditarietà genetica e ambiente si intrecciano nell’arco della vita nel modulare l’atteggiamento emotivo che ognuno di noi ha verso l’esistenza. Innanzitutto, l’ottimista naturale è nato sorridendo. Probabilmente grazie a buoni geni, ereditati da almeno uno dei genitori, ma anche grazie a un ambiente uterino favorevole in gravidanza. Una mamma serena e una gravidanza fisiologica garantiscono infatti l’ambiente biochimico e affettivo ottimale per affacciarsi sul mondo con lo sguardo e la salute giusti. Di converso, gravidanze difficili, emotivamente e fisicamente, costituiscono uno stress di varia gravità per il bambino già in utero, aumentandone la vulnerabilità a disturbi di tipo depressivo, e a malattie cardiovascolari, quali l’ipertensione, specie se un parto prematuro abbia ulteriormente complicato il quadro di esordio alla vita. Vulnerabilità, va sottolineato, non significa destino. Tuttavia, il primo apprendimento che ci viene da notevoli studi sul rapporto tra qualità della gravidanza ed esiti di salute fisica e psichica del bambino – e del futuro adulto – ci deve indurre a curare ancora meglio quella fase misteriosa e poetica, quei nove mesi silenziosi in cui cominciano ad esprimersi tutte le potenzialità del bambino e poi dell’uomo. Nell’infanzia, e nell’adolescenza, alcuni fattori aiutano l’ottimismo a svilupparsi (e moderano, se presenti, la vulnerabilità al pessimismo): qualità del cibo (non quantità!) perché i mattoni con cui il cervello funziona sono fatti di proteine, vitamine e oli essenziali; qualità e quantità del sonno, essenziale perché il cervello funzioni al meglio, ottimizzando anche l’umore; qualità di amore ricevuto in famiglia, e la presenza di tanti coetanei e amici con cui giocare. Gli affetti sereni, con familiari e coetanei, aiutano a maturare l’intelligenza emotiva, quella capacità immediata che l’ottimista ha di sintonizzarsi con gli altri, che è alla base anche della sua piacevolezza sociale. E che lo aiuta a superare comunque positivamente le molte prove, le difficoltà, i colpi bassi, che la vita non risparmia a nessuno. L’ottimista riesce a vedere il pezzetto di azzurro anche nel cielo più nero. Punta lo sguardo su quel frammento di cielo per tenere alta la speranza di farcela. Ama la vita, ancora di più quando incidenti, malattie o perdite affettive lo confrontano con l’essenziale dell’esistenza. E vuole viverla il più a lungo possibile, e nel miglior modo.
Fin qui, dirà qualcuno, nessun merito: l’ottimista è nato fortunato, e la sua buona stella gli ha piazzato vicino anche la famiglia giusta e gli amici ideali. In realtà, ascoltando molte pazienti ottimiste, cui erano successe tragedie personali pesanti (da malattie gravi a lutti significativi), mi sono convinta che l’ottimismo, che pure ha una solida base genetica, viene anche coltivato, come stile di pensiero e di comportamento, da un altrettanto solido senso di responsabilità verso se stessi e verso gli altri. Per esempio, quando le cose non vanno, l’ottimista incolpa la società e il mondo esterno molto meno di quanto faccia il pessimista. L’ottimista tende ad impegnarsi in prima persona per cambiare le cose, sia nel piccolo mondo della propria vita, sia in quello più ampio della famiglia, del lavoro o della società. Ha stili di vita più sani, fa più sport, non utilizza droghe, in un circolo virtuoso in cui lo stile di vita potenzia poi la salute fisica e psichica. In altre parole, l’assunzione di responsabilità che l’ottimista fa verso la propria vita zappa il terreno dell’ottimismo genetico e vi pianta i fiori, le verdure e gli alberi migliori.
E come spiegare la minore vulnerabilità dell’ottimista non solo alle malattie, ma anche agli incidenti? (Attenzione: l’ottimista, che è fondamentalmente un sereno, non va confuso con il “gasato” mentale, affetto invece da maniacalità, ben nota patologia psichiatrica...). L’ottimista è più attento, fa le cose con maggiore calma interiore, è meno distratto da conflitti interni e, soprattutto, è meno vulnerabile all’autolesionismo, più o meno conscio, così presente in chi vada soggetto a incidenti ripetuti.
Che cosa possiamo dunque apprendere dagli ottimisti? Che il carattere è un fattore dinamico della personalità: accanto alla genetica, che delinea i tratti principali, l’ambiente in cui cresciamo e il nostro stesso atteggiamento possono modulare molto il tratto caratteriale. L’ottimismo della volontà, oltre che della ragione, può aiutarci a mantenere stili di vita più sani nell’arco della vita. A frequentare persone positive. A saper cogliere la bellezza del mondo, che è lì per tutti ma che cogliamo solo a tratti, in momenti particolari. Mi chiedo sempre: come mai la luna è sempre lì, e la vedono solo gli innamorati? Ecco: l’ottimismo come atteggiamento scelto ci porta a vedere la luna, e assaporarne la bellezza silenziosa, ogni notte, anche da soli. E a desiderare di vederla il più a lungo possibile. Nonostante tutto, innamorati della vita.
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