Negli adolescenti, l’irrompere della pubertà esaspera le vulnerabilità originarie. Situazioni critiche in famiglia, difficoltà di lavoro o latitanza emotiva dei genitori, che ci sono ma non sono affettivamente ”connessi” con i figli, aumentano un sentimento di insicurezza che può governare l’intera vita psichica e minare ogni prospettiva di un futuro luminoso. Il bisogno di appartenenza, di sentirsi “parte di” si sposta sul gruppo dei coetanei, dove i più solidi diventano leader, nel bene o nel male. Con il rischio per i più vulnerabili di diventare, da un lato, bersaglio di aggressioni e di emarginazioni più o meno violente, dall’altro, gregari passivi, pur di sentirsi “parte di”, fino a finire coinvolti in comportamenti ad alto rischio per l’incolumità fisica e psichica, ma anche per l’illegalità che possono implicare.
Modelli di vita “trasgressiva” diventano riferimenti di un’identità fluida che perde man mano la capacità di strutturarsi su percorsi tradizionali più sicuri: sport, buon percorso scolastico e lavoro soddisfacente. Incertezza e insicurezza alimentano risentimento, collera, rabbia, etero e autodistruttive, che si riconoscono in un “populismo contro, a prescindere” sia dalle situazioni sia dal merito delle questioni. I limiti economici sono ancora più frustranti, rispetto al passato, ora che l’accesso ai social fa sembrare facile e perentorio l’avere successo e denaro rapidamente. I sogni di carriera, status e reddito si scontrano con ostacoli obiettivi e soggettivi. Obiettivi, per quest’Italia fatta di caste, e non classi, di carriere dove l’appartenenza conta più del merito, di dinamiche politiche in cui ci sono più partiti che idee, di un maschilismo (ancora) forte e insidioso, di una mancanza di visione strategica sulla valorizzazione dei talenti migliori, costretti a emigrare, spesso per sempre. Soggettivi, perché il livello medio di preparazione scolastica e professionale dei giovani continua obiettivamente a scadere, contro tutta la retorica di cui si riempiono discorsi politici e media. Con un’inquietudine trasversale, che colpisce di più le donne, sull’aumentata vulnerabilità fisica ad aggressioni, violenze e stupri. Dopo i 50, altre inquietudini amareggiano uomini e donne, segnati dalla paura del futuro, dalla limitatezza delle pensioni, dal senso di sradicamento, dalla solitudine, più frequenti nei contesti urbani, più contenuti nei paesi, dove la rete del tessuto familiare, microsociale e perfino religioso sembra reggere di più le insidie di tempi ad alto tasso di smarrimento e solitudine. Trasversale è la paura per la potenza minacciosa di un’immigrazione non regolata, anzi spesso usata strumentalmente con fini ben diversi dalla solidarietà.
Mauro Magatti, sociologo e autore di “Cambio di paradigma. Uscire dalla crisi pensando al futuro” (Feltrinelli), vede nell’individualismo spinto che ha di recente caratterizzato il mondo occidentale il grande detonatore di queste passioni tristi. Vero. Da medico, ne vedo tuttavia anche molte componenti biologiche: per inattività, cibo spazzatura, obesità, tossici esogeni, dall’alcol alle droghe, al fumo, che si intrecciano in modo devastante con le conseguenze deleterie di fattori sociali e mediatici, “sòcial-crazia”, in testa. Le passioni tristi non sono nuvole nere sopra la testa, ma epifenomeno di un corpo e di un cervello in crisi. Liberarsi dalle passioni tristi non può limitarsi a riequilibrare società ed economia. Deve ripartire dalla responsabilità, ciascuno verso la propria vita, con sobrietà di stile e impegno nello studio e nel lavoro, e verso la vita degli altri, rivalorizzando quei solidi rapporti affettivi che restano la base della salute mentale e della fiducia nel futuro.
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