Qual è il posto più insidioso per i bambini? Dove è più facile che si avvelenino? In casa! E’ lì che si cela per un piccolo il pericolo maggiore: il 91% degli incidenti in cui i bambini ingeriscono sostanze o farmaci avviene infatti nel luogo che dovrebbe essere per loro più sicuro. Nel 2005 ben 37 mila bambini italiani – uno ogni 5 ore – hanno avuto bisogno di cure mediche per avvelenamenti domestici: per alcuni di loro l’incidente è stato mortale. In altri ha lasciato conseguenze gravissime, specie quando l’ingestione ha coinvolto soda caustica, solventi o smacchiatori, che causano perforazioni e cicatrici retraenti a livello dell’esofago, fino a occluderlo, richiedendo poi interventi complessi e dolorosi per ricrearne la pervietà. Il 60% delle piccole vittime ha meno di 24 mesi: per loro i pericoli maggiori sono i detersivi e i prodotti per pulire la casa. Per i bambini al di sopra dei tre anni, invece, sono i farmaci il veleno più frequente, particolarmente pericoloso quando coinvolge sostanze eccitanti, antidepressivi e farmaci per disturbi cardiovascolari, quali ipertensione o aritmie.
Il Centro Antiveleni dell’Ospedale Niguarda di Milano ha appena presentato l’analisi qualitativa dei fattori più frequentemente coinvolti nell’avvelenamento infantile: merita analizzarli, perché possono aiutare i genitori a costruire un nido più sicuro per i loro bambini.
Un dato è agghiacciante: le ore di massima pericolosità coincidono con la preparazione del pranzo e della cena. Il picco delle chiamate al Centro Antiveleni, e dei ricoveri al Pronto Soccorso, coincide infatti con le fasce orarie 11-13 e 19-21. Come se il concentrarsi sulla preparazione del cibo abbassasse la guardia dei genitori – e della madre in particolare – sul piccolo. Il secondo momento di massima vulnerabilità dei bambini, e di massima distrazione degli adulti, coincide con un’attività molto particolare: stare al telefono perdendo d’occhio il bambino per quei pochi minuti sufficienti a far succedere una tragedia.
Come creare un nido più sicuro? Innanzitutto, modificando radicalmente alcune inveterate abitudini. Per esempio, mettere tutti i detersivi e i prodotti per pulire in genere, inclusi smacchiatori e solventi (anche per togliere lo smalto delle unghie!), nelle mensole superiori della stanza o nei piani alti di un armadio chiuso, abbandonando l’abitudine di metterli nell’armadietto sotto il lavandino, della cucina o del bagno, o comunque in posti accessibili a un bambino. Per i farmaci l’attenzione deve essere massima: l’armadietto non deve essere solo alto, ma chiuso a chiave. I bambini più grandicelli possono anche arrampicarsi su sedie e tavoli: guai a lasciare in giro qualsiasi sostanza che possa essere ingerita in un momento di svista. E’ saggio non lasciare mai farmaci nei comodini della camera da letto o dentro ad una borsa o ad un beauty-case: il colore di molte pillole è invitante per un bambino curioso, che può semplicemente prenderle per caramelle. Insegnare ai bambini a ”non toccare” è certo utile, ma arriva dopo: a due–tre anni il bambino non ha ancora raggiunto quella maturazione del lobo frontale che gli consenta di inibire volontariamente il suo desiderio di esplorare. La curiosità è intrinseca ai cuccioli di ogni specie, ma può essere fatale. Bisogna allora agire a monte in modo sistematico: sarei felice se, dopo la lettura di questi dati, i genitori, ma anche i nonni, che hanno bambini piccoli in famiglia, facessero una valutazione attenta, calma e sistematica, stanza per stanza, della pericolosità delle sostanze disseminate per l’appartamento. Due sono i criteri di attenzione: la pericolosità obiettiva della sostanza e l’attrattività della confezione (anche se il primo elemento è il più vincolante): spesso è il colore vivace della bottiglia a far credere al bambino che quel liquido sia una bibita.
Quanto al telefono, un portatile è meglio di sicuro del telefono fisso. Tuttavia, se l’attenzione alla sicurezza della casa è stata rigorosa, davvero stanza per stanza, la probabilità obiettiva di un incidente di questo tipo si riduce drasticamente.
Infine, attenzione ai fattori soggettivi di vulnerabilità: quelli che ci fanno abbassare la guardia, la concentrazione sulla sicurezza del bambino, che silenziano quel “radar” interno che ci mantiene sintonizzati e attenti sul “dov’è?” qualsiasi cosa si stia facendo. La stanchezza, per esempio, che può indurci a pensare che un altro adulto stia prendendosi cura del piccolo, senza che la consegna sia stata esplicitata con certezza: è questa, infatti, una delle cause psicologiche più frequenti di incidenti. Rischio più alto quando entrambi i genitori sono in casa (ed entrambi pensano che sia l’altro a seguire il piccolo) o ci sono i nonni o altri parenti o la stessa baby-sitter in giro. Ed è un fattore di vulnerabilità potente, e sottovalutato, anche l’attenzione dedicata alla telefonata, o comunque alla conversazione con altri.
L’impegno a evitare avvelenamenti deve essere massimo, proprio agendo sulla prevenzione in casa. Per non far soffrire inutilmente un bambino, per non devastargli la salute, per non essere divorati dai sensi di colpa, dopo, quando la casa che credevamo sicura si è dimostrata una casa avvelenata per la creatura che ci è più cara.
Il Centro Antiveleni dell’Ospedale Niguarda di Milano ha appena presentato l’analisi qualitativa dei fattori più frequentemente coinvolti nell’avvelenamento infantile: merita analizzarli, perché possono aiutare i genitori a costruire un nido più sicuro per i loro bambini.
Un dato è agghiacciante: le ore di massima pericolosità coincidono con la preparazione del pranzo e della cena. Il picco delle chiamate al Centro Antiveleni, e dei ricoveri al Pronto Soccorso, coincide infatti con le fasce orarie 11-13 e 19-21. Come se il concentrarsi sulla preparazione del cibo abbassasse la guardia dei genitori – e della madre in particolare – sul piccolo. Il secondo momento di massima vulnerabilità dei bambini, e di massima distrazione degli adulti, coincide con un’attività molto particolare: stare al telefono perdendo d’occhio il bambino per quei pochi minuti sufficienti a far succedere una tragedia.
Come creare un nido più sicuro? Innanzitutto, modificando radicalmente alcune inveterate abitudini. Per esempio, mettere tutti i detersivi e i prodotti per pulire in genere, inclusi smacchiatori e solventi (anche per togliere lo smalto delle unghie!), nelle mensole superiori della stanza o nei piani alti di un armadio chiuso, abbandonando l’abitudine di metterli nell’armadietto sotto il lavandino, della cucina o del bagno, o comunque in posti accessibili a un bambino. Per i farmaci l’attenzione deve essere massima: l’armadietto non deve essere solo alto, ma chiuso a chiave. I bambini più grandicelli possono anche arrampicarsi su sedie e tavoli: guai a lasciare in giro qualsiasi sostanza che possa essere ingerita in un momento di svista. E’ saggio non lasciare mai farmaci nei comodini della camera da letto o dentro ad una borsa o ad un beauty-case: il colore di molte pillole è invitante per un bambino curioso, che può semplicemente prenderle per caramelle. Insegnare ai bambini a ”non toccare” è certo utile, ma arriva dopo: a due–tre anni il bambino non ha ancora raggiunto quella maturazione del lobo frontale che gli consenta di inibire volontariamente il suo desiderio di esplorare. La curiosità è intrinseca ai cuccioli di ogni specie, ma può essere fatale. Bisogna allora agire a monte in modo sistematico: sarei felice se, dopo la lettura di questi dati, i genitori, ma anche i nonni, che hanno bambini piccoli in famiglia, facessero una valutazione attenta, calma e sistematica, stanza per stanza, della pericolosità delle sostanze disseminate per l’appartamento. Due sono i criteri di attenzione: la pericolosità obiettiva della sostanza e l’attrattività della confezione (anche se il primo elemento è il più vincolante): spesso è il colore vivace della bottiglia a far credere al bambino che quel liquido sia una bibita.
Quanto al telefono, un portatile è meglio di sicuro del telefono fisso. Tuttavia, se l’attenzione alla sicurezza della casa è stata rigorosa, davvero stanza per stanza, la probabilità obiettiva di un incidente di questo tipo si riduce drasticamente.
Infine, attenzione ai fattori soggettivi di vulnerabilità: quelli che ci fanno abbassare la guardia, la concentrazione sulla sicurezza del bambino, che silenziano quel “radar” interno che ci mantiene sintonizzati e attenti sul “dov’è?” qualsiasi cosa si stia facendo. La stanchezza, per esempio, che può indurci a pensare che un altro adulto stia prendendosi cura del piccolo, senza che la consegna sia stata esplicitata con certezza: è questa, infatti, una delle cause psicologiche più frequenti di incidenti. Rischio più alto quando entrambi i genitori sono in casa (ed entrambi pensano che sia l’altro a seguire il piccolo) o ci sono i nonni o altri parenti o la stessa baby-sitter in giro. Ed è un fattore di vulnerabilità potente, e sottovalutato, anche l’attenzione dedicata alla telefonata, o comunque alla conversazione con altri.
L’impegno a evitare avvelenamenti deve essere massimo, proprio agendo sulla prevenzione in casa. Per non far soffrire inutilmente un bambino, per non devastargli la salute, per non essere divorati dai sensi di colpa, dopo, quando la casa che credevamo sicura si è dimostrata una casa avvelenata per la creatura che ci è più cara.