Tra i fattori innati, domina il genere di appartenenza. Le bambine, per esempio, parlano in genere prima e meglio dei maschi e soffrono meno di dislessia, ossia di disturbi del linguaggio: differenze dovute sia ad una diversità anatomica cerebrale sia ad un diverso effetto degli ormoni sulla connettività delle cellule nervose nelle aree cerebrali deputate alla parola. Tra i fattori innati stanno anche l’intelligenza cognitiva, e in particolare lo sviluppo dell’area del linguaggio, ed emotiva, che vengono tuttavia grandemente modulate da fattori post-natali; ma anche l’orecchio, la sensibilità acustica a cogliere i suoni e l’orecchio “musicale”: le parole sono suoni e chi ha questo talento è più rapido nell’apprendere le lingue (la propria ma anche le straniere) con pronuncia e intonazione appropriate. Di converso, l’avere una limitazione acustica – per esempio anche una sordità parziale – mina la possibilità di esprimersi, anche perché alcuni suoni sono molto più difficili da imitare e riprodurre se l’udito è stato acquisito dopo l’anno e mezzo di vita. Di qui l’importanza di una valutazione accurata e precocissima della capacità uditiva in ogni neonato e nei successivi controlli pediatrici.
Ed ecco i fattori acquisiti, modificabili e dunque dipendenti da noi e dall’educazione che abbiamo ricevuto. Possiamo sempre migliorarli in noi ma anche in figli, nipoti, allievi o più giovani amici, se vogliamo arricchire e potenziare il loro stile comunicativo. Il primo fattore è l’ambiente in cui si cresce. I bambini imparano per imitazione, con un vantaggio netto di memorizzazione se l’apprendimento è associato a emozioni positive – di amore, attenzione, gratificazione, empatia – e un blocco, anche totale, di talenti magari straordinari, se l’ambiente familiare è stato tossico dal punto di vista emotivo. Più si è accurati nel parlare ai bambini – evitando rozzezze, insulti e volgarità inutili – più apprenderanno parole ed espressioni appropriate. Mi delizio quando sento una mamma, una nonna, un papà attento correggere con gentilezza un errore sintattico, una parola mal pronunciata e sento il bambino che la ripete correttamente, cercando al contempo lo sguardo affettuoso e sorridente di approvazione.
Il dominio del linguaggio richiede allenamento, ripetizione, gusto, divertimento. Ma anche imparare ad ascoltarsi, mentre si ripetono a voce alta nozioni e concetti. Per ogni bambino è un allenamento formidabile avere un adulto che ascolta le lezioni: in molti casi sembra essere più efficace il papà con le femmine e la mamma con i maschietti. Forse perché le mamme sono più pazienti con gli strafalcioni dei figli e i papà più incoraggianti e preziosi per l’autostima delle bambine. Resta il fatto che quando i genitori, o i benefici nonni, riescono a regalare a sé e ai figli almeno un’ora al giorno per l’ascolto a voce alta dei compiti, i bambini si esprimono molto meglio dei coetanei che ripetono da soli e solo mentalmente. Si crea infatti un rinforzo positivo tra il sentire la propria voce che articola correttamente parole e pensieri e l’adulto che fa da specchio autorevole, affettuosamente correggendo e migliorando l’esposizione.
Inoltre, il linguaggio è fatto di strutture fisse – per esempio le strutture portanti del linguaggio come grammatica e sintassi – e addirittura del tutto compiute come i modi di dire (che vanno imparati a memoria anche quando si apprende una lingua straniera), e di strutture flessibili, quali l’immensa varietà di combinazioni costruibili, tanto più ricca quanto maggiore è il numero di vocaboli e di espressioni conosciuto. Tra i fattori acquisiti, che fanno la differenza, stanno allora la lettura – che nutre il cervello non solo di parole ma di emozioni e di musica linguistica – e l’apprendere a memoria, poesie ma anche frasi che ci colpiscono per concisione, efficacia, bellezza, musicalità.
Purtroppo l’apprendere a memoria è oggi trascurato nella scuola, come pesante e retrivo retaggio del passato. Non lo è: come ci dà gioia imparare a memoria una canzone e ricantarla a distanza di anni, rivivendo la stessa emozione di decenni prima (come conferma il grande successo delle trasmissioni televisive che ripropongono le canzoni del passato), perché non consentirci anche le emozioni che ci vengono dall’apprendere a memoria una poesia per ritrovarla bellissima e intatta negli anni a venire?
La memoria è una funzione del cervello e il linguaggio non esiste senza memoria: quanto stiamo male quando non ci vengono in mente la parola giusta o il nome appropriato? Più alleniamo linguaggio e memoria, più si consolidano: più parole ed espressioni impariamo, più abbiamo la possibilità di ripeterle a voce alta, più si radicano indelebilmente nel nostro cervello. Perché non incoraggiamo anche i nostri piccoli ad imparare a memoria almeno le poesie o i piccoli brani che amano, e a ripeterli a voce alta? Come un bel gioco e un bell’allenamento. Parafrasando Patrick Suskind, chi domina la parola domina il cuore degli uomini... purché abbia qualcosa da dire.
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