Che cosa tiene gli italiani di ogni età incollati al video per seguire su ogni rete e ad ogni ora del giorno e della notte la tragedia di Sarah Scazzi, con picchi di audience impensabili? Quali bisogni soddisfa questa attenzione collettiva viscerale, che non sembra far differenze tra adolescenti e anziani, tra maschi e femmine, tra Nord e Sud, tra città e campagne, tra ricchi e poveri? Quali pulsioni stimola? Quali desideri placa? Quali corde dell’anima suona?
Le ragioni sono molteplici. In ognuno di noi possono essere diverse le motivazioni profonde che ci tengono quasi ipnotizzati sul video, contro ogni ragione di buon gusto, di opportunità, di rispetto anche per il dolore e la tragedia che si dipana sotto i nostri occhi, distruggendo non solo una vita ma due famiglie e un’intera comunità che balza alla cronaca per un delitto orrendo. Innnazitutto, c’è la forza narrativa di questa brutta storia, che dal 26 agosto, giorno della scomparsa di Sarah, presenta colpi di scena sorprendenti. Avvince, attrae, catalizza attenzioni, emozioni, ipotesi: perché all’inizio è un giallo con presenze forti dal punto di vista del racconto e dell’incisività mediatica. La protagonista, Sarah, è una presenza-assenza fragile e bella, sola, tenero specchio di tutte le solitudini, le insicurezze, i sogni, le vulnerabilità di una generazione intera di adolescenti. Domina i media con le sue foto, la sua fragilità, i suoi video che raccontano di una vita che è già un’ombra. Tutti “sapevamo” che era già morta ma insieme ancora viva, in ogni immagine e in ogni dialogo su di lei. Una ragazza di famiglia, ormai.
In lei si specchiano le ragazze, ma anche tutte le donne che ricordano le stesse inquietudini, le stesse insoddisfazioni, la stessa asfissia da provincia, la frustrazione di sogni nel cassetto divenuti troppo presto rimpianti, o tentativi di altro futuro diventati insidia feroce o abuso inconfessato, anche se non mortale. E sono molte le donne che sull’onda della tragedia di Sara hanno trovato in questi giorni il coraggio di parlare con il proprio medico, o la psicoterapeuta, di violenze e abusi subiti e taciuti per anni. Il giallo diventa rapidamente psicodramma, con il volto tragico della madre che non piange, ma chiede di aiutare a trovare la figlia scomparsa, chiede di non dimenticare. In lei si identificano tutte le madri che sanno per vita le insidie dell’adolescenza, oggi più di ieri, le difficoltà di dialogo e comprensione, i mutismi, il senso di estraneità con le figlie, così duro da reggere, a volte. E riconoscono negli scogli di quel volto sentimenti familiari del pari inespressi, e rischi simili, forse già diventati realtà. Sono inchiodati al video i maschi, perché la storia è un thriller a sfondo sessuale, dove si muovono passioni inconfessabili, che diventano più oscure e inquietanti con lo scorrere dei giorni, dove sesso e morte si intrecciano sempre più morbosamente. Restano inchiodati, i maschi, perché ad ogni età riconoscono la forza oscura del desiderio per un giovane corpo adolescente, la voglia arcaica di profanazione del corpo virgineo che ancora è radicata nel retrocervello di ancora troppi maschi, non sempre tenuta a bada da autocontrollo e senso di opportunità, se non dal sempre più fragile senso etico. Sono attratti, tutti, da queste figure di protagonisti adulti – uomini e donne – dai modi primitivi e rozzi, da un assassinio che ha i tratti dell’arbitrio sadico, forse culminato in una ancor più rara profanazione sessuale dopo la morte. Il senso del torbido, del morboso, del proibito, del macabro, tutto quanto si agita di oscuro nel profondo del nostro inconscio è attratto da questa storia come dalla più potente delle calamite. “Parla di sesso e catturi l’inconscio”, diceva Freud. Ma catturare l’inconscio significa avere la chiave per pilotare l’immaginario, per sedurre l’attenzione, per polarizzare anche le scelte su che cosa guardare in TV. In questo, gli italiani hanno un record europeo: il nostro Paese, più di ogni altro, fa i picchi di audience, anche nei TG, sui temi di cronaca nera, ancor più se a sfondo sessuale. E allora forse pesa, in questa seduzione collettiva per il morboso e il mortifero, una cultura della doppia morale, in cui il perbenismo di superficie copre voragini di desideri e pulsioni inconfessabili, o vissute nell’ombra dell’omertà privata, con abusi e molestie rimaste nei pesanti segreti di famiglia.
Il rischio è che la spettacolarizzazione di una tragedia la trasformi in fiction, consentendo a chi guarda di trarne il piacere oscuro che la frequentazione del morboso ci dà, ad ogni età, mentre chiudiamo gli occhi su tante altre violenze che intanto continuano, lo ripeto, dentro e fuori le nostre case. Rendendo il desiderio oscuro così familiare e concreto che altri potrebbero essere tentati di viverlo non solo nei sogni inconfessabili, ma nella realtà.
Le ragioni sono molteplici. In ognuno di noi possono essere diverse le motivazioni profonde che ci tengono quasi ipnotizzati sul video, contro ogni ragione di buon gusto, di opportunità, di rispetto anche per il dolore e la tragedia che si dipana sotto i nostri occhi, distruggendo non solo una vita ma due famiglie e un’intera comunità che balza alla cronaca per un delitto orrendo. Innnazitutto, c’è la forza narrativa di questa brutta storia, che dal 26 agosto, giorno della scomparsa di Sarah, presenta colpi di scena sorprendenti. Avvince, attrae, catalizza attenzioni, emozioni, ipotesi: perché all’inizio è un giallo con presenze forti dal punto di vista del racconto e dell’incisività mediatica. La protagonista, Sarah, è una presenza-assenza fragile e bella, sola, tenero specchio di tutte le solitudini, le insicurezze, i sogni, le vulnerabilità di una generazione intera di adolescenti. Domina i media con le sue foto, la sua fragilità, i suoi video che raccontano di una vita che è già un’ombra. Tutti “sapevamo” che era già morta ma insieme ancora viva, in ogni immagine e in ogni dialogo su di lei. Una ragazza di famiglia, ormai.
In lei si specchiano le ragazze, ma anche tutte le donne che ricordano le stesse inquietudini, le stesse insoddisfazioni, la stessa asfissia da provincia, la frustrazione di sogni nel cassetto divenuti troppo presto rimpianti, o tentativi di altro futuro diventati insidia feroce o abuso inconfessato, anche se non mortale. E sono molte le donne che sull’onda della tragedia di Sara hanno trovato in questi giorni il coraggio di parlare con il proprio medico, o la psicoterapeuta, di violenze e abusi subiti e taciuti per anni. Il giallo diventa rapidamente psicodramma, con il volto tragico della madre che non piange, ma chiede di aiutare a trovare la figlia scomparsa, chiede di non dimenticare. In lei si identificano tutte le madri che sanno per vita le insidie dell’adolescenza, oggi più di ieri, le difficoltà di dialogo e comprensione, i mutismi, il senso di estraneità con le figlie, così duro da reggere, a volte. E riconoscono negli scogli di quel volto sentimenti familiari del pari inespressi, e rischi simili, forse già diventati realtà. Sono inchiodati al video i maschi, perché la storia è un thriller a sfondo sessuale, dove si muovono passioni inconfessabili, che diventano più oscure e inquietanti con lo scorrere dei giorni, dove sesso e morte si intrecciano sempre più morbosamente. Restano inchiodati, i maschi, perché ad ogni età riconoscono la forza oscura del desiderio per un giovane corpo adolescente, la voglia arcaica di profanazione del corpo virgineo che ancora è radicata nel retrocervello di ancora troppi maschi, non sempre tenuta a bada da autocontrollo e senso di opportunità, se non dal sempre più fragile senso etico. Sono attratti, tutti, da queste figure di protagonisti adulti – uomini e donne – dai modi primitivi e rozzi, da un assassinio che ha i tratti dell’arbitrio sadico, forse culminato in una ancor più rara profanazione sessuale dopo la morte. Il senso del torbido, del morboso, del proibito, del macabro, tutto quanto si agita di oscuro nel profondo del nostro inconscio è attratto da questa storia come dalla più potente delle calamite. “Parla di sesso e catturi l’inconscio”, diceva Freud. Ma catturare l’inconscio significa avere la chiave per pilotare l’immaginario, per sedurre l’attenzione, per polarizzare anche le scelte su che cosa guardare in TV. In questo, gli italiani hanno un record europeo: il nostro Paese, più di ogni altro, fa i picchi di audience, anche nei TG, sui temi di cronaca nera, ancor più se a sfondo sessuale. E allora forse pesa, in questa seduzione collettiva per il morboso e il mortifero, una cultura della doppia morale, in cui il perbenismo di superficie copre voragini di desideri e pulsioni inconfessabili, o vissute nell’ombra dell’omertà privata, con abusi e molestie rimaste nei pesanti segreti di famiglia.
Il rischio è che la spettacolarizzazione di una tragedia la trasformi in fiction, consentendo a chi guarda di trarne il piacere oscuro che la frequentazione del morboso ci dà, ad ogni età, mentre chiudiamo gli occhi su tante altre violenze che intanto continuano, lo ripeto, dentro e fuori le nostre case. Rendendo il desiderio oscuro così familiare e concreto che altri potrebbero essere tentati di viverlo non solo nei sogni inconfessabili, ma nella realtà.
Abuso, molestie, stalking, violenza sessuale e domestica Adolescenti e giovani Omicidio / Femminicidio / Infanticidio Riflessioni di vita