L’illusione di libertà non è mai stata così forte. Illusione pericolosa, perché ci lascia a guardia bassa. In realtà siamo tutti a rischio di avere i cervelli omogeneizzati, impoveriti se non atrofizzati, quante più ore passiamo letteralmente appesi al telefonino. Basta guardarsi intorno: la qualità e la frequenza delle interazioni sociali dirette, verbali, fisiche, corporee, è inversamente proporzionale alla quantità di ore passate davanti ai social media. Il lockdown ha contribuito. Tuttavia la dipendenza crescente dallo smartphone, dai suoi messaggi brevissimi e sincopati, dai contenuti visivi veloci come raffiche ed effimeri come coriandoli, ci priva, e priva i nostri figli, di un’altra dimensione ancora più essenziale al principio di libertà e di autonomia: un rapporto di riflessione non disturbato con se stessi.
Per il cervello, questo incessante fluire di messaggi e immagini, spesso di contenuto modesto, è come ricevere scossette continue, come se il nostro corpo ricevesse continui spintoni: difficile concentrarsi. Difficile mantenere l’attenzione su un pensiero, un progetto, un apprendimento. Difficilissimo l’ascolto selettivo. Ardua la selezione di quanto sia veramente rilevante. Impossibile l’apprendimento strutturato di qualsiasi materia. Per apprendere a fondo e praticare con perizia una lingua, uno sport, una professione, sono necessarie diecimila ore di pratica: ma di pratica concentrata, dedicata, esigente, assoluta. Non si impara a suonare uno strumento continuando a rispondere ai messaggi o controllando in continuazione le mail o i whatsapp. Non si eccelle in uno sport se ci si allena appesi al telefonino. Perché i cellulari non vengono semplicemente proibiti durante le ore di scuola, ora che si torna in classe, e durante il lavoro che non lo richieda come mezzo necessario di comunicazione professionale?
Non è una questione marginale. Questa modalità ossessiva e dipendente di interazione sociale sta cambiando l’anatomia funzionale del cervello. Aumentano le connessioni nelle aree visive, ma si stanno tragicamente impoverendo le connessioni neuronali, se non il numero stesso di neuroni attivi, nelle aree del pensiero associativo (quello creativo), nelle aree della memoria, del pensiero logico-lineare e perfino nelle aree del linguaggio.
«Mio figlio parla anche l’inglese!», dice qualcuno. Quale inglese? Il linguaggio della sopravvivenza quotidiana non è “parlare una lingua”. E’ improbabile che l’inglese (o qualsiasi altro idioma) sia di qualità, se non c’è una conoscenza appropriata, variata e strutturata, della lingua madre, per noi l’italiano. La padronanza linguistica è espressione della qualità del pensiero che la ispira, e viceversa. La scelta accurata delle parole e delle espressioni modifica il pensiero, sia in chi elabora il concetto, sia in chi ascolta, se è concentrato.
Come allenare la capacità di pensiero autonomo, unica premessa a scelte libere e non pilotate dalle suggestioni subliminali che ormai arrivano sempre più insidiose? Basti osservare la raffinatezza persuasiva di alcune pubblicità, di alcune fake così convincenti da diventare virali in pochi minuti, e la pericolosità degli algoritmi con cui i vari google monitorano le nostre preferenze e ci propongono temi affini. Come proteggere il nostro cervello da un disturbo ormai epidemico fra i giovani, il deficit di attenzione e iperattività, e da un’atrofia prematura nelle decadi più avanzate? La prima elementare opzione è privilegiare qualche ora di silenzio-social. Chiudere il telefonino alcune ore al giorno. Si vive meglio. Chiuderlo se si deve studiare, consentendo dei “corridoi telefonici” per le comunicazioni necessarie, ma proteggendo poi il silenzio indispensabile per un apprendimento di qualità. E tornare a leggere un buon libro: è il vero anticonformismo. In tempi tragicamente conformisti, la maggioranza delle persone si specchia nel telefonino, anche quando cammina, o fa l’amore. Silenziarlo o spegnerlo per qualche ora è una sublime forma di libertà.
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