Ecco il grande paradosso contemporaneo: (quasi) tutti consultano oroscopi, in tutti gli aspetti della vita. Sempre meno persone, ad ogni età, si chiedono invece: «Che cosa succederà, a me e agli altri, se mi comporto così? O se non mi comporto così?». Eppure tutti dovremmo sapere la grande verità che gli antichi romani dicevano in quattro parole: «Astra inclinant, non necessitant» (gli astri predispongono, non obbligano). Mentre invece erano stringenti sul principio della responsabilità personale: «Faber est suae quisque fortunae» (ciascuno è artefice del proprio destino).
Che cosa ci sta succedendo? Perché non pre-vediamo le conseguenze del nostro agire su un principio di realtà? Perché stiamo tradendo il principio della responsabilità personale? Perché ci affidiamo alle stelle, naufraghi inquieti dall’incerto destino, se non ci impegniamo a pilotare in prima persona e con grande attenzione la barca della nostra vita?
Nella decadenza etica contemporanea il fattore chiave è la minore attenzione alle conseguenze personali, a medio e lungo termine, delle proprie azioni e delle proprie omissioni, a livello sia privato sia politico. Vale per gli adolescenti, che vegetano in numero crescente in un “qui e ora” minimalista, fatto di selfie e di like, per finire poi nel grande anonimato dei NEET (not engaged in education, employment and training, non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione), anticamera di un deprimente fallimento esistenziale. Vale per chi beve, fuma, si droga e/o vegeta inattivo, senza fare un passo, senza pensare che il corpo ricorda tutto: accumula tutto, nel bene e nel male; fa provvista di salute, quando seguiamo sani stili di vita; accumula veleni e cicatrici, quando lo intossichiamo chimicamente, fisicamente, emotivamente. Un cervello avvelenato pensa peggio. Un corpo avvelenato vive peggio.
Non è solo questione di droghe, ma anche di veleni alimentari, per quantità e qualità. L’epidemia di obesità e di diabete pone quesiti cardinali sulla responsabilità personale: dire che sono “malattie” o che sono “genetiche” diventa un alibi per non assumersi la responsabilità di dimagrire, di camminare, di controllare la glicemia, di impegnarsi insomma ogni giorno per minimizzare i rischi. «Anche mia nonna e mia mamma erano diabetiche, che ci posso fare?», mi dice la signora di 92 chili (per un metro e sessanta d’altezza), con la glicemia a livelli vertiginosi nonostante i suoi 41 anni. «E’ tutta colpa della genetica!», aggiunge. Non proprio. Vale per i geni quello che vale per le stelle. Predispongono, non obbligano. Con stili di vita rigorosi, a parità di geni per il diabete, la malattia si manifesterà più avanti negli anni e in forma lieve. Di converso, senza attenzione al comportamento quotidiano, senza senso di responsabilità, senza capire che un dolcetto ogni giorno mina ogni giorno il cervello, il cuore, le retine, i nervi e i reni significa consegnarsi in anticipo fra i tentacoli di una malattia temibile e troppo sottovalutata, qual è il diabete. Quando la glicemia per anni elevata avrà causato la microangiopatia diabetica, sarà troppo tardi per evitare le ulcere croniche che possono portare all’amputazione dei piedi. Sarà tardi per evitare l’angina o l’infarto. Tardi per la sofferenza renale grave (“nefropatia diabetica”). Tardi per le conseguenze della neuropatia diabetica, che ci consegna ad anni di dolore, di cecità o di sordità anticipate e invalidanti. Tardi per il deterioramento cerebrale.
La stessa indifferenza alle conseguenze del proprio agire riguarda i comportamenti sociali. Dai pedoni che attraversano d’improvviso fuori dalle strisce, col telefonino in mano e col semaforo rosso, ai ciclisti contromano, a chi si mette alla guida dopo aver bevuto. Dopo l’incidente, disperarsi o pentirsi non ci restituirà un corpo sano, né riporterà in vita le persone che abbiamo ucciso.
Il mondo è sempre più complesso. Aumentano le variabili che non controlliamo. Tuttavia, se tutti rispettassimo le regole, e ci interrogassimo prima sulle conseguenze del nostro agire, miglioreremmo la nostra e altrui vita. Essere affidabili, accurati, responsabili migliora la vita personale. Forse non funziona nelle carriere, in un mondo di crescente corruzione. Tuttavia vivere più sani, più sereni e longevi, con molta luce dentro all’anima e con rapporti umani (pochi e scelti) di grande qualità, è già un traguardo straordinario, in ogni vita. Perché non impegnarci, con passione quotidiana?
Che cosa ci sta succedendo? Perché non pre-vediamo le conseguenze del nostro agire su un principio di realtà? Perché stiamo tradendo il principio della responsabilità personale? Perché ci affidiamo alle stelle, naufraghi inquieti dall’incerto destino, se non ci impegniamo a pilotare in prima persona e con grande attenzione la barca della nostra vita?
Nella decadenza etica contemporanea il fattore chiave è la minore attenzione alle conseguenze personali, a medio e lungo termine, delle proprie azioni e delle proprie omissioni, a livello sia privato sia politico. Vale per gli adolescenti, che vegetano in numero crescente in un “qui e ora” minimalista, fatto di selfie e di like, per finire poi nel grande anonimato dei NEET (not engaged in education, employment and training, non impegnati nello studio, nel lavoro o nella formazione), anticamera di un deprimente fallimento esistenziale. Vale per chi beve, fuma, si droga e/o vegeta inattivo, senza fare un passo, senza pensare che il corpo ricorda tutto: accumula tutto, nel bene e nel male; fa provvista di salute, quando seguiamo sani stili di vita; accumula veleni e cicatrici, quando lo intossichiamo chimicamente, fisicamente, emotivamente. Un cervello avvelenato pensa peggio. Un corpo avvelenato vive peggio.
Non è solo questione di droghe, ma anche di veleni alimentari, per quantità e qualità. L’epidemia di obesità e di diabete pone quesiti cardinali sulla responsabilità personale: dire che sono “malattie” o che sono “genetiche” diventa un alibi per non assumersi la responsabilità di dimagrire, di camminare, di controllare la glicemia, di impegnarsi insomma ogni giorno per minimizzare i rischi. «Anche mia nonna e mia mamma erano diabetiche, che ci posso fare?», mi dice la signora di 92 chili (per un metro e sessanta d’altezza), con la glicemia a livelli vertiginosi nonostante i suoi 41 anni. «E’ tutta colpa della genetica!», aggiunge. Non proprio. Vale per i geni quello che vale per le stelle. Predispongono, non obbligano. Con stili di vita rigorosi, a parità di geni per il diabete, la malattia si manifesterà più avanti negli anni e in forma lieve. Di converso, senza attenzione al comportamento quotidiano, senza senso di responsabilità, senza capire che un dolcetto ogni giorno mina ogni giorno il cervello, il cuore, le retine, i nervi e i reni significa consegnarsi in anticipo fra i tentacoli di una malattia temibile e troppo sottovalutata, qual è il diabete. Quando la glicemia per anni elevata avrà causato la microangiopatia diabetica, sarà troppo tardi per evitare le ulcere croniche che possono portare all’amputazione dei piedi. Sarà tardi per evitare l’angina o l’infarto. Tardi per la sofferenza renale grave (“nefropatia diabetica”). Tardi per le conseguenze della neuropatia diabetica, che ci consegna ad anni di dolore, di cecità o di sordità anticipate e invalidanti. Tardi per il deterioramento cerebrale.
La stessa indifferenza alle conseguenze del proprio agire riguarda i comportamenti sociali. Dai pedoni che attraversano d’improvviso fuori dalle strisce, col telefonino in mano e col semaforo rosso, ai ciclisti contromano, a chi si mette alla guida dopo aver bevuto. Dopo l’incidente, disperarsi o pentirsi non ci restituirà un corpo sano, né riporterà in vita le persone che abbiamo ucciso.
Il mondo è sempre più complesso. Aumentano le variabili che non controlliamo. Tuttavia, se tutti rispettassimo le regole, e ci interrogassimo prima sulle conseguenze del nostro agire, miglioreremmo la nostra e altrui vita. Essere affidabili, accurati, responsabili migliora la vita personale. Forse non funziona nelle carriere, in un mondo di crescente corruzione. Tuttavia vivere più sani, più sereni e longevi, con molta luce dentro all’anima e con rapporti umani (pochi e scelti) di grande qualità, è già un traguardo straordinario, in ogni vita. Perché non impegnarci, con passione quotidiana?
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