Lo sport è indispensabile alla formazione di una personalità equilibrata? Forse sì. O meglio, è una condizione necessaria, ancorché non sufficiente.
Questa magnifica edizione delle Olimpiadi invernali ha suggerito a tutti noi molti pensieri positivi. E già questo è un merito raro, specie in tempi cinici e disincantati come questi. Pensieri belli e grati a Torino, innanzitutto, città europea per stile, educazione, riservatezza, rigore, understatement, che ha saputo unire le forze migliori per dare a un evento sportivo un cuore grande, una sicurezza ineccepibile, una bellezza che ha saputo toccare tutti i sensi. Pur orfana del re, la città si è espressa in una sintesi di eccellenza che ci ha resi orgogliosi di essere italiani. Secondo, sugli atleti del Nord-est, che ci hanno resi grandi anche dal punto di vista del merito sportivo. Atleti discreti e silenziosi, a volte più stimati all’estero che non in Italia, cresciuti lontano dai riflettori. Atleti e atlete che si sono preparati per anni, giorno dopo giorno. Che hanno macinato tonnellate di fatica, e che in punta di piedi, silenziosi camminando ai margini del grande circo mediatico, sono arrivati pronti al momento della grande chiamata. Per tutti penso ai fondisti e a Giorgio Di Centa. A loro, a lui, ora che l’ultima eco della festa si è acquietata, va il mio grazie più grande. Per l’emozione impareggiabile che mi (ci) ha regalato, vincendo alla grande una gara di fatica spaventosa, con l’espressione serena e semplice di chi ha fatto fino in fondo il proprio dovere, senza far rumore. Per lo stupore ammirato di vedere ancora una volta un altro italiano concludere la più impegnativa delle gare, 50 chilometri di tenacia, di intelligenza tattica e di cuore, dopo l’Atene dell’altrettanto grande Stefano Baldini. Per la felicità di vedere il popolo di un intero stadio alzarsi in piedi, rispettoso e ammirato, orgoglioso del campione italiano. Per la tenerezza di vedere una sorella straordinaria premiare raggiante e commossa il fratello finalmente uscito dalla sua ombra luminosa, per vivere a sua volta un giorno così bello che vale una vita. E per l’esempio che viene da lui e da tutti gli sportivi che si sono impegnati in discipline di fatica per raggiungere l’eccellenza.
Lo sport, soprattutto lo sci di fondo, che ancora si muove in mezzo alla natura e ai boschi, è una grande metafora della vita di qualità: non bastano i talenti, il denaro, le raccomandazioni, una nascita privilegiata, o la prostituzione di sé e del proprio corpo, tanto di moda oggi, per eccellere. O per conquistare un posto al sole. No. I talenti, fisici e psichici, devono essere allenati, forgiati, migliorati, ottimizzati. Il carattere va temprato, giorno dopo giorno, con disciplina ineccepibile. Non solo rispettando le regole di quello sport ma, innanzitutto, rispettando lo stile di vita che consente al corpo, e alla mente, di prepararsi al meglio. Ogni sconfitta non va minimizzata, o attribuita ad altri. Va analizzata, con piena assunzione di responsabilità, comprendendo dove si più migliorare. La fatica fisica e psichica, tanto vituperata oggi, non può essere che personale. Perché è solo la conquista personale dei risultati che è nostra per sempre. La competenza individuale, nello sport come nella vita, è la certezza che nessuno ci può togliere. E’ la spada di Brenno che nulla può comprare. Che spaventa, anche, perché ha una forza dirompente, che è tanto più impressionante quanto più le parole fatica, disciplina, allenamento, preparazione, frustrazione ottimale, sono scomparse dal lessico educativo contemporaneo e dal contesto professionale. Chi è competente, oggi, si staglia altissimo, perché la mediocrità dilaga. Non è possibile far crescere sani, di corpo e di mente, i nostri figli, se li priviamo di quell’apprendimento indispensabile alle difficoltà della vita che ci viene sia dal recuperare un atteggiamento mentale di sana competizione e di cura quotidiana dei talenti, sia dalla pratica rigorosa di uno sport, con le sue fatiche e il giusto e continuativo impegno che richiede. Purtroppo, sono proprio i genitori che spesso, per paura che il proprio piccino “fatichi”, sudi in qualche sport faticoso, o debba subire la frustrazione di qualche sconfitta, preferiscono fargli condurre una vita di piccoli agi, iperprotetta, di fatto annoiante e narcotizzante, e obesa nel corpo e nello spirito, con gli esiti che vediamo.
Anche per questo ho una proposta affettuosa per il nostro Presidente Carlo Azeglio Ciampi. Perché non dare una medaglia al valore civile ai genitori di Giorgio e Manuela Di Centa? Due ragazzi d’oro così, non solo dotati dal punto di vista caratteriale e atletico, ma educati a sopportare la fatica, la frustrazione, i giorni bui, le critiche e le solitudini, per coltivare l’eccellenza, non crescono per caso. In questi genitori c’è la grande anima friulana, e il suo cuore antico, forgiato da secoli di fatica e di senso etico della vita, che crede ancora all’importanza di dare ai figli ideali grandi e la tenacia, la forza e il coraggio per perseguirli. Che bello poterci credere ancora.
Questa magnifica edizione delle Olimpiadi invernali ha suggerito a tutti noi molti pensieri positivi. E già questo è un merito raro, specie in tempi cinici e disincantati come questi. Pensieri belli e grati a Torino, innanzitutto, città europea per stile, educazione, riservatezza, rigore, understatement, che ha saputo unire le forze migliori per dare a un evento sportivo un cuore grande, una sicurezza ineccepibile, una bellezza che ha saputo toccare tutti i sensi. Pur orfana del re, la città si è espressa in una sintesi di eccellenza che ci ha resi orgogliosi di essere italiani. Secondo, sugli atleti del Nord-est, che ci hanno resi grandi anche dal punto di vista del merito sportivo. Atleti discreti e silenziosi, a volte più stimati all’estero che non in Italia, cresciuti lontano dai riflettori. Atleti e atlete che si sono preparati per anni, giorno dopo giorno. Che hanno macinato tonnellate di fatica, e che in punta di piedi, silenziosi camminando ai margini del grande circo mediatico, sono arrivati pronti al momento della grande chiamata. Per tutti penso ai fondisti e a Giorgio Di Centa. A loro, a lui, ora che l’ultima eco della festa si è acquietata, va il mio grazie più grande. Per l’emozione impareggiabile che mi (ci) ha regalato, vincendo alla grande una gara di fatica spaventosa, con l’espressione serena e semplice di chi ha fatto fino in fondo il proprio dovere, senza far rumore. Per lo stupore ammirato di vedere ancora una volta un altro italiano concludere la più impegnativa delle gare, 50 chilometri di tenacia, di intelligenza tattica e di cuore, dopo l’Atene dell’altrettanto grande Stefano Baldini. Per la felicità di vedere il popolo di un intero stadio alzarsi in piedi, rispettoso e ammirato, orgoglioso del campione italiano. Per la tenerezza di vedere una sorella straordinaria premiare raggiante e commossa il fratello finalmente uscito dalla sua ombra luminosa, per vivere a sua volta un giorno così bello che vale una vita. E per l’esempio che viene da lui e da tutti gli sportivi che si sono impegnati in discipline di fatica per raggiungere l’eccellenza.
Lo sport, soprattutto lo sci di fondo, che ancora si muove in mezzo alla natura e ai boschi, è una grande metafora della vita di qualità: non bastano i talenti, il denaro, le raccomandazioni, una nascita privilegiata, o la prostituzione di sé e del proprio corpo, tanto di moda oggi, per eccellere. O per conquistare un posto al sole. No. I talenti, fisici e psichici, devono essere allenati, forgiati, migliorati, ottimizzati. Il carattere va temprato, giorno dopo giorno, con disciplina ineccepibile. Non solo rispettando le regole di quello sport ma, innanzitutto, rispettando lo stile di vita che consente al corpo, e alla mente, di prepararsi al meglio. Ogni sconfitta non va minimizzata, o attribuita ad altri. Va analizzata, con piena assunzione di responsabilità, comprendendo dove si più migliorare. La fatica fisica e psichica, tanto vituperata oggi, non può essere che personale. Perché è solo la conquista personale dei risultati che è nostra per sempre. La competenza individuale, nello sport come nella vita, è la certezza che nessuno ci può togliere. E’ la spada di Brenno che nulla può comprare. Che spaventa, anche, perché ha una forza dirompente, che è tanto più impressionante quanto più le parole fatica, disciplina, allenamento, preparazione, frustrazione ottimale, sono scomparse dal lessico educativo contemporaneo e dal contesto professionale. Chi è competente, oggi, si staglia altissimo, perché la mediocrità dilaga. Non è possibile far crescere sani, di corpo e di mente, i nostri figli, se li priviamo di quell’apprendimento indispensabile alle difficoltà della vita che ci viene sia dal recuperare un atteggiamento mentale di sana competizione e di cura quotidiana dei talenti, sia dalla pratica rigorosa di uno sport, con le sue fatiche e il giusto e continuativo impegno che richiede. Purtroppo, sono proprio i genitori che spesso, per paura che il proprio piccino “fatichi”, sudi in qualche sport faticoso, o debba subire la frustrazione di qualche sconfitta, preferiscono fargli condurre una vita di piccoli agi, iperprotetta, di fatto annoiante e narcotizzante, e obesa nel corpo e nello spirito, con gli esiti che vediamo.
Anche per questo ho una proposta affettuosa per il nostro Presidente Carlo Azeglio Ciampi. Perché non dare una medaglia al valore civile ai genitori di Giorgio e Manuela Di Centa? Due ragazzi d’oro così, non solo dotati dal punto di vista caratteriale e atletico, ma educati a sopportare la fatica, la frustrazione, i giorni bui, le critiche e le solitudini, per coltivare l’eccellenza, non crescono per caso. In questi genitori c’è la grande anima friulana, e il suo cuore antico, forgiato da secoli di fatica e di senso etico della vita, che crede ancora all’importanza di dare ai figli ideali grandi e la tenacia, la forza e il coraggio per perseguirli. Che bello poterci credere ancora.
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