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Quando si diventa genitori?

30/05/2011

Direttore del Centro di Ginecologia e Sessuologia Medica H. San Raffaele Resnati, Milano

Quando si diventa genitori? Quando si diventa adulti: questo lo sanno tutti. E quando si diventa adulti? «Quando si perdonano i genitori», dice un saggio. «Quando si sceglie di fare qualcosa anche se è stato caldamente raccomandato dai genitori!», suggerisce un altro.
La maggiore età, in senso psicoemotivo, viene dunque raggiunta quando è risolto, in modo più o meno soddisfacente, il nodo cruciale del rapporto conflittuale/critico/frustrato con i propri genitori: solo allora si è pronti per diventare genitori a nostra volta. Il diventare adulti, capaci di prendersi cura dei propri piccoli (l’essere quindi genitori in senso affettivo ed educativo) ha poco a che vedere con l’età anagrafica o con la maturità strettamente biologica della capacità procreativa. Alcuni, che hanno avuto un rapporto ottimale con i propri genitori, possono diventare adulti e padri e madri (di figli scelti e non capitati per caso!) anche in coincidenza con la maturità anagrafica o poco più.
La maggioranza degli italiani, tuttavia, ha un progressivo rallentamento della capacità di “crescere” e di diventare adulti: il diventare genitori diventa un obiettivo sempre più spostato verso i trentacinque-quarant’anni e oltre. Accanto alle ragioni relative all’alta scolarizzazione, alla necessità di avere prima un lavoro e un reddito adeguato, al trovare un/a partner con cui fare un progetto di famiglia, ci sono dunque, importantissime, le ragioni psicoemotive relative alla maturità personale. E molti, moltissimi, mettono al mondo figli senza essere mai diventati davvero adulti, con conseguenze variamente pesanti sulla serenità e felicità dei propri figli. A cominciare dalla crisi di coppia che esplode proprio quando si diventa genitori del primo figli: una crisi transizionale radicale, la più profonda che la coppia si trovi ad affrontare quando cerca di diventare famiglia. E non è un caso se il 40% delle separazioni avviene entro il primo anno di vita del primo figlio.
Sostiene Franco Paino, acuto pediatra e neuropsichiatra infantile, che un genitore è OK se ha un terzo genitore positivo. Chi è questo terzo genitore? Secondo Paino, il terzo genitore è la sintesi di mamma e papà che noi abbiamo costruito pian piano dentro di noi nell’infanzia e nell’adolescenza. Un’immagine mentale tanto più forte e sana quanto più riesce a mantenere e trasmettere la speranza che il domani porterà tante cose positive, grazie a uno sguardo ottimista e costruttivo sul futuro.
Ognuno di noi può fare questo piccolo test: chiudere gli occhi e ascoltare le sensazioni, le emozioni e il senso di sicurezza (o meno) che prova se ripensa alla coppia padre-madre. Ripensandoci, ci viene in mente un posto tranquillo, riparato, con tutto a portata di mano, in cui ci sentivamo al caldo, protetti, sicuri e (forse) felici? O quel posto ci manca, o ha il tetto rotto e ci piove dentro? O è inverno e ci viene un senso brutto di freddo e abbandono?
Un terzo genitore interiore positivo aiuta ad affrontare le difficoltà senza far saltare la coppia, a trovare mediazioni e soluzioni, senza dire a ogni piccolo e grande scoglio della vita: «Allora mi separo!». Ci sono alcuni passaggi critici. Per esempio, un buon terzo genitore interiore dice al figlio maschio che sta per diventare papà: «Guarda che d’ora in poi non sarai mai più il primo!». Verità di fede. Se il figlio accetta questo ridimensionamento fisiologico (il che vuol dire che non è un narciso perso né un immaturo irrimediabile, ma è davvero diventato adulto), può diventare padre stabilendo un rapporto affettuoso e non di competizione con il figlioletto, specie se maschio. E può svolgere appieno l’altro ruolo prezioso tipico di ogni buon padre: “separare” la mamma da un legame troppo stretto (fino ad essere simbiotico) con il figlio. Con un compenso: aiutare il piccolo a scoprire il mondo, per l’appunto, nel nome del padre e grazie al padre. Ruolo che troviamo con eccezionale chiarezza e forza in molte culture primitive.
E se i genitori si separano? Nessun bambino, sostiene Paino, attraversa in modo indenne la separazione dei genitori, anche se molti si raccontano il contrario. Nessun bambino capisce perché quella bella casa costruita per lui – la famiglia – debba crollare, lasciando cumuli variabili di macerie. Un trauma ancora più pesante, quando il piccolo viene usato come proiettile, come arma per ferire o colpire l’ex coniuge. L’essenziale è non mettere mai il piccolo “in conflitto di lealtà” con l’ex, con quelle infernali domande: «A chi vuoi più bene? Con chi vuoi stare?», e/o demolendo l’ex ai suoi occhi, con ogni perfidia. Questa non è vendetta contro il/la partner, è veleno per il piccolo e il suo futuro, anche di adulto e di genitore. In altre parole, l’esito, per il bambino e la sua capacità di diventare adulto e, a sua volta, genitore sufficientemente buono, non dipende tanto dalla separazione in sé, ma da quanto i due ex, ancorché separati, continuano a saper essere genitori insieme. Parlandosi, rispettandosi, consultandosi, facendo sentire al bambino che è sempre amato da entrambi come prima e che tutte le decisioni per la sua vita – dalla scuola da scegliere allo sport, dalla gita scolastica ai compiti, alle vacanze – sono prese insieme. Allora ci si può separare, per le mille ragioni che una coppia conosce, ma il piccolo, superata la prima crisi, continuerà a sentire che mamma e papà restano pienamente i suoi genitori, anche in case separate. Crescerà sereno, e il suo terzo genitore lo proteggerà, facendolo crescere fiducioso e positivo, aperto al futuro.

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