Piacersi a prima vista. Piacersi a pelle. E’ “questione di feeling”, si dice. Che cos’è in realtà quella simpatia istantanea che ci porta a sintonizzarci immediatamente con una persona appena conosciuta, a svelarle i nostri segreti e ad aprirle il nostro cuore, “come se l’avessimo conosciuta da sempre”, nell’amicizia come nell’amore? In realtà il feeling (dall’inglese to feel, sentire) è una sintesi complessa e rapidissima di una molteplicità di segnali che il nostro cervello capta e integra in frazioni di secondo.
Innanzitutto, segnali sensoriali in cui si integrano rapidi non solo i cinque sensi, ma le emozioni che a quei segni sono associati. Il primo è l’olfatto: l’odore, il profumo della pelle, e, soprattutto, la sua composizione di feromoni, hanno un potente effetto nel governare le nostre reazioni istintive di fronte a un’altra persona o situazione. Abitualmente, conosciamo i feromoni come sostanze chimiche in grado di attivare l’attrazione sessuale tra membri della stessa specie. In realtà, queste invisibili e potentissime sostanze mediano molto di più: tutte le emozioni principali collegate alla sopravvivenza della specie. I feromoni mediano l’attaccamento tra mamma e bambino, l’attrazione affettiva e/o erotica non solo tra persone eterosessuali, ma anche tra omosessuali. Novità, mediano anche l’avversione erotica tra persone dello stesso sesso o di sesso diverso. Più in generale, regolano tutte le relazioni della nostra vita. Mediano la paura: per esempio, sono tra i più potenti attivatori subliminali (e quindi inconsci) dell’istinto di fuga in condizioni di allarme. Così potenti da contrastare ogni logica, per esempio facendo correre le persone verso le porte di uscita durante un’emergenza in uno stadio, con il rischio per molte di finire schiacciate... Mediano le reazioni di panico che si propagano in un batter d’occhio. Ma anche l’aggressività nei gruppi. Quando i feromoni mediano reazioni di “affiliazione”, promuovono risposte di simpatia, di apertura, di morbidezza, di disponibilità, abbassano l’ansia e l’allerta. E attivano immediatamente gli altri sensi. Ed ecco che subito, nel feeling, lo sguardo capta altri segnali visivi complessi. Non solo l’estetica della persona, il suo portamento e comportamento. Soprattutto, il suo linguaggio non verbale: come si muove, come si esprime, come sorride, la mimica del volto e delle mani. Il cervello legge tutti quei segnali e li confronta con milioni di ricordi precedenti. Sì, in pochissimi secondi. Stabilendo un primo livello di simpatia (o antipatia...) che poi razionalizziamo in modo più o meno felice. Il cervello ascolta: e nel feeling tone, nel tono emotivo delle parole, nel modo con cui vengono pronunciate (gentile o rozzo, sensuale o freddo, persuasivo o provocatorio, conciliante o aggressivo, divertente o noioso, accattivante o saccente) coglie un altro segnale potente di simpatia o avversione, di sintonia o divergenza. E se poi ci si sfiora o ci si abbraccia, anche la pelle aggiunge i suoi segnali positivi o negativi, in cui i feromoni hanno di nuovo un ruolo cardinale, specie se ci si bacia. La bocca, nell’apparato gustativo, ha gli stessi recettori per i feromoni che ha l’olfatto. Non a caso olfatto e gusto sono gli unici due sensi chimici. Ecco perché se ci piace l’odore dell’altro, quasi sempre ci piace anche il gusto dei suoi baci (igiene a parte, naturalmente...).
Il feeling di simpatia coinvolge immediatamente i cinque sensi, e il grande archivio memonico del nostro cervello, grazie a un processore di emozioni formidabile: l’amigdala. E’ lei, crocevia delle emozioni di comando fondamentali (desiderio e piacere, collera e rabbia, paura e ansia, panico e angoscia di separazione), a collegare ogni emozione con la memoria, attivando in modo potente la simpatia, la voglia di vicinanza o contatto, la fiducia, la confidenza, oppure la diffidenza, l’antipatia fino alla franca avversione. Le memorie non sono sempre consce, anzi: ecco perché possiamo trovarci a disagio, di fronte a un’antipatia viscerale per una persona appena conosciuta e che “non ci ha fatto niente di male”. Oppure travolti da una simpatia che chiamiamo passione, o amore, in modo altrettanto misterioso e improvviso, in un batter di ciglia.
Ha un significato evolutivo, il feeling? Certamente: nella selezione della specie nulla (o quasi) si mantiene nei millenni per caso. A livello sociale, familiare, di amicizia, di collaborazione, di lavoro, nelle classi come nello sport, il feeling positivo “predice” una buona intesa, una sintonia emotiva e intellettuale, un sguardo simile sulle cose e sul mondo, una maggiore pazienza e tolleranza verso eventuali errori, una maggiore morbidezza di attitudine reciproca. Di fatto, il feeling è un grande economizzatore di energie. Risparmia le energie di ciascuno (quelle che spenderemmo ad ammortizzare divergenze caratteriali o di atteggiamento o di visione della vita, a smussare gli angoli, ad allentare tensioni, a migliorare atmosfere, a far capire gli errori, a unificare gli obiettivi, a lottare insieme per qualcosa...), energie che possono così essere investite direttamente sull’obiettivo comune cui naturalmente ciascuno aderisce, per feeling e simpatia. Dialogando, si scoprono affinità più profonde: caratteriali, di storia personale, culturali, strati complessi di intuizioni ed eventi che articolano sempre più a livello razionale quell’intuizione che in un secondo ci aveva fatto dire: “Sì, mi piace. E molto”.
Nel sesso, poi, il feeling, che si basi soprattutto sul feeling olfattivo feromonale, è il più potente fattore predittivo di successo riproduttivo. Alcuni studi suggeriscono infatti che la compatibilità tra feromoni sia legata al sistema HLA (Human Leucocyte Antigen) che regola la ben più importante compatibilità immunitaria tra due partner, da cui dipende la massima vitalità biologica del figlio. Il che ha poco a che vedere, peraltro, con la capacità di essere buoni genitori e, i particolare, buoni padri, attitudine che ha altre basi e valenze.
Ecco che allora, al disotto della piacevolissima emozione del feeling, sta una solidissima struttura, biologica e psichica, che si fonda sulla sua natura di grande modulatore delle energie vitali, affettive, amicali, sociali e riproduttive. Ecco perché, a parità di curriculum, scegliamo la persona per la quale abbiamo più feeling. Perché a scuola abbiamo imparato di più dall’insegnante per il quale, o la quale, sentivamo maggiori affinità, più stima e simpatia. Perché nelle famiglie, soprattutto allargate, le simpatie girano come gira il feeling. Perché un allenatore fa miracoli se riesce ad avere feeling con la propria squadra (e viceversa). E perché un politico ha più successo se evoca emozioni di feeling più forti (ragione per cui Obama ha battuto Hillary, come avevo intuito e scritto su queste pagine dopo il primo confronto alle primarie).
E’ sempre giusto, il feeling? Ci è sempre alleato? No. E qui sta il suo mistero, il suo fascino, la sua insidia, la sua pericolosità, la sua malìa. Ma come? Se è un economizzatore di energie, perché può girarci contro? Perché la nostra memoria non è limpida, non è un processore neutro di segnali. Anzi, è a sua volta profondamente condizionata dalle esperienze precedenti, tanto più quanto sono state positive (e allora il feeling gioca a favore) o negative. E allora c’è un alto rischio che ci giochi contro, tanto più quanto le esperienze passate ci hanno feriti a fondo. Le emozioni antiche, apparentemente sepolte nella memoria, in realtà potentissime, ci provocano simpatia per una persona che ci ricorda qualcuno che abbiamo amato, o desiderato, o che ci ha reso felici: ed ecco il rischio di proiettare su qualcuno, per un dettaglio o un’emozione di simpatia, aspettative positive che nella realtà non merita. Fino a quelle insidiose illusioni d’amore che ognuno di noi ha, prima o poi, nel proprio curriculum affettivo e amoroso.
E allora? Benvenuto, feeling, soprattutto se sappiamo ascoltarne la musica e le vibrazioni antiche, e le risonanze attuali. Benvenuto, perché ci illumina la vita e rende più bello, prezioso e costruttivo ogni incontro, di lavoro e di amicizia, e non solo d’amore. Con un minimo di attenzione: per non proiettare il nostro bisogno di amore, di stima o simpatia su un manichino che abbiamo così rivestito dei nostri sogni da credere che sia una principessa o un imperatore.
Innanzitutto, segnali sensoriali in cui si integrano rapidi non solo i cinque sensi, ma le emozioni che a quei segni sono associati. Il primo è l’olfatto: l’odore, il profumo della pelle, e, soprattutto, la sua composizione di feromoni, hanno un potente effetto nel governare le nostre reazioni istintive di fronte a un’altra persona o situazione. Abitualmente, conosciamo i feromoni come sostanze chimiche in grado di attivare l’attrazione sessuale tra membri della stessa specie. In realtà, queste invisibili e potentissime sostanze mediano molto di più: tutte le emozioni principali collegate alla sopravvivenza della specie. I feromoni mediano l’attaccamento tra mamma e bambino, l’attrazione affettiva e/o erotica non solo tra persone eterosessuali, ma anche tra omosessuali. Novità, mediano anche l’avversione erotica tra persone dello stesso sesso o di sesso diverso. Più in generale, regolano tutte le relazioni della nostra vita. Mediano la paura: per esempio, sono tra i più potenti attivatori subliminali (e quindi inconsci) dell’istinto di fuga in condizioni di allarme. Così potenti da contrastare ogni logica, per esempio facendo correre le persone verso le porte di uscita durante un’emergenza in uno stadio, con il rischio per molte di finire schiacciate... Mediano le reazioni di panico che si propagano in un batter d’occhio. Ma anche l’aggressività nei gruppi. Quando i feromoni mediano reazioni di “affiliazione”, promuovono risposte di simpatia, di apertura, di morbidezza, di disponibilità, abbassano l’ansia e l’allerta. E attivano immediatamente gli altri sensi. Ed ecco che subito, nel feeling, lo sguardo capta altri segnali visivi complessi. Non solo l’estetica della persona, il suo portamento e comportamento. Soprattutto, il suo linguaggio non verbale: come si muove, come si esprime, come sorride, la mimica del volto e delle mani. Il cervello legge tutti quei segnali e li confronta con milioni di ricordi precedenti. Sì, in pochissimi secondi. Stabilendo un primo livello di simpatia (o antipatia...) che poi razionalizziamo in modo più o meno felice. Il cervello ascolta: e nel feeling tone, nel tono emotivo delle parole, nel modo con cui vengono pronunciate (gentile o rozzo, sensuale o freddo, persuasivo o provocatorio, conciliante o aggressivo, divertente o noioso, accattivante o saccente) coglie un altro segnale potente di simpatia o avversione, di sintonia o divergenza. E se poi ci si sfiora o ci si abbraccia, anche la pelle aggiunge i suoi segnali positivi o negativi, in cui i feromoni hanno di nuovo un ruolo cardinale, specie se ci si bacia. La bocca, nell’apparato gustativo, ha gli stessi recettori per i feromoni che ha l’olfatto. Non a caso olfatto e gusto sono gli unici due sensi chimici. Ecco perché se ci piace l’odore dell’altro, quasi sempre ci piace anche il gusto dei suoi baci (igiene a parte, naturalmente...).
Il feeling di simpatia coinvolge immediatamente i cinque sensi, e il grande archivio memonico del nostro cervello, grazie a un processore di emozioni formidabile: l’amigdala. E’ lei, crocevia delle emozioni di comando fondamentali (desiderio e piacere, collera e rabbia, paura e ansia, panico e angoscia di separazione), a collegare ogni emozione con la memoria, attivando in modo potente la simpatia, la voglia di vicinanza o contatto, la fiducia, la confidenza, oppure la diffidenza, l’antipatia fino alla franca avversione. Le memorie non sono sempre consce, anzi: ecco perché possiamo trovarci a disagio, di fronte a un’antipatia viscerale per una persona appena conosciuta e che “non ci ha fatto niente di male”. Oppure travolti da una simpatia che chiamiamo passione, o amore, in modo altrettanto misterioso e improvviso, in un batter di ciglia.
Ha un significato evolutivo, il feeling? Certamente: nella selezione della specie nulla (o quasi) si mantiene nei millenni per caso. A livello sociale, familiare, di amicizia, di collaborazione, di lavoro, nelle classi come nello sport, il feeling positivo “predice” una buona intesa, una sintonia emotiva e intellettuale, un sguardo simile sulle cose e sul mondo, una maggiore pazienza e tolleranza verso eventuali errori, una maggiore morbidezza di attitudine reciproca. Di fatto, il feeling è un grande economizzatore di energie. Risparmia le energie di ciascuno (quelle che spenderemmo ad ammortizzare divergenze caratteriali o di atteggiamento o di visione della vita, a smussare gli angoli, ad allentare tensioni, a migliorare atmosfere, a far capire gli errori, a unificare gli obiettivi, a lottare insieme per qualcosa...), energie che possono così essere investite direttamente sull’obiettivo comune cui naturalmente ciascuno aderisce, per feeling e simpatia. Dialogando, si scoprono affinità più profonde: caratteriali, di storia personale, culturali, strati complessi di intuizioni ed eventi che articolano sempre più a livello razionale quell’intuizione che in un secondo ci aveva fatto dire: “Sì, mi piace. E molto”.
Nel sesso, poi, il feeling, che si basi soprattutto sul feeling olfattivo feromonale, è il più potente fattore predittivo di successo riproduttivo. Alcuni studi suggeriscono infatti che la compatibilità tra feromoni sia legata al sistema HLA (Human Leucocyte Antigen) che regola la ben più importante compatibilità immunitaria tra due partner, da cui dipende la massima vitalità biologica del figlio. Il che ha poco a che vedere, peraltro, con la capacità di essere buoni genitori e, i particolare, buoni padri, attitudine che ha altre basi e valenze.
Ecco che allora, al disotto della piacevolissima emozione del feeling, sta una solidissima struttura, biologica e psichica, che si fonda sulla sua natura di grande modulatore delle energie vitali, affettive, amicali, sociali e riproduttive. Ecco perché, a parità di curriculum, scegliamo la persona per la quale abbiamo più feeling. Perché a scuola abbiamo imparato di più dall’insegnante per il quale, o la quale, sentivamo maggiori affinità, più stima e simpatia. Perché nelle famiglie, soprattutto allargate, le simpatie girano come gira il feeling. Perché un allenatore fa miracoli se riesce ad avere feeling con la propria squadra (e viceversa). E perché un politico ha più successo se evoca emozioni di feeling più forti (ragione per cui Obama ha battuto Hillary, come avevo intuito e scritto su queste pagine dopo il primo confronto alle primarie).
E’ sempre giusto, il feeling? Ci è sempre alleato? No. E qui sta il suo mistero, il suo fascino, la sua insidia, la sua pericolosità, la sua malìa. Ma come? Se è un economizzatore di energie, perché può girarci contro? Perché la nostra memoria non è limpida, non è un processore neutro di segnali. Anzi, è a sua volta profondamente condizionata dalle esperienze precedenti, tanto più quanto sono state positive (e allora il feeling gioca a favore) o negative. E allora c’è un alto rischio che ci giochi contro, tanto più quanto le esperienze passate ci hanno feriti a fondo. Le emozioni antiche, apparentemente sepolte nella memoria, in realtà potentissime, ci provocano simpatia per una persona che ci ricorda qualcuno che abbiamo amato, o desiderato, o che ci ha reso felici: ed ecco il rischio di proiettare su qualcuno, per un dettaglio o un’emozione di simpatia, aspettative positive che nella realtà non merita. Fino a quelle insidiose illusioni d’amore che ognuno di noi ha, prima o poi, nel proprio curriculum affettivo e amoroso.
E allora? Benvenuto, feeling, soprattutto se sappiamo ascoltarne la musica e le vibrazioni antiche, e le risonanze attuali. Benvenuto, perché ci illumina la vita e rende più bello, prezioso e costruttivo ogni incontro, di lavoro e di amicizia, e non solo d’amore. Con un minimo di attenzione: per non proiettare il nostro bisogno di amore, di stima o simpatia su un manichino che abbiamo così rivestito dei nostri sogni da credere che sia una principessa o un imperatore.
Attrazione Avversione sessuale Olfatto / Feromoni / Anosmia Rapporto di coppia