“Sono indignata e preoccupata per le polemiche suscitate dall’approvazione della RU486 per l’aborto. In particolare, trovo illogico (o altro?) che per abortire con un farmaco – che in teoria dovrebbe semplificare il processo – si debbano fare tre giorni (tre!) di ricovero in ospedale, quando per il raschiamento tradizionale basta un ricovero in hospital day, di fatto mezza giornata o meno. Che vantaggio ci sarebbe, a questo punto, a usare il farmaco? C’è davvero un motivo medico, o è una misura “politica” per far sì, che, alla fine, nessuno lo usi? Penso male? Lei che cosa ne dice?”.
Maria Carla R. (Torino)
Maria Carla R. (Torino)
No, gentile signora, penso che lei sia una persona di grande buon senso e si ponga la domanda giusta: qual è il vantaggio di usare un farmaco che – solo nell’applicazione italiana! – comporta tre giorni di ricovero contro mezza giornata?
Per la donna, di sicuro, nessuno, anzi notevoli problemi: di tempo, di organizzazione familiare, di riservatezza, oltre che emotivi. Un’attesa – in ospedale – finalizzata solo ad aspettare che ci sia l’espulsione spontanea dell’embrione, e quindi l’aborto, logora probabilmente di più di un rapido raschiamento. Per il servizio pubblico, ci sono problemi in più di organizzazione (per la prolungata degenza che richiede nuovi posti letto e per il personale addetto) ma anche, e non trascurabili, di costi: basti pensare che l’intervento per l’interruzione volontaria di gravidanza, fatto con il raschiamento, costa al sistema sanitario circa 1200 euro. Il farmaco ne costa solo 40. Ma il costo dell’aborto con il farmaco torna a salire di nuovo a 1200 euro se si obbliga la donna a tre giorni di ricovero!
In tutti gli altri Paesi in cui è in uso da anni (è stato scoperto da Emile Beaulieu nel 1981), il farmaco viene somministrato in day hospital: poi la donna va a casa e viene successivamente monitorata con una semplice ecografia, dopo l’espulsione o comunque entro una settimana dall’aborto, per documentare che l’espulsione stessa sia stata completa.
Oltretutto, i tre giorni non possono essere obbligatori: non c’è di fatto nessuna ragione medica (altrimenti lo farebbero anche tutti gli altri Stati). Rientreremmo altrimenti nell’ambito del ricovero coatto previsto solo nel trattamento sanitario obbligatorio, attualmente vigente in Italia limitatamente ai malati psichiatrici gravi. I tre giorni possono essere al massimo “raccomandati”, ma la donna è liberissima di assumere il farmaco in ospedale, firmare la liberatoria e andarsene a casa. Tanto varrebbe uniformarsi allo standard di cura europeo, prescrivere il farmaco in ospedale e poi consentire alla donna di tornare a casa, senza costruire difficoltà ulteriori e nuovi costi, economici ed emotivi, quantizzabili e non.
Per la donna, di sicuro, nessuno, anzi notevoli problemi: di tempo, di organizzazione familiare, di riservatezza, oltre che emotivi. Un’attesa – in ospedale – finalizzata solo ad aspettare che ci sia l’espulsione spontanea dell’embrione, e quindi l’aborto, logora probabilmente di più di un rapido raschiamento. Per il servizio pubblico, ci sono problemi in più di organizzazione (per la prolungata degenza che richiede nuovi posti letto e per il personale addetto) ma anche, e non trascurabili, di costi: basti pensare che l’intervento per l’interruzione volontaria di gravidanza, fatto con il raschiamento, costa al sistema sanitario circa 1200 euro. Il farmaco ne costa solo 40. Ma il costo dell’aborto con il farmaco torna a salire di nuovo a 1200 euro se si obbliga la donna a tre giorni di ricovero!
In tutti gli altri Paesi in cui è in uso da anni (è stato scoperto da Emile Beaulieu nel 1981), il farmaco viene somministrato in day hospital: poi la donna va a casa e viene successivamente monitorata con una semplice ecografia, dopo l’espulsione o comunque entro una settimana dall’aborto, per documentare che l’espulsione stessa sia stata completa.
Oltretutto, i tre giorni non possono essere obbligatori: non c’è di fatto nessuna ragione medica (altrimenti lo farebbero anche tutti gli altri Stati). Rientreremmo altrimenti nell’ambito del ricovero coatto previsto solo nel trattamento sanitario obbligatorio, attualmente vigente in Italia limitatamente ai malati psichiatrici gravi. I tre giorni possono essere al massimo “raccomandati”, ma la donna è liberissima di assumere il farmaco in ospedale, firmare la liberatoria e andarsene a casa. Tanto varrebbe uniformarsi allo standard di cura europeo, prescrivere il farmaco in ospedale e poi consentire alla donna di tornare a casa, senza costruire difficoltà ulteriori e nuovi costi, economici ed emotivi, quantizzabili e non.
Come funziona l'RU486? Si legge di tutto...
Questo farmaco, che si chiama mifepristone, blocca i recettori per il progesterone, l’ormone che consente il proseguimento della gravidanza. Il recettore è una sorta di serratura, sulla quale si inserisce normalmente l’ormone, che è la chiave per attivare tutti i processi cellulari che dipendono dalla sua azione. Bloccando il recettore, il progesterone non può più agire: la crescita del sacco embrionale si blocca, l’embrione non cresce più, i vasi sanguigni di chiudono finché tutto il sacco embrionale si stacca “ a stampo”, ossia tutto insieme – sacco amniotico, embrione, liquido amniotico, iniziale placenta – dalla parete dell’utero, e viene espulso come succede nell’aborto spontaneo. Per facilitare l’espulsione, dopo 24-48 ore dalla somministrazione della RU486 viene prescritto un secondo farmaco, il misoprostol, per via vaginale o per bocca.
I sintomi sono modesti, contrariamente alle strumentali descrizioni terrorizzanti che si sono lette anche in questi giorni, soprattutto quando venga somministrato nelle fasi iniziali della gravidanza, ossia entro i primi 49 giorni (sette settimane di amenorrea e cinque dal concepimento), come previsto dalla normativa di applicazione italiana: quindi, quando l’embrione ha da poco cominciato a formarsi. Di fatto, la donna avverte dolori pelvici e/o lombari simil mestruali (minori nelle fasi iniziali, maggiori in quelle più avanzate di gravidanza che in Italia sono state escluse dall’indicazione) e un sanguinamento più abbondante rispetto alla sua abituale mestruazione. Interessante, studi scientifici controllati hanno mostrato che le donne, se possono scegliere, preferiscono l’aborto medico, ossia con il farmaco... Detto questo, valutino lettrici e lettori.
I sintomi sono modesti, contrariamente alle strumentali descrizioni terrorizzanti che si sono lette anche in questi giorni, soprattutto quando venga somministrato nelle fasi iniziali della gravidanza, ossia entro i primi 49 giorni (sette settimane di amenorrea e cinque dal concepimento), come previsto dalla normativa di applicazione italiana: quindi, quando l’embrione ha da poco cominciato a formarsi. Di fatto, la donna avverte dolori pelvici e/o lombari simil mestruali (minori nelle fasi iniziali, maggiori in quelle più avanzate di gravidanza che in Italia sono state escluse dall’indicazione) e un sanguinamento più abbondante rispetto alla sua abituale mestruazione. Interessante, studi scientifici controllati hanno mostrato che le donne, se possono scegliere, preferiscono l’aborto medico, ossia con il farmaco... Detto questo, valutino lettrici e lettori.
Prevenire e curare – RU486: un'opzione terapeutica all'interno della legge 194
- La legge 194 del 1978 prevedeva già la possibilità che l’intervento di interruzione volontaria di gravidanza (IVG) fosse chirurgico (con il “raschiamento”) o medico (con farmaci);
- l’iter per richiedere l’IVG resta lo stesso: certificato medico che attesti la richiesta della donna entro i primi 90 giorni di gravidanza, e una settimana di riflessione, prima di poterlo effettuare, a meno che non vi siano “gravi motivi di urgenza”;
- in Italia si potrà ricorrere all’IVG medica, con RU486, solo nelle fasi iniziali, entro i primi 49 giorni di gravidanza, e solo in ospedale.
- l’iter per richiedere l’IVG resta lo stesso: certificato medico che attesti la richiesta della donna entro i primi 90 giorni di gravidanza, e una settimana di riflessione, prima di poterlo effettuare, a meno che non vi siano “gravi motivi di urgenza”;
- in Italia si potrà ricorrere all’IVG medica, con RU486, solo nelle fasi iniziali, entro i primi 49 giorni di gravidanza, e solo in ospedale.
Allegati disponibili:Legge 194 – una buona legge da applicare meglio
Interruzione volontaria di gravidanza (IVG) Pillola abortiva - RU486