Solo il 15% dei nostri giovani che si affaccia al mondo del lavoro è in grado di scrivere un curriculum vitae (CV) adeguato. Errori di grammatica e sintassi si sprecano. Ma non mancano nemmeno invenzioni su corsi effettuati (in realtà non seguiti), titoli non raggiunti e perfino punteggi di diploma o di laurea superiori al reale. Come se si potesse giocare alla fiction, o più semplicemente mentire, e farla franca. In termini sostanziali, l’85% dei nostri ragazzi non è in grado di presentare una “carta d’identità” professionale che sia corretta, vera, affidabile. E che, soprattutto, motivi chi la legga ad un interesse ulteriore, ad un colloquio che potrebbe poi aprire la strada ad opportunità professionali via via crescenti. Consiglio pratico: tutte le scuole superiori dovrebbero dedicare qualche ora al metodo e alla stesura di un curriculum personale, e di una piccola biografia, così che ogni ragazzo e ragazza sia in grado per lo meno di acquisire i fondamentali per una presentazione scritta di sé, decorosa e affidabile, fin dall’inizio della vita professionale. Dicevano gli antichi: nell’inizio c’è tutta la storia. Nulla di più vero, anche dal punto di vista professionale.
Il dato dell’incapacità sostanziale di scrivere un buon curriculum nell’85% dei casi, tuttavia, è molto allarmante anche per altre ragioni. Denuncia il crollo di quello che era stato per Ottocento e Novecento il grande orgoglio della scuola italiana: saper preparare bene gli studenti sui fondamentali, dei quali la conoscenza della lingua nazionale è uno dei primi requisiti. L’analfabetismo pseudoacculturato imperversa, certo non mimetizzato dal periodico affiorare di qualche parola inglese, né dall’uso del computer. E denuncia del pari il grave fallimento degli orgogliosi programmi di riforma della scuola: se un progetto si giudica, com’è giusto, dai risultati, credo che una severa autocritica, anche da parte del nostro Ministero della Pubblica Istruzione, sia doverosa. Verrà di certo incolpata la gestione politica precedente: ma il degrado progressivo della qualità dell’istruzione degli ultimi trent’anni, accelerato nei più recenti dieci, resta indiscutibile ed è questo che va affrontato, senza gli abituali rimpalli di responsabilità. Se la scuola sta fallendo il suo compito primario – istruire – che cos’altro ci resta? Ancora la famiglia: anche questa, tuttavia, sempre più carente, per evidenti ragioni di parallela crescita dell’analfabetismo nazionale di ritorno. Quel 15% di ragazzi capaci di scrivere un CV (percentuale troppo bassa, comunque) proviene da famiglie in cui i genitori hanno titoli di studio superiori e professionalità elevate: ma questo significa che l’Italia sta sempre più diventando un Paese di caste, non di classi. E che è sempre più difficile (anche se non impossibile, certo) per un ragazzo di famiglia modesta acquisire quell’istruzione ed educazione che può portarlo ai vertici professionali per capacità personale. Anche se poi l’Italia è il Paese dei “figli di”, analfabeti o no… ma questo rinforza il concetto di un Paese fatto di caste.
Ritornare a coltivare a fondo grammatica e sintassi, fin dalle elementari, è essenziale, come è essenziale curare l’italiano parlato, in casa. In quante famiglie si consulta il vocabolario, per approfondire il significato di un termine? Quanti bambini e quanti adolescenti hanno un dizionario sulla scrivania? Quanti sanno consultarlo da soli, su testo o su computer? Molti non sanno nemmeno l’alfabeto correttamente, per cui anche la sporadica consultazione termina in un desolato “La parola non c’è!”, mentre semplicemente non è stata cercata in modo corretto. In quante famiglie si legge un quotidiano? In quante almeno un libro la settimana?
E’ così importante saper parlare e scrivere correttamente? Sì: perché questo significa saper pensare bene, in modo articolato, profondo e accurato. Il dominio del linguaggio, come tutti gli apprendimenti umani, è un percorso infinito, di allenamento del cervello all’eccellenza, dal punto di vista psichico ma anche neurobiologico. Una migliore capacità di pensiero significa avere una migliore neuroplasticità, una migliore connettività tra milioni di cellule nervose, una migliore capacità associativa e davvero creativa. Non ultimo, può regalare un sostanziale piacere tutte le volte in cui la parola riesca a “vestire” ed esprimere esattamente il concetto, l’intuizione, la visione che si ha di un problema, di un progetto, di una percezione di sé o degli altri, ma anche una critica, in modo appropriato.
Saper usare il computer non basta, oggi? No: non può sostituire quel magnifico strumento che è il nostro cervello, lasciato sempre più sottoutilizzato, pieno di ragnatele e di polvere, come un cimelio per nostalgici, con potenzialità straordinarie mai vissute, e spesso perdute per sempre.
Chi conosce a fondo potenzialità e limiti del computer sceglie per i propri figli un programma educativo diverso: Bill Gates, per esempio, consente ai propri bambini di utilizzare il computer per non più di 45 minuti al giorno. Per il resto lettura, scrittura, matematica, lingue straniere e musica, come preziosa ginnastica di allenamento per un cervello brillante, in parallelo a sanissimo sport, per coltivare bene corpo e mente. Invece di figli zombie, perché non coltivare figli atletici, vivaci e ben educati, nella mente e nel corpo?
Il dato dell’incapacità sostanziale di scrivere un buon curriculum nell’85% dei casi, tuttavia, è molto allarmante anche per altre ragioni. Denuncia il crollo di quello che era stato per Ottocento e Novecento il grande orgoglio della scuola italiana: saper preparare bene gli studenti sui fondamentali, dei quali la conoscenza della lingua nazionale è uno dei primi requisiti. L’analfabetismo pseudoacculturato imperversa, certo non mimetizzato dal periodico affiorare di qualche parola inglese, né dall’uso del computer. E denuncia del pari il grave fallimento degli orgogliosi programmi di riforma della scuola: se un progetto si giudica, com’è giusto, dai risultati, credo che una severa autocritica, anche da parte del nostro Ministero della Pubblica Istruzione, sia doverosa. Verrà di certo incolpata la gestione politica precedente: ma il degrado progressivo della qualità dell’istruzione degli ultimi trent’anni, accelerato nei più recenti dieci, resta indiscutibile ed è questo che va affrontato, senza gli abituali rimpalli di responsabilità. Se la scuola sta fallendo il suo compito primario – istruire – che cos’altro ci resta? Ancora la famiglia: anche questa, tuttavia, sempre più carente, per evidenti ragioni di parallela crescita dell’analfabetismo nazionale di ritorno. Quel 15% di ragazzi capaci di scrivere un CV (percentuale troppo bassa, comunque) proviene da famiglie in cui i genitori hanno titoli di studio superiori e professionalità elevate: ma questo significa che l’Italia sta sempre più diventando un Paese di caste, non di classi. E che è sempre più difficile (anche se non impossibile, certo) per un ragazzo di famiglia modesta acquisire quell’istruzione ed educazione che può portarlo ai vertici professionali per capacità personale. Anche se poi l’Italia è il Paese dei “figli di”, analfabeti o no… ma questo rinforza il concetto di un Paese fatto di caste.
Ritornare a coltivare a fondo grammatica e sintassi, fin dalle elementari, è essenziale, come è essenziale curare l’italiano parlato, in casa. In quante famiglie si consulta il vocabolario, per approfondire il significato di un termine? Quanti bambini e quanti adolescenti hanno un dizionario sulla scrivania? Quanti sanno consultarlo da soli, su testo o su computer? Molti non sanno nemmeno l’alfabeto correttamente, per cui anche la sporadica consultazione termina in un desolato “La parola non c’è!”, mentre semplicemente non è stata cercata in modo corretto. In quante famiglie si legge un quotidiano? In quante almeno un libro la settimana?
E’ così importante saper parlare e scrivere correttamente? Sì: perché questo significa saper pensare bene, in modo articolato, profondo e accurato. Il dominio del linguaggio, come tutti gli apprendimenti umani, è un percorso infinito, di allenamento del cervello all’eccellenza, dal punto di vista psichico ma anche neurobiologico. Una migliore capacità di pensiero significa avere una migliore neuroplasticità, una migliore connettività tra milioni di cellule nervose, una migliore capacità associativa e davvero creativa. Non ultimo, può regalare un sostanziale piacere tutte le volte in cui la parola riesca a “vestire” ed esprimere esattamente il concetto, l’intuizione, la visione che si ha di un problema, di un progetto, di una percezione di sé o degli altri, ma anche una critica, in modo appropriato.
Saper usare il computer non basta, oggi? No: non può sostituire quel magnifico strumento che è il nostro cervello, lasciato sempre più sottoutilizzato, pieno di ragnatele e di polvere, come un cimelio per nostalgici, con potenzialità straordinarie mai vissute, e spesso perdute per sempre.
Chi conosce a fondo potenzialità e limiti del computer sceglie per i propri figli un programma educativo diverso: Bill Gates, per esempio, consente ai propri bambini di utilizzare il computer per non più di 45 minuti al giorno. Per il resto lettura, scrittura, matematica, lingue straniere e musica, come preziosa ginnastica di allenamento per un cervello brillante, in parallelo a sanissimo sport, per coltivare bene corpo e mente. Invece di figli zombie, perché non coltivare figli atletici, vivaci e ben educati, nella mente e nel corpo?
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