Pochi giorni ancora e un altro anno ci dirà addio. Lo lasceremo andare: ciascuno con un sentimento dominante, con un’emozione più forte delle altre. Con rabbia, con nostalgia, con sollievo, con un’eco di gioia e gratitudine. O un sottile rimpianto.
Qualcuno finisce l’anno con un’impennata di energia festosa, che gli/le fa guardare al futuro, all’anno che verrà, con grinta ed entusiasmo. E sono gli innamorati felici, quelli che anche in quest’inverno inzuppato d’uggia e di pioggia hanno il sole dentro. Innamorati perché benedetti da un incontro d’amore, o perché, più fortunati, sono cromosomicamente innamorati della vita. E son quelli che in qualsiasi disastro – di salute, d’affetti o di lavoro – toccano il fondo, si sentono morire, travolti e percossi dalle onde come un uomo su una nave che affonda. Sopravvivono con la forza della disperazione, o – che è lo stesso – per un caparbio amore per la vita. E, finito lo sconquasso, appesi a una trave nell’immenso mare, mentre il cielo si rasserena e vedono terra da lontano, hanno d’improvviso un’impennata di felicità, quell’allegria del naufrago, che fa dire: «Ho perso tutto ma sono ancora vivo! E posso ricominciare». Più forte, più calmo: nulla aumenta la consapevolezza di sé e il senso grande del valore della vita, ma anche il distacco dalle cose e dalle miserie umane, come guardare il faccia la morte. Reale o simbolica. “Si vis vitam, para mortem” (se vuoi la vita, prepara(ti per) la morte). E nulla ci rende liberi interiormente come il rischiare di perdere tutto: certo, se si sa mettersi in discussione, riconoscendo i propri errori, senza tentar di ripetere quello che è già stato. E chi ha fatto naufragio quest’anno, e sta tornando a riveder le stelle, non dice addio solo a un anno, ma a quella parte di sé che si è persa tra le onde. Magari preziosa, ma non essenziale. E da lì può ripartire, con uno slancio e una leggerezza nuovi. Una seconda nascita, più entusiasmante e consapevole della prima.
Tanti, i più, sono stanchi: l’anno è stato faticoso e duro, dal punto di vista affettivo ma anche economico. L’onda lunga della crisi morde con morso più duro chi già fa più fatica ad arrivare a fine mese, chi vede il lavoro incerto, chi non si aspetta un sorriso dall’anno che verrà. A ripensarci, per i più questo è stato un anno di guerra: dentro e fuori di sé, nella coppia, nella famiglia, nel lavoro (della guerra sociale e politica in corso, non parliamo nemmeno). E un bilancio diverso, che può spiegare tante stanchezze, è chiedersi: «Quanti giorni ho passato in pace? Quanti in assetto di guerra?». Nulla erode più l’energia vitale dello stato di guerra: e lo stress cronico altro che non è che l’allarme rosso che corpo e mente accendono quando siamo in tensione continua, quando l’adrenalina è a mille, quando il tempo ci divora, quando siamo sempre di corsa. Molti sono in stato di guerra permanente, e non se ne rendono nemmeno conto: eppure è proprio la stanchezza a dirlo, più di ogni parola.
Per tentare di cominciare un anno diverso, è essenziale chiedersi: «Se i giorni di guerra sono stati più dei giorni di pace, quali sono i fronti su cui ho combattuto? Perché ero in guerra? (a volte si è persa persino memoria del perché...). Ho combattuto per qualcosa d’importante, o per ragioni che posso affrontare in altro modo, cercando una mediazione sensibile e intelligente? Se ho perso la guerra, ma sono vivo, come e dove posso ricominciare una vita migliore?». E per i fortunati, che hanno avuto più giorni di pace, è essenziale capire che cosa li ha benedetti: un figlio desiderato, dopo tanto soffrire; un lavoro entusiasmante, dopo tanto studiare; la serenità di una vita in pensione, piena di interessi e di generosità, dopo tanto lavoro; un amore in cui riconoscersi, con una persona che abbia anima limpida, sentimenti e qualità morali, dopo tanta solitudine o amori ingannevoli; una ritrovata salute, dopo mesi di malattia. E’ essenziale capirlo, per saper restare in tempo di pace, per non sprecare per insipienza questo stato di grazia. E per essere generosi dell’energia, della positività, della fiducia che i tempi di pace ci regalano.
Ai miei affezionati lettori auguro di cuore un anno con più giorni di pace. E più energia, per riassaporare con entusiasmo e gioia la vita.
Qualcuno finisce l’anno con un’impennata di energia festosa, che gli/le fa guardare al futuro, all’anno che verrà, con grinta ed entusiasmo. E sono gli innamorati felici, quelli che anche in quest’inverno inzuppato d’uggia e di pioggia hanno il sole dentro. Innamorati perché benedetti da un incontro d’amore, o perché, più fortunati, sono cromosomicamente innamorati della vita. E son quelli che in qualsiasi disastro – di salute, d’affetti o di lavoro – toccano il fondo, si sentono morire, travolti e percossi dalle onde come un uomo su una nave che affonda. Sopravvivono con la forza della disperazione, o – che è lo stesso – per un caparbio amore per la vita. E, finito lo sconquasso, appesi a una trave nell’immenso mare, mentre il cielo si rasserena e vedono terra da lontano, hanno d’improvviso un’impennata di felicità, quell’allegria del naufrago, che fa dire: «Ho perso tutto ma sono ancora vivo! E posso ricominciare». Più forte, più calmo: nulla aumenta la consapevolezza di sé e il senso grande del valore della vita, ma anche il distacco dalle cose e dalle miserie umane, come guardare il faccia la morte. Reale o simbolica. “Si vis vitam, para mortem” (se vuoi la vita, prepara(ti per) la morte). E nulla ci rende liberi interiormente come il rischiare di perdere tutto: certo, se si sa mettersi in discussione, riconoscendo i propri errori, senza tentar di ripetere quello che è già stato. E chi ha fatto naufragio quest’anno, e sta tornando a riveder le stelle, non dice addio solo a un anno, ma a quella parte di sé che si è persa tra le onde. Magari preziosa, ma non essenziale. E da lì può ripartire, con uno slancio e una leggerezza nuovi. Una seconda nascita, più entusiasmante e consapevole della prima.
Tanti, i più, sono stanchi: l’anno è stato faticoso e duro, dal punto di vista affettivo ma anche economico. L’onda lunga della crisi morde con morso più duro chi già fa più fatica ad arrivare a fine mese, chi vede il lavoro incerto, chi non si aspetta un sorriso dall’anno che verrà. A ripensarci, per i più questo è stato un anno di guerra: dentro e fuori di sé, nella coppia, nella famiglia, nel lavoro (della guerra sociale e politica in corso, non parliamo nemmeno). E un bilancio diverso, che può spiegare tante stanchezze, è chiedersi: «Quanti giorni ho passato in pace? Quanti in assetto di guerra?». Nulla erode più l’energia vitale dello stato di guerra: e lo stress cronico altro che non è che l’allarme rosso che corpo e mente accendono quando siamo in tensione continua, quando l’adrenalina è a mille, quando il tempo ci divora, quando siamo sempre di corsa. Molti sono in stato di guerra permanente, e non se ne rendono nemmeno conto: eppure è proprio la stanchezza a dirlo, più di ogni parola.
Per tentare di cominciare un anno diverso, è essenziale chiedersi: «Se i giorni di guerra sono stati più dei giorni di pace, quali sono i fronti su cui ho combattuto? Perché ero in guerra? (a volte si è persa persino memoria del perché...). Ho combattuto per qualcosa d’importante, o per ragioni che posso affrontare in altro modo, cercando una mediazione sensibile e intelligente? Se ho perso la guerra, ma sono vivo, come e dove posso ricominciare una vita migliore?». E per i fortunati, che hanno avuto più giorni di pace, è essenziale capire che cosa li ha benedetti: un figlio desiderato, dopo tanto soffrire; un lavoro entusiasmante, dopo tanto studiare; la serenità di una vita in pensione, piena di interessi e di generosità, dopo tanto lavoro; un amore in cui riconoscersi, con una persona che abbia anima limpida, sentimenti e qualità morali, dopo tanta solitudine o amori ingannevoli; una ritrovata salute, dopo mesi di malattia. E’ essenziale capirlo, per saper restare in tempo di pace, per non sprecare per insipienza questo stato di grazia. E per essere generosi dell’energia, della positività, della fiducia che i tempi di pace ci regalano.
Ai miei affezionati lettori auguro di cuore un anno con più giorni di pace. E più energia, per riassaporare con entusiasmo e gioia la vita.
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