“Se mi viene un infarto, mollo tutto e... vado ai tropici per sei mesi di fila!”. Oppure: “Se mai dovesse capitarmi qualcosa di serio cambio vita e mi dedico a tutti i miei hobby come non ho mai fatto”. Queste e altre affermazioni ricorrenti su “come vivere”, se improvvisamente l’orizzonte di vita si accorciasse, suggeriscono alcune riflessioni. Da un lato, a quanto le nostre vite siano carenti di piacere, a quanti sogni nel cassetto restino inascoltati e inespressi, a quanto venga rimandata ad oltranza la soddisfazione di piccoli e grandi aspirazioni, che restano azzittite, solo perché la vita contemporanea, così frenetica e scandita per uomini e donne dagli orari e dagli impegni di lavoro, amputa sempre più gli spazi della gioia personale. Dall’altro, a quanto raramente la persona metta in atto quanto aveva prima per anni promesso a se stessa, nel momento in cui l’incidente o la diagnosi pesante irrompe nella vita personale. Eppure la situazione potrebbe favorirlo: l’avere una malattia importante legittima desideri che prima la persona non si consentiva nemmeno di esprimere. Toglie quei sensi di colpa, a volte eccessivi, che hanno portato a non concedersi pause e a lavorare come pazzi, per pagare il mutuo della casa, per soddisfare ambizioni di carriera, per guadagnare di più, o per garantire un maggiore benessere e un futuro migliore ai figli. Cambia le dinamiche interpersonali, e mette al centro dell’attenzione della famiglia, almeno per un po’, una persona – spesso il padre o la madre – che è sempre stata vista come una certezza a cui chiedere e basta.
La crisi sul fronte della salute potrebbe coagulare le energie per una rivoluzione sostanziale negli stili di vita, nei rapporti di coppia o di famiglia. Potrebbe dare la motivazione, se non la forza, per dire finalmente che cosa non va, per autorizzarsi a chiedere e non solo a dare, per cercare davvero una maggiore soddisfazione quotidiana, anche nelle piccole cose. Eppure raramente questo succede. Raramente c’è la sterzata vera, che consenta finalmente di riprendersi la vita in mano. Anzi, si notano due atteggiamenti, superato lo shock di un incidente grave, o di un infarto, o di un tumore.
Innanzitutto, la persona tende a ridurre il proprio ambito di azione, magari riduce il lavoro ma non si apre a nuovi modi di aumentare la propria gioia di vivere. La depressione, acuta e comprensibile, quando l’incidente o la diagnosi preoccupante arrivano tra capo e collo, tende a protrarsi e cronicizzarsi, anche oltre il tempo di guarigione o di recupero fisico. La sua cappa nera azzera gli entusiasmi, riduce la voglia di fare, ingrigisce il mattino, paralizza la speranza e chiude con un lucchetto il cassetto dei sogni. Spesso porta a scalare le marce mentali con cui la persona vive, ma senza che questo aumenti la capacità di assaporare le piccole cose, di guardarsi attorno, di gustare un tempo finalmente meno concitato. Il rallentamento è più amico di un’inquieta inerzia che non di una ritrovata capacità di ridare sapore alla propria vita. Purtroppo questa depressione reattiva è spesso considerata come un male necessario, la “gemella siamese” di una malattia grave. Raramente viene curata come un sintomo importante e indipendente, che potrebbe addirittura peggiorare il decorso della malattia. E, con la depressione, si riduce anche l’energia per attivare tutti quei cambiamenti nella vita personale, a lungo sognati e desiderati.
La seconda conseguenza non è di minore importanza, anzi. Il tunnel depressivo riduce la motivazione a seguire scrupolosamente le cure. Riduce lo slancio per le riabilitazione, per esempio dopo un incidente o dopo un infarto, come se la persona si arrendesse a una nuova identità definitiva, e non transitoria, di “malato/a”. Riduce la possibilità di rispondere in modo costruttivo agli stimoli affettuosi che vengono dalla famiglia o dagli amici, che incoraggiano a recuperare una vita più soddisfacente.
Due sono i possibili modi per evitare questa impasse nemica della qualità dell’esistere. Da una lato, mettere in atto fin da ora quei cambiamenti che sentiamo necessari per gustarci di più la vita, senza più rimandare, possibilmente prima che un evento acuto ci obblighi con dolore a capire che il futuro non è illimitato e che la salute è un dono straordinario non garantito. Dall’altro, a malattia o incidente capitato, ad affrontare attivamente la depressione. Con le opportune cure farmacologiche, che anche a basso dosaggio possono aiutare a togliere le lenti nere dagli occhi per ritrovare quel pezzetto d’azzurro in cui brilla la speranza. Con un aiuto psicologico, individuale o attraverso i gruppi di auto-aiuto, sempre più vivaci anche in Italia in diversi tipi di malattia. Con il coraggio di ristabilire le priorità della propria esistenza, ridando spazio e realtà progettuale a sogni e desideri, e ridando al corpo la centralità di attenzione di cui abbisogna per recuperare appieno le forze: attraverso il giusto sonno e cibi sani; attraverso le passeggiate nella natura e il movimento fisico quotidiano che potenzi la riabilitazione, quando necessaria; ma anche riscoprendo il ballo, il massaggio, lo yoga o la meditazione. Non ultimo, iniziando una ricerca interiore, spirituale, che ci aiuti a ridare un senso profondo ai nostri giorni. In tal modo sarà possibile riprendersi la vita, in modo perfino più consapevole e appassionato di quanto lo fosse prima che il destino ci desse uno scossone.
La crisi sul fronte della salute potrebbe coagulare le energie per una rivoluzione sostanziale negli stili di vita, nei rapporti di coppia o di famiglia. Potrebbe dare la motivazione, se non la forza, per dire finalmente che cosa non va, per autorizzarsi a chiedere e non solo a dare, per cercare davvero una maggiore soddisfazione quotidiana, anche nelle piccole cose. Eppure raramente questo succede. Raramente c’è la sterzata vera, che consenta finalmente di riprendersi la vita in mano. Anzi, si notano due atteggiamenti, superato lo shock di un incidente grave, o di un infarto, o di un tumore.
Innanzitutto, la persona tende a ridurre il proprio ambito di azione, magari riduce il lavoro ma non si apre a nuovi modi di aumentare la propria gioia di vivere. La depressione, acuta e comprensibile, quando l’incidente o la diagnosi preoccupante arrivano tra capo e collo, tende a protrarsi e cronicizzarsi, anche oltre il tempo di guarigione o di recupero fisico. La sua cappa nera azzera gli entusiasmi, riduce la voglia di fare, ingrigisce il mattino, paralizza la speranza e chiude con un lucchetto il cassetto dei sogni. Spesso porta a scalare le marce mentali con cui la persona vive, ma senza che questo aumenti la capacità di assaporare le piccole cose, di guardarsi attorno, di gustare un tempo finalmente meno concitato. Il rallentamento è più amico di un’inquieta inerzia che non di una ritrovata capacità di ridare sapore alla propria vita. Purtroppo questa depressione reattiva è spesso considerata come un male necessario, la “gemella siamese” di una malattia grave. Raramente viene curata come un sintomo importante e indipendente, che potrebbe addirittura peggiorare il decorso della malattia. E, con la depressione, si riduce anche l’energia per attivare tutti quei cambiamenti nella vita personale, a lungo sognati e desiderati.
La seconda conseguenza non è di minore importanza, anzi. Il tunnel depressivo riduce la motivazione a seguire scrupolosamente le cure. Riduce lo slancio per le riabilitazione, per esempio dopo un incidente o dopo un infarto, come se la persona si arrendesse a una nuova identità definitiva, e non transitoria, di “malato/a”. Riduce la possibilità di rispondere in modo costruttivo agli stimoli affettuosi che vengono dalla famiglia o dagli amici, che incoraggiano a recuperare una vita più soddisfacente.
Due sono i possibili modi per evitare questa impasse nemica della qualità dell’esistere. Da una lato, mettere in atto fin da ora quei cambiamenti che sentiamo necessari per gustarci di più la vita, senza più rimandare, possibilmente prima che un evento acuto ci obblighi con dolore a capire che il futuro non è illimitato e che la salute è un dono straordinario non garantito. Dall’altro, a malattia o incidente capitato, ad affrontare attivamente la depressione. Con le opportune cure farmacologiche, che anche a basso dosaggio possono aiutare a togliere le lenti nere dagli occhi per ritrovare quel pezzetto d’azzurro in cui brilla la speranza. Con un aiuto psicologico, individuale o attraverso i gruppi di auto-aiuto, sempre più vivaci anche in Italia in diversi tipi di malattia. Con il coraggio di ristabilire le priorità della propria esistenza, ridando spazio e realtà progettuale a sogni e desideri, e ridando al corpo la centralità di attenzione di cui abbisogna per recuperare appieno le forze: attraverso il giusto sonno e cibi sani; attraverso le passeggiate nella natura e il movimento fisico quotidiano che potenzi la riabilitazione, quando necessaria; ma anche riscoprendo il ballo, il massaggio, lo yoga o la meditazione. Non ultimo, iniziando una ricerca interiore, spirituale, che ci aiuti a ridare un senso profondo ai nostri giorni. In tal modo sarà possibile riprendersi la vita, in modo perfino più consapevole e appassionato di quanto lo fosse prima che il destino ci desse uno scossone.
Coraggio di vivere Crisi esistenziale Depressione Riflessioni di vita