Quanti dei nostri politici supererebbero l’esame sulla conoscenza e la pratica delle virtù cardinali? Pochi, pochissimi. Eppure prudenza, giustizia, fortezza e temperanza non sono qualità obsolete, ma caratteristiche essenziali di ogni persona che ambisca a posizioni di rilievo nella società, soprattutto a livello politico dove si dovrebbe agire nell’interesse e per il bene dei cittadini. “Oggi servono invece grinta, lucidità, scaltrezza, duttilità e un po’ di cinismo”, diranno in molti. “Altrimenti come si fa a sopravvivere in questa giungla?”.
Di fatto, molteplici eventi e disastri che hanno travolto i nostri politici di ieri e di oggi mostrano che in realtà la pratica delle virtù cardinali li avrebbe protetti da errori madornali, se non addirittura professionalmente autolesivi, e avrebbe consentito loro una longevità politica accompagnata da stima e rispetto veri che ben pochi, oggi, possono dire di meritare. Di più: se tornassimo a praticare tutti queste virtù, le nostre vite personali andrebbero molto meglio, nella vita affettiva come in quella professionale e amicale.
Attenzione: non si tratta di qualità “confessionali” o religiose, ma un distillato di sapienza e saggezza antica, che ritroviamo in Platone prima ancora che in San Tommaso. Innanzitutto, perché coltivare la prudenza? Perché questa virtù ci aiuta ad affinare uno sguardo equilibrato, sereno e pragmatico sul mondo e sugli obiettivi che ci poniamo, scegliendo con cura gli strumenti e i collaboratori con cui realizzarli. E’ la prudenza che ci porta a fare un’attenta ricognizione del terreno su cui dovremo muoverci ed eventualmente combattere, consapevoli che anche il percorso più piano può nascondere una mina antiuomo. L’uomo e la donna prudenti non sono indecisi, titubanti, paurosi o vigliacchi. No. Questa è un’accezione deteriore del concetto di prudenza che ne fa perdere la profonda sapienza, soprattutto in rapporto sia alla gestione del tempo di preparazione e di analisi delle difficoltà da affrontare, sia delle qualità umane e professionali necessarie per raggiungere l’obiettivo. Le persone prudenti sanno ponderare bene il da farsi, sanno decidere. E quando partono sono così ben preparate che possono andare avanti con coraggio e determinazione, perché conoscono se stesse e il terreno su cui si muovono. La vera prudenza consente di compattare energia e motivazione, di dosare le parole, e poi partire con il coraggio che non si inquina con l’impulsività, l’arroganza o la temerarietà. La prudenza è figlia della ragione e del controllo degli impulsi: e può sviluppare una potenza vera che nessuna temerarietà può dare.
Perché coltivare la giustizia, la più sfregiata tra le virtù? Perché la vita politica, per definizione, richiederebbe l’agire nello spirito e secondo il diritto che garantisce al contempo l’individuo e la collettività. Corruzione e abusi, a tutti i livelli non solo politici ma della scala sociale – basti pensare allo scandalo continuo dei concorsi universitari – fanno della giustizia una dea in esilio. Ma quanto crescerebbero la stima e il credito collettivi per un uomo, per una donna, profondamente giusti? Quanto carisma intrinseco deriverebbe dal sentire che un uomo si muove e agisce secondo giustizia? Perché siamo diventati così cinici da non crederci più? Apparentemente questo è il mondo dei furbi, dei corrotti, dei figli delle tenebre. Eppure una parte consistente della nostra gente ha ancora voglia di credere nei valori della persona, nei figli della luce, e vorrebbe dei politici puliti, davvero, in cui riconoscersi con orgoglio e senso vero di appartenenza.
E perché coltivare la fortezza, che il termine latino “fortitudo” tiene sottilmente ben distinta dalla forza (“vis”)? Perché nella fortezza c’è anzitutto il senso della forza interiore, della qualità strutturata della persona, che le consente di tenere il mare anche quando i venti sono avversi e le onde alte e minacciose. Nella fortezza c’è disciplina, allenamento, preparazione, affinamento delle qualità personali e correzione dei difetti e dei limiti. Solo chi ha coltivato la forza interiore può andare avanti nonostante minacce, frodi e tranelli, nonostante contrattempi e avversità. Il primo amico, o il primo nemico, del nostro viaggio nella vita siamo noi stessi: per questo Socrate giustamente diceva: ”Conosci te stesso”. E per questo coltivare la forza interiore consente di superare le paludi della paura, della viltà, dell’accidia, della pigrizia. Ma anche le seduzioni di piaceri segreti, di trasgressioni pericolose, di esaltazioni sfrenate. Ulisse si fece legare dai suoi marinai, per non cedere al canto mortifero delle sirene, anche se non si negò l’abbraccio amoroso di Nausicaa, rischiando peraltro grosso tra le spire di Circe (che trasformò i suoi uomini in maiali...).
Nessuna di queste virtù può esprimersi al meglio, tuttavia, senza la quarta alleata, oggi la più negletta: la temperanza. Coltivare se stessi, e realizzare i propri sogni, richiede sobrietà negli stili di vita: quando il cervello è inquinato dall’alcol, dal mangiare smodato, dalla carenza di sonno, quando il bisogno di piacere e trasgressione domina le nostre scelte, sessuali e non, quando affidiamo alle droghe eccitanti la spinta per tenerci su di giri, perdiamo lucidità, capacità di analisi e senso dei limiti. Sottovalutiamo i rischi, pensando di essere onnipotenti, o al di sopra e al di fuori delle regole, ed ecco che la mina antiuomo – la nostra stessa imprudenza – arriva improvvisa a devastarci la vita come nel peggiore degli incubi.
E l’ambizione? E’ come avere un cavallo di razza, su un percorso ad ostacoli, qual è la vita. Bisogna montarlo con prudenza e con calma, con coraggio e senso di giustizia (assumendosi i propri errori), coltivando il corpo e lo spirito, ardenti, dentro, ma con grande sobrietà: solo così svilupperà tutta la sua potenza. Si può vincere allora, studiando il percorso e gli ostacoli, calcolando bene il proprio baricentro, l’angolo di ascesa, il numero di falcate, il punto di battuta. Esaltandosi, e tanto, solo quando l’ultimo ostacolo di una corsa pulita è alle spalle.
Torniamo a riscoprire la saggezza antica, a coltivare quelle virtù cardinali che diventano i pilastri di un’esistenza serena e generosa. Laici o religiosi, possiamo assaporare il meglio della vita, conquistandolo con le nostre capacità e la nostra rettitudine. Magari esteriormente si ottiene di meno e si è meno visibili: ma la soddisfazione di essere se stessi, di aver conquistato il poco o il tanto con le proprie forze, di amare appassionatamente la vita senza trucchi e senza corruzioni, quello è un piacere duraturo e impareggiabile. Il più prezioso, nella vita personale come in quella politica.
Di fatto, molteplici eventi e disastri che hanno travolto i nostri politici di ieri e di oggi mostrano che in realtà la pratica delle virtù cardinali li avrebbe protetti da errori madornali, se non addirittura professionalmente autolesivi, e avrebbe consentito loro una longevità politica accompagnata da stima e rispetto veri che ben pochi, oggi, possono dire di meritare. Di più: se tornassimo a praticare tutti queste virtù, le nostre vite personali andrebbero molto meglio, nella vita affettiva come in quella professionale e amicale.
Attenzione: non si tratta di qualità “confessionali” o religiose, ma un distillato di sapienza e saggezza antica, che ritroviamo in Platone prima ancora che in San Tommaso. Innanzitutto, perché coltivare la prudenza? Perché questa virtù ci aiuta ad affinare uno sguardo equilibrato, sereno e pragmatico sul mondo e sugli obiettivi che ci poniamo, scegliendo con cura gli strumenti e i collaboratori con cui realizzarli. E’ la prudenza che ci porta a fare un’attenta ricognizione del terreno su cui dovremo muoverci ed eventualmente combattere, consapevoli che anche il percorso più piano può nascondere una mina antiuomo. L’uomo e la donna prudenti non sono indecisi, titubanti, paurosi o vigliacchi. No. Questa è un’accezione deteriore del concetto di prudenza che ne fa perdere la profonda sapienza, soprattutto in rapporto sia alla gestione del tempo di preparazione e di analisi delle difficoltà da affrontare, sia delle qualità umane e professionali necessarie per raggiungere l’obiettivo. Le persone prudenti sanno ponderare bene il da farsi, sanno decidere. E quando partono sono così ben preparate che possono andare avanti con coraggio e determinazione, perché conoscono se stesse e il terreno su cui si muovono. La vera prudenza consente di compattare energia e motivazione, di dosare le parole, e poi partire con il coraggio che non si inquina con l’impulsività, l’arroganza o la temerarietà. La prudenza è figlia della ragione e del controllo degli impulsi: e può sviluppare una potenza vera che nessuna temerarietà può dare.
Perché coltivare la giustizia, la più sfregiata tra le virtù? Perché la vita politica, per definizione, richiederebbe l’agire nello spirito e secondo il diritto che garantisce al contempo l’individuo e la collettività. Corruzione e abusi, a tutti i livelli non solo politici ma della scala sociale – basti pensare allo scandalo continuo dei concorsi universitari – fanno della giustizia una dea in esilio. Ma quanto crescerebbero la stima e il credito collettivi per un uomo, per una donna, profondamente giusti? Quanto carisma intrinseco deriverebbe dal sentire che un uomo si muove e agisce secondo giustizia? Perché siamo diventati così cinici da non crederci più? Apparentemente questo è il mondo dei furbi, dei corrotti, dei figli delle tenebre. Eppure una parte consistente della nostra gente ha ancora voglia di credere nei valori della persona, nei figli della luce, e vorrebbe dei politici puliti, davvero, in cui riconoscersi con orgoglio e senso vero di appartenenza.
E perché coltivare la fortezza, che il termine latino “fortitudo” tiene sottilmente ben distinta dalla forza (“vis”)? Perché nella fortezza c’è anzitutto il senso della forza interiore, della qualità strutturata della persona, che le consente di tenere il mare anche quando i venti sono avversi e le onde alte e minacciose. Nella fortezza c’è disciplina, allenamento, preparazione, affinamento delle qualità personali e correzione dei difetti e dei limiti. Solo chi ha coltivato la forza interiore può andare avanti nonostante minacce, frodi e tranelli, nonostante contrattempi e avversità. Il primo amico, o il primo nemico, del nostro viaggio nella vita siamo noi stessi: per questo Socrate giustamente diceva: ”Conosci te stesso”. E per questo coltivare la forza interiore consente di superare le paludi della paura, della viltà, dell’accidia, della pigrizia. Ma anche le seduzioni di piaceri segreti, di trasgressioni pericolose, di esaltazioni sfrenate. Ulisse si fece legare dai suoi marinai, per non cedere al canto mortifero delle sirene, anche se non si negò l’abbraccio amoroso di Nausicaa, rischiando peraltro grosso tra le spire di Circe (che trasformò i suoi uomini in maiali...).
Nessuna di queste virtù può esprimersi al meglio, tuttavia, senza la quarta alleata, oggi la più negletta: la temperanza. Coltivare se stessi, e realizzare i propri sogni, richiede sobrietà negli stili di vita: quando il cervello è inquinato dall’alcol, dal mangiare smodato, dalla carenza di sonno, quando il bisogno di piacere e trasgressione domina le nostre scelte, sessuali e non, quando affidiamo alle droghe eccitanti la spinta per tenerci su di giri, perdiamo lucidità, capacità di analisi e senso dei limiti. Sottovalutiamo i rischi, pensando di essere onnipotenti, o al di sopra e al di fuori delle regole, ed ecco che la mina antiuomo – la nostra stessa imprudenza – arriva improvvisa a devastarci la vita come nel peggiore degli incubi.
E l’ambizione? E’ come avere un cavallo di razza, su un percorso ad ostacoli, qual è la vita. Bisogna montarlo con prudenza e con calma, con coraggio e senso di giustizia (assumendosi i propri errori), coltivando il corpo e lo spirito, ardenti, dentro, ma con grande sobrietà: solo così svilupperà tutta la sua potenza. Si può vincere allora, studiando il percorso e gli ostacoli, calcolando bene il proprio baricentro, l’angolo di ascesa, il numero di falcate, il punto di battuta. Esaltandosi, e tanto, solo quando l’ultimo ostacolo di una corsa pulita è alle spalle.
Torniamo a riscoprire la saggezza antica, a coltivare quelle virtù cardinali che diventano i pilastri di un’esistenza serena e generosa. Laici o religiosi, possiamo assaporare il meglio della vita, conquistandolo con le nostre capacità e la nostra rettitudine. Magari esteriormente si ottiene di meno e si è meno visibili: ma la soddisfazione di essere se stessi, di aver conquistato il poco o il tanto con le proprie forze, di amare appassionatamente la vita senza trucchi e senza corruzioni, quello è un piacere duraturo e impareggiabile. Il più prezioso, nella vita personale come in quella politica.