La solitudine più trascurata? Riguarda i malati, dopo le dimissioni dall’ospedale. Con rare eccezioni, il/la paziente non viene aiutato nella convalescenza con indicazioni chiare e un’assistenza mirata. Nel foglio di dimissioni si scrive quello che ha avuto, non quello che dovrà fare per ottimizzare il recupero. Con costi enormi sul fronte della salute, per esiti dolorosi, evitabili con tempestive terapie anche domiciliari; per recuperi incompleti nelle funzioni degli arti e nella postura, con esiti permanenti; per effetti collaterali, di interventi o farmaci, limitabili se subito riconosciuti; per depressioni da dolore, da senso di impotenza e di sfiducia nella possibilità di guarire. Ancor più se il/la paziente soffre di patologie croniche, siano esse il diabete o la sclerosi multipla, le malattie autoimmuni o i tumori, e se è anziano. Costi quantizzabili per la necessità di altri ricoveri o di ulteriori terapie farmacologiche, per la perdita di giorni di lavoro, per invalidità permanenti. E costi non quantizzabili, ma non meno pesanti: il dolore, la disperazione, la frustrazione della persona malata, che non vede più luce nel proprio futuro, ma anche dei familiari, che si ritrovano con un pesante sovraccarico accuditivo.
Due esempi concreti: dopo il parto, solo in pochi ospedali vengono date chiare indicazioni su come prevenire il dolore ai rapporti, che colpisce ben il 43% delle donne a sei mesi dal parto, e il 23% a 18 mesi! Dolore conseguente alle lacerazioni da parto, all’episiotomia (il taglio sui genitali che si fa per favorire l’uscita del bambino), e/o a manovre urgenti con cui si accelera la nascita per ridurre il rischio di sofferenza cerebrale del piccolo, con pesanti conseguenze sull’integrità del pavimento pelvico della donna, che si ritrova anche con incontinenza e prolassi.
In Francia la riabilitazione del pavimento pelvico, per ridurre sia il dolore, sia il rischio di incontinenza, viene offerta in tutti gli ospedali pubblici del Paese. Da noi, con rare eccezioni, è ancora il sogno di una notte di mezza estate. Quante donne vengono aiutate a ridurre il rischio di depressione dopo il parto, che colpisce 1 donna su 4 anche in Italia? A quante viene detto che è essenziale continuare gli integratori, almeno ferro e acido folico, per tutto l’allattamento? «Questi servizi costano», è la risposta. E quanto costa l’infelicità di un donna? Quante donne si rifiutano di avere un secondo figlio, perché il parto è stato traumatico, con esiti troppo pesanti? Quanto costano a un Paese le conseguenze di una depressione materna non trattata, che ha conseguenze nefaste e durature sulla salute fisica e mentale del bambino? O le crisi di coppia, perché la paralisi dell’intimità per un anno o più è difficile da accettare in un clima familiare già impegnativo?
Altro esempio: le dimissioni dopo incidenti stradali, così frequenti e così drammatici. Non basta sopravvivere. Bisogna tornare a vivere. Ci sono tempi specifici ottimali, per recuperare al meglio. Tempi oltre i quali il recupero funzionale resta incompleto, inadeguato o francamente patologico: che si tratti di recupero motorio o cerebrale. Consideriamo un trauma alla testa da caduta in moto, o da scontro in auto. Si fa la Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), o la Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), e si dice: «Per fortuna non c’è niente». Attenzione. Non c’è niente di macroscopico, di visibile con gli attuali mezzi di indagine. Invece a livello microscopico il trauma c’è, eccome: ed ecco le vertigini, il nistagmo, la cefalea furiosa e invalidante, la perdita di memoria a breve termine. «Beh, è normale dopo un trauma simile». No, signori, è frequente, ma non è normale. La normalità è la salute, che è un’altra cosa. Per non parlare dei traumi contusivi, con ematomi diffusi, anche vasti. Attenzione: l’ematoma è un sequestro di sangue. Se sono molti, ne risulta un’anemia, anche seria, con tutti i sintomi associati; debolezza, affaticabilità, depressione (che raddoppia in caso di anemia), difficoltà di attenzione, concentrazione e memoria. Non sono sintomi “psicologici”, ma chiari segnali con cui corpo e cervello ci stanno chiedendo aiuto. A quanti pazienti anemici post-trauma vengono dati ferro e vitamine del gruppo B e C, per almeno 3 mesi dopo il trauma, per ottimizzare il recupero dell’emocromo e dell’energia vitale?
Il buco nero delle dimissioni indifferenti al recupero ottimale divora salute ed energia. Divora il futuro, anche economico, di un Paese. Possibile che nessuno se ne accorga?
Due esempi concreti: dopo il parto, solo in pochi ospedali vengono date chiare indicazioni su come prevenire il dolore ai rapporti, che colpisce ben il 43% delle donne a sei mesi dal parto, e il 23% a 18 mesi! Dolore conseguente alle lacerazioni da parto, all’episiotomia (il taglio sui genitali che si fa per favorire l’uscita del bambino), e/o a manovre urgenti con cui si accelera la nascita per ridurre il rischio di sofferenza cerebrale del piccolo, con pesanti conseguenze sull’integrità del pavimento pelvico della donna, che si ritrova anche con incontinenza e prolassi.
In Francia la riabilitazione del pavimento pelvico, per ridurre sia il dolore, sia il rischio di incontinenza, viene offerta in tutti gli ospedali pubblici del Paese. Da noi, con rare eccezioni, è ancora il sogno di una notte di mezza estate. Quante donne vengono aiutate a ridurre il rischio di depressione dopo il parto, che colpisce 1 donna su 4 anche in Italia? A quante viene detto che è essenziale continuare gli integratori, almeno ferro e acido folico, per tutto l’allattamento? «Questi servizi costano», è la risposta. E quanto costa l’infelicità di un donna? Quante donne si rifiutano di avere un secondo figlio, perché il parto è stato traumatico, con esiti troppo pesanti? Quanto costano a un Paese le conseguenze di una depressione materna non trattata, che ha conseguenze nefaste e durature sulla salute fisica e mentale del bambino? O le crisi di coppia, perché la paralisi dell’intimità per un anno o più è difficile da accettare in un clima familiare già impegnativo?
Altro esempio: le dimissioni dopo incidenti stradali, così frequenti e così drammatici. Non basta sopravvivere. Bisogna tornare a vivere. Ci sono tempi specifici ottimali, per recuperare al meglio. Tempi oltre i quali il recupero funzionale resta incompleto, inadeguato o francamente patologico: che si tratti di recupero motorio o cerebrale. Consideriamo un trauma alla testa da caduta in moto, o da scontro in auto. Si fa la Tomografia Assiale Computerizzata (TAC), o la Risonanza Magnetica Nucleare (RMN), e si dice: «Per fortuna non c’è niente». Attenzione. Non c’è niente di macroscopico, di visibile con gli attuali mezzi di indagine. Invece a livello microscopico il trauma c’è, eccome: ed ecco le vertigini, il nistagmo, la cefalea furiosa e invalidante, la perdita di memoria a breve termine. «Beh, è normale dopo un trauma simile». No, signori, è frequente, ma non è normale. La normalità è la salute, che è un’altra cosa. Per non parlare dei traumi contusivi, con ematomi diffusi, anche vasti. Attenzione: l’ematoma è un sequestro di sangue. Se sono molti, ne risulta un’anemia, anche seria, con tutti i sintomi associati; debolezza, affaticabilità, depressione (che raddoppia in caso di anemia), difficoltà di attenzione, concentrazione e memoria. Non sono sintomi “psicologici”, ma chiari segnali con cui corpo e cervello ci stanno chiedendo aiuto. A quanti pazienti anemici post-trauma vengono dati ferro e vitamine del gruppo B e C, per almeno 3 mesi dopo il trauma, per ottimizzare il recupero dell’emocromo e dell’energia vitale?
Il buco nero delle dimissioni indifferenti al recupero ottimale divora salute ed energia. Divora il futuro, anche economico, di un Paese. Possibile che nessuno se ne accorga?
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