“Ricordati, tesoro: non sposi solo lui, sposi la sua famiglia!”. Di tanto in tanto, fin da quando ero piccina, mia nonna mi ricordava questo principio cardinale dei matrimoni che cerchino di avere buone fondamenta e una prospettiva di soddisfacente durata. Lo spunto poteva essere una crisi in una famiglia amica, o in una coppia di parenti, vicini e lontani, che contavano sul notevolissimo buon senso della nonna per un consiglio su un problema con i figli, o con le famiglie d’origine del/la coniuge. E se ora ho un po’ di buon senso lo devo a questo apprendimento antico “della saggezza del tavolo da cucina” , come la chiama Rachele Naomi Remen, nel delizioso libro omonimo: “Kitchen table wisdom: stories that heal” (Paperback, 1997), in cui racconta come dall’ascolto delle conversazioni dei nonni e dei vecchi di famiglia, attorno alla cucina, ci sia l’apprendimento di quei fondamentali della vita, le storie che curano, che si rivelano essi stessi curativi nei passaggi difficili dell’esistenza.
E’ ancora vera quell’affermazione sul matrimonio “con la famiglia”? Quanto di quella verità resta oggi radicato nel pensiero e nell’agire corrente, e quanto è superato e obsoleto?
L’osservazione resta vera senz’altro per l’aspetto affettivo: famiglie solide, in cui amore, affetto, stima, rispetto e senso etico della vita siano i capisaldi dei rapporti interpersonali hanno in assoluto il biglietto di presentazione migliore. Significa che fin da piccolo ogni membro di quella famiglia ha appreso il linguaggio dell’empatia, dell’intuizione delle emozioni e dei sentimenti dell’altro. Che ha conosciuto nei comportamenti quotidiani il senso di un comportamento limpido, moralmente orientato, in cui onestà, correttezza, lealtà, capacità di gratitudine, siano costanti quotidiane. Quel lessico affettivo e morale familiare che al di là di razza, colore della pelle o religione è il vero prerequisito per rapporti duraturi di qualità. Non solo tra i nuovi partner, ma anche di ciascun partner con l’altra famiglia: come tutti sanno, uno dei nodi cruciali dei rapporti interfamiliari. Di converso egoismo, povertà affettiva, grettezza, rozzezza, minimalismo affettivo, maleducazione o franca immoralità sono un veleno spaventoso non solo per la giovane coppia, ma anche tutta la rete di connessioni che un progetto di famiglia nuova comporta. Si può dire: basta frequentarli poco, i parenti, che problema c’è? C’è che comunque lo stile esistenziale respirato in famiglia si ripercuote nel modo di vivere personale, nelle priorità e nei valori che ispirano i comportamenti, nel linguaggio con cui ci si esprime, nel modo, soprattutto, di educare i figli, su cui le differenze delle famiglie d’origine possono poi creare scenari sottilmente esplosivi.
L’affermazione resta vera anche dal punto di vista genetico, dell’ereditarietà di malattie e vulnerabilità? Lo è molto meno: una volta si guardava molto che la famiglia fosse anche “fisicamente sana” e con tanti figli. Il futuro procreativo si basava su questo pilastro primordiale, che non aveva poi cure correttive quante ne abbiamo oggi sul fronte dell’infertilità. E’ meno vera anche sul fronte delle malattie genetiche: valutazioni preconcezionali e diagnosi prenatale consentono infatti possibilità procreative in salute e in sicurezza prima impensate. Basti pensare al morbo di Cooley, gravissima malattia ematologica e dell’accrescimento, prima mortale, dovuta all’avere ereditato da entrambi i genitori i geni dell’anemia mediterranea. In Sardegna, in cui il problema era drammatico, grazie alla diagnosi prenatale, il numero di bambini affetti si è ridotto quasi a zero. Per le malattie psichiatriche (ansia, depressione, schizofrenia, psicosi), che pure hanno una solida base genetica, l’attenzione, una volta massima nelle famiglie che sceglievano con cura i partner per i propri figli, si è molto stemperata grazie anche ai progressi nelle terapie. Su altri fronti, come l’alcolismo o il gioco d’azzardo, in cui genetica e ambiente si intersecano, l’attenzione familiare era molto attenta in passato. Oggi la banalizzazione dell’uso di alcol o droghe fa sì che questi comportamenti non vengano più considerati come segnali di rischio, come invece restano.
Naturalmente vale per molte patologie quello che gli antichi dicevano delle stelle (“astra inclinant, non necessitant” ), ossia i geni creano una predisposizione più o meno marcata, raramente sono un destino con certezza di malattia. Oggi nessuno considera più lo scenario di vulnerabilità alle malattie come un elemento meritevole di riflessione, anzi, immediatamente si parlerebbe di razzismo “salutista” o, peggio, “eugenetico”. In tempi in cui l’amore romantico e la passione sono le uniche variabili che la coppia considera come meritevoli di ascolto, non c’è più spazio né ascolto per le vulnerabilità biologiche.
E sul fronte dei matrimoni tra persone di culture e religioni diverse? Tutto bene, se entrambe le famiglie hanno quel codice affettivo di qualità, che consente poi il dialogo, la comprensione e la mediazione anche su aree delicate. Sono ad alto rischio, invece, le situazioni in cui la differenza culturale e/o religiosa si esprima anche su una lettura arcaica del ruolo della donna e dei comportamenti che le sono o meno consentiti, come alcuni recenti drammatici episodi di cronaca ci hanno ricordato.
Soprattutto, l’affermazione del matrimonio “anche con la famiglia d’origine” è minata da una convinzione: “Tanto, se non va, mi separo”. Affermazione che contiene in sé molti degli elementi che contribuiscono alla fragilità delle relazioni di coppia contemporanee. E’ l’ammettere a priori la possibilità di rottura a minimizzare l’attenzione a quei fattori familiari che si rivelano poi spesso i veri fattori esplosivi all’interno della nuova coppia. Di converso, quando la svelta è fatta considerando anche le affinità familiari, ecco che i buoni rapporti con le due famiglie d’origine diventano preziosissimi fattori di stabilità e continuità della coppia, anche in questi tempi di alta vulnerabilità, soprattutto quando entrambi i partner lavorano e i nonni diventano gli angeli custodi non solo dei nipoti ma anche della serenità coniugale dei figli.
E’ ancora vera quell’affermazione sul matrimonio “con la famiglia”? Quanto di quella verità resta oggi radicato nel pensiero e nell’agire corrente, e quanto è superato e obsoleto?
L’osservazione resta vera senz’altro per l’aspetto affettivo: famiglie solide, in cui amore, affetto, stima, rispetto e senso etico della vita siano i capisaldi dei rapporti interpersonali hanno in assoluto il biglietto di presentazione migliore. Significa che fin da piccolo ogni membro di quella famiglia ha appreso il linguaggio dell’empatia, dell’intuizione delle emozioni e dei sentimenti dell’altro. Che ha conosciuto nei comportamenti quotidiani il senso di un comportamento limpido, moralmente orientato, in cui onestà, correttezza, lealtà, capacità di gratitudine, siano costanti quotidiane. Quel lessico affettivo e morale familiare che al di là di razza, colore della pelle o religione è il vero prerequisito per rapporti duraturi di qualità. Non solo tra i nuovi partner, ma anche di ciascun partner con l’altra famiglia: come tutti sanno, uno dei nodi cruciali dei rapporti interfamiliari. Di converso egoismo, povertà affettiva, grettezza, rozzezza, minimalismo affettivo, maleducazione o franca immoralità sono un veleno spaventoso non solo per la giovane coppia, ma anche tutta la rete di connessioni che un progetto di famiglia nuova comporta. Si può dire: basta frequentarli poco, i parenti, che problema c’è? C’è che comunque lo stile esistenziale respirato in famiglia si ripercuote nel modo di vivere personale, nelle priorità e nei valori che ispirano i comportamenti, nel linguaggio con cui ci si esprime, nel modo, soprattutto, di educare i figli, su cui le differenze delle famiglie d’origine possono poi creare scenari sottilmente esplosivi.
L’affermazione resta vera anche dal punto di vista genetico, dell’ereditarietà di malattie e vulnerabilità? Lo è molto meno: una volta si guardava molto che la famiglia fosse anche “fisicamente sana” e con tanti figli. Il futuro procreativo si basava su questo pilastro primordiale, che non aveva poi cure correttive quante ne abbiamo oggi sul fronte dell’infertilità. E’ meno vera anche sul fronte delle malattie genetiche: valutazioni preconcezionali e diagnosi prenatale consentono infatti possibilità procreative in salute e in sicurezza prima impensate. Basti pensare al morbo di Cooley, gravissima malattia ematologica e dell’accrescimento, prima mortale, dovuta all’avere ereditato da entrambi i genitori i geni dell’anemia mediterranea. In Sardegna, in cui il problema era drammatico, grazie alla diagnosi prenatale, il numero di bambini affetti si è ridotto quasi a zero. Per le malattie psichiatriche (ansia, depressione, schizofrenia, psicosi), che pure hanno una solida base genetica, l’attenzione, una volta massima nelle famiglie che sceglievano con cura i partner per i propri figli, si è molto stemperata grazie anche ai progressi nelle terapie. Su altri fronti, come l’alcolismo o il gioco d’azzardo, in cui genetica e ambiente si intersecano, l’attenzione familiare era molto attenta in passato. Oggi la banalizzazione dell’uso di alcol o droghe fa sì che questi comportamenti non vengano più considerati come segnali di rischio, come invece restano.
Naturalmente vale per molte patologie quello che gli antichi dicevano delle stelle (“astra inclinant, non necessitant” ), ossia i geni creano una predisposizione più o meno marcata, raramente sono un destino con certezza di malattia. Oggi nessuno considera più lo scenario di vulnerabilità alle malattie come un elemento meritevole di riflessione, anzi, immediatamente si parlerebbe di razzismo “salutista” o, peggio, “eugenetico”. In tempi in cui l’amore romantico e la passione sono le uniche variabili che la coppia considera come meritevoli di ascolto, non c’è più spazio né ascolto per le vulnerabilità biologiche.
E sul fronte dei matrimoni tra persone di culture e religioni diverse? Tutto bene, se entrambe le famiglie hanno quel codice affettivo di qualità, che consente poi il dialogo, la comprensione e la mediazione anche su aree delicate. Sono ad alto rischio, invece, le situazioni in cui la differenza culturale e/o religiosa si esprima anche su una lettura arcaica del ruolo della donna e dei comportamenti che le sono o meno consentiti, come alcuni recenti drammatici episodi di cronaca ci hanno ricordato.
Soprattutto, l’affermazione del matrimonio “anche con la famiglia d’origine” è minata da una convinzione: “Tanto, se non va, mi separo”. Affermazione che contiene in sé molti degli elementi che contribuiscono alla fragilità delle relazioni di coppia contemporanee. E’ l’ammettere a priori la possibilità di rottura a minimizzare l’attenzione a quei fattori familiari che si rivelano poi spesso i veri fattori esplosivi all’interno della nuova coppia. Di converso, quando la svelta è fatta considerando anche le affinità familiari, ecco che i buoni rapporti con le due famiglie d’origine diventano preziosissimi fattori di stabilità e continuità della coppia, anche in questi tempi di alta vulnerabilità, soprattutto quando entrambi i partner lavorano e i nonni diventano gli angeli custodi non solo dei nipoti ma anche della serenità coniugale dei figli.
Famiglia e rapporti familiari Rapporto di coppia Riflessioni di vita