Scuola: a quando il ritorno delle regole? Quelle regole di educazione e rispetto ancora vivaci trent’anni fa e ora lontane, come se appartenessero al Rinascimento. All’università di Padova, quando il Professor Cevese, autorevole e severo ordinario di Clinica Chirurgica, entrava nell’aula Morgagni per la lezione, seicento studenti di Medicina si alzavano in piedi, in silenzio. Era il 1978, la contestazione studentesca era violenta e dissacrante, eppure anche i più estremisti si alzavano, anche nelle ultime file. Rispetto per uno degli ultimi veri “baroni”? Paura? O era il suo carisma? Mi sorprendevo sempre a vedere come nessuno osasse restare seduto.
Il rispetto, anche formale, per gli insegnanti è stato eroso, fino a una banalizzazione del ruolo che contribuisce all’inefficacia dell’insegnamento. Il patto educativo tra genitori e insegnanti è da tempo lacerato, come ben ha ricordato Papa Francesco giovedì scorso, 4 settembre, parlando ai direttori di Scholas Occurrentes, “rete di scuole per costruire ponti fra scuole” voluta dall’allora cardinale Bergoglio quando era ancora a Buenos Aires. Oggi la mancanza di educazione e di cultura e la dilagante, irrefrenata, impulsività degli studenti stanno diventando un serio problema in tutto i Paesi ad alto reddito di stampo democratico. Addirittura un insegnante su tre della scuola media inglese non ha fiducia nelle proprie capacità di mantenere la disciplina in classe, secondo l’ultimo sondaggio condotto in questi giorni in Gran Bretagna.
Quest’ultimo inquietante segnale ha definitivamente convinto Lord John Nash, dei Tory, ora sottosegretario di Stato per l’Istruzione, della necessità di dare una sterzata normativa. Gli insegnanti decideranno in quali banchi i ragazzi si debbano sedere, per evitare i ben noti aggregati di disturbatori impenitenti negli ultimi banchi. Ritorno di punizioni, certo non corporali, ma “socialmente utili”: per esempio pulire i graffiti (idea benemerita!) o pulire i parchi. Naturalmente, non si tratta solo di controlli e punizioni. La circolare del Ministero dell’Istruzione inglese va anche alla sostanza del metodo, con un denominatore comune: ristimolare a un apprendimento diretto, personale, e non vicariato da tablet e calcolatrici.
Viene fortemente reincoraggiato l’apprendimento a memoria, con le prime poesie da imparare già a cinque anni. Calcoli da riallenarsi a fare a mente, o con carta e penna, con test di profitto da svolgere senza calcolatrice a 11 anni. Lingue straniere già alle elementari. Il senso è ridare alla scuola il ruolo di centro dell’istruzione, di palestra del cervello ma anche di grande educatore all’abc del comportamento, ancor più se questo latita in famiglie spesso sbandate o inesistenti.
La questione è complessa, e non si risolve solo con alcune regole. Tuttavia il segnale dato da lord Nash è molto forte. Il pendolo dell’anarchia progressiva a scuola ha finito la sua corsa. La richiesta di scuole private, con regole precise e insegnamento “all’antica”, accanto naturalmente a modalità di apprendimento moderne, sta crescendo in molti Paesi. I genitori che ancora cercano di dare un’educazione degna del nome ai figli si trovano in seria difficoltà quando il pargolo entra in classi selvagge, dove “disimpara” in poco tempo molto di quanto aveva con difficoltà appreso a casa. Si ricercano, fin dalle materne, le scuole, e le classi, con insegnanti “bravi”: combinazione, quelli più capaci non solo di insegnare bene mantenendo alta l’attenzione, la motivazione e l’ammirazione, ma anche di tenere saldamente in mano la disciplina. Quell’insieme di regole e di rispetto che solo consente l’attenzione, l’ascolto, la concentrazione, l’approfondimento, la memorizzazione. Dove c’è sì spazio per la risata, per il momento di allegria liberatoria o di discussione vivace, ma all’interno di un codice di comportamento civile condiviso.
Il buon esempio lo dovrebbero dare per primi gli insegnanti stessi. Dal punto di vista sostanziale, con lezioni preparate a fondo, ben aggiornate, ma anche condivise con gli studenti in modo appassionante. Dal punto di vista formale, con un comportamento impeccabile, dal linguaggio al vestiario al divieto assoluto al fumo, anche nel cortile della scuola. Ricordando l’etimo di disciplina, dal latino “discere”, che significa “imparare”. Quindi anche insegnamento di qualità ed educazione in tutti: insegnanti, studenti e genitori inclusi.
Il rispetto, anche formale, per gli insegnanti è stato eroso, fino a una banalizzazione del ruolo che contribuisce all’inefficacia dell’insegnamento. Il patto educativo tra genitori e insegnanti è da tempo lacerato, come ben ha ricordato Papa Francesco giovedì scorso, 4 settembre, parlando ai direttori di Scholas Occurrentes, “rete di scuole per costruire ponti fra scuole” voluta dall’allora cardinale Bergoglio quando era ancora a Buenos Aires. Oggi la mancanza di educazione e di cultura e la dilagante, irrefrenata, impulsività degli studenti stanno diventando un serio problema in tutto i Paesi ad alto reddito di stampo democratico. Addirittura un insegnante su tre della scuola media inglese non ha fiducia nelle proprie capacità di mantenere la disciplina in classe, secondo l’ultimo sondaggio condotto in questi giorni in Gran Bretagna.
Quest’ultimo inquietante segnale ha definitivamente convinto Lord John Nash, dei Tory, ora sottosegretario di Stato per l’Istruzione, della necessità di dare una sterzata normativa. Gli insegnanti decideranno in quali banchi i ragazzi si debbano sedere, per evitare i ben noti aggregati di disturbatori impenitenti negli ultimi banchi. Ritorno di punizioni, certo non corporali, ma “socialmente utili”: per esempio pulire i graffiti (idea benemerita!) o pulire i parchi. Naturalmente, non si tratta solo di controlli e punizioni. La circolare del Ministero dell’Istruzione inglese va anche alla sostanza del metodo, con un denominatore comune: ristimolare a un apprendimento diretto, personale, e non vicariato da tablet e calcolatrici.
Viene fortemente reincoraggiato l’apprendimento a memoria, con le prime poesie da imparare già a cinque anni. Calcoli da riallenarsi a fare a mente, o con carta e penna, con test di profitto da svolgere senza calcolatrice a 11 anni. Lingue straniere già alle elementari. Il senso è ridare alla scuola il ruolo di centro dell’istruzione, di palestra del cervello ma anche di grande educatore all’abc del comportamento, ancor più se questo latita in famiglie spesso sbandate o inesistenti.
La questione è complessa, e non si risolve solo con alcune regole. Tuttavia il segnale dato da lord Nash è molto forte. Il pendolo dell’anarchia progressiva a scuola ha finito la sua corsa. La richiesta di scuole private, con regole precise e insegnamento “all’antica”, accanto naturalmente a modalità di apprendimento moderne, sta crescendo in molti Paesi. I genitori che ancora cercano di dare un’educazione degna del nome ai figli si trovano in seria difficoltà quando il pargolo entra in classi selvagge, dove “disimpara” in poco tempo molto di quanto aveva con difficoltà appreso a casa. Si ricercano, fin dalle materne, le scuole, e le classi, con insegnanti “bravi”: combinazione, quelli più capaci non solo di insegnare bene mantenendo alta l’attenzione, la motivazione e l’ammirazione, ma anche di tenere saldamente in mano la disciplina. Quell’insieme di regole e di rispetto che solo consente l’attenzione, l’ascolto, la concentrazione, l’approfondimento, la memorizzazione. Dove c’è sì spazio per la risata, per il momento di allegria liberatoria o di discussione vivace, ma all’interno di un codice di comportamento civile condiviso.
Il buon esempio lo dovrebbero dare per primi gli insegnanti stessi. Dal punto di vista sostanziale, con lezioni preparate a fondo, ben aggiornate, ma anche condivise con gli studenti in modo appassionante. Dal punto di vista formale, con un comportamento impeccabile, dal linguaggio al vestiario al divieto assoluto al fumo, anche nel cortile della scuola. Ricordando l’etimo di disciplina, dal latino “discere”, che significa “imparare”. Quindi anche insegnamento di qualità ed educazione in tutti: insegnanti, studenti e genitori inclusi.
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