La coppia è fragile, oggi molto più di ieri. E se uno dei due si ammala, le probabilità che la coppia si spezzi sono sempre più alte. Con una dolorosa asimmetria, tuttavia, secondo uno studio condotto a Seattle (USA) e pubblicato sull’autorevole rivista Cancer: se ad ammalarsi di cancro è lei, le probabilità che la coppia salti sono del 21 per cento; se è lui, solo il 3 per cento. Di fatto, il rischio di separazione e divorzio è sette volte più alto se la malata è lei. La solidarietà di coppia è tutt’altro che simmetrica.
«Americani – si dirà – Lì divorziano tutti». E in Italia? In realtà non va meglio, anzi: addirittura il 25 per cento delle donne con cancro alla mammella va incontro a separazione, dopo le cure. Nella maggioranza dei casi, perché è lui ad andarsene. In una minima percentuale, perché è lei che, dopo una diagnosi così dura, prende il coraggio a quattro mani e si dice: «Se devo vivere poco, almeno che sia via da questo inferno, o da questa morta gora. Amen».
Chi sono le coppie più vulnerabili? Studi scientifici ed esperienza clinica personale concordano: le più vulnerabili sono le coppie giovani, le coppie di recente formazione e quelle molto conflittuali già prima della diagnosi. Le coppie di mezza età o anziane, e quelle comunque di maggior durata, sono le più resistenti al trauma di una diagnosi grave, così come le coppie unite da una fede religiosa. Capaci di mettere in pratica davvero quel “nella buona e nella cattiva sorte” che la coppia più laica spesso dimentica.
Quali sono i fattori che predispongono le coppie giovani alla rottura? Innanzitutto, il sovraccarico emotivo, affettivo, ma anche logistico e organizzativo che l’uomo si trova ad affrontare, soprattutto se ci sono figli piccoli e la donna è ospedalizzata. Sul breve termine, lui sembra far fronte a tutto, magari in modo egregio. Sul medio termine, lo stress, la fatica, ma anche l’angoscia di morte, la paura, il pessimismo, possono far detonare un innamoramento nuovo, che riprofumi di vita e di futuro. Ancor più se la coppia è ancora senza figli. Ricordo bene il dramma di una giovane donna, di 35 anni: in un anno, si è trovata ad affrontare un carcinoma aggressivo al seno; la menopausa precoce causata dalla chemioterapia; e l’abbandono del fidanzato, già prossimi al matrimonio, perché “non poteva pensare a un futuro senza figli”. Tutto vero. Così come è vero che una delle ragioni più frequenti che fa detonare la crisi – la più negletta dagli oncologi – è la crisi della sessualità. Senza rapporti, senza l’intimità e il piacere fisico ed emotivo che il far l’amore dà –perché lei ha secchezza, dolore, non ha più desiderio, perché non si sente più una donna – è più facile che la coppia si usuri.
Come mai, tuttavia, la donna non risponde nello stesso modo alla crisi esistenziale attivata dalla diagnosi di tumore? Forse la donna ha per vocazione millenaria più spirito accuditivo, più capacità di tenerezza, di sollecitudine, di conforto; più senso di responsabilità; maggiore vulnerabilità ai sensi di colpa, anche. Fatto sta che resta vicina al proprio uomo nel 97% dei casi, spesso con più attaccamento e dedizione di prima, anche perché il tumore ritara le priorità della vita personale, oltre che quelle della coppia. Senza forse, l’uomo ha più bisogno di una vita sessuale attiva, tanto più quanto più è giovane: e il silenzio del corpo lo porta ad abbandonare, spesso senza nemmeno un sussulto. A volte, anche con aggressivo egoismo.
Che conseguenze ha, la rottura? Solo emotive, affettive, esistenziali? Purtroppo no: il sistema immunitario, l’efficienza con cui i nostri soldati attaccano il nemico (il cancro) e ci difendono da recidive e metastasi, dipende molto anche dallo stato affettivo. Le persone che restano sole, dopo un tumore, hanno minori probabilità di curarsi bene, di fare terapie innovative, ma anche di resistere alle recidive. Come se, tradite dall’amore, abbandonassero a quel punto anche la vita, più o meno consciamente.
Cosa si può fare, per prevenire la rottura? Parlarsi a cuore aperto delle paure, delle difficoltà, della crisi emotiva e sessuale. Cercare aiuto, non solo psicologico, ma anche, molto concretamente, medico. Se lei ha dolore ai rapporti, non basta parlarne, ci vogliono cure specifiche: e prima cominciano, meglio è. E’ importante parlare apertamente con la coppia, anche delle difficoltà sessuali. E se l’oncologo non se la sente, ogni centro specialistico dovrebbe offrire una consulenza sessuologica medica qualificata, oltre che psicologica, così da dare risposte pragmatiche, concrete ed efficaci. Perché è inutile parlare di qualità della vita, se poi si trascurano quei fondamentali – tra cui far l’amore e vivere (bene) in coppia – che danno gusto, profumo e musica alla vita. E poi, che cosa c’è di più consolante, di più anti-solitudine, dopo un tumore, dell’abbraccio amoroso della persona amata?
«Americani – si dirà – Lì divorziano tutti». E in Italia? In realtà non va meglio, anzi: addirittura il 25 per cento delle donne con cancro alla mammella va incontro a separazione, dopo le cure. Nella maggioranza dei casi, perché è lui ad andarsene. In una minima percentuale, perché è lei che, dopo una diagnosi così dura, prende il coraggio a quattro mani e si dice: «Se devo vivere poco, almeno che sia via da questo inferno, o da questa morta gora. Amen».
Chi sono le coppie più vulnerabili? Studi scientifici ed esperienza clinica personale concordano: le più vulnerabili sono le coppie giovani, le coppie di recente formazione e quelle molto conflittuali già prima della diagnosi. Le coppie di mezza età o anziane, e quelle comunque di maggior durata, sono le più resistenti al trauma di una diagnosi grave, così come le coppie unite da una fede religiosa. Capaci di mettere in pratica davvero quel “nella buona e nella cattiva sorte” che la coppia più laica spesso dimentica.
Quali sono i fattori che predispongono le coppie giovani alla rottura? Innanzitutto, il sovraccarico emotivo, affettivo, ma anche logistico e organizzativo che l’uomo si trova ad affrontare, soprattutto se ci sono figli piccoli e la donna è ospedalizzata. Sul breve termine, lui sembra far fronte a tutto, magari in modo egregio. Sul medio termine, lo stress, la fatica, ma anche l’angoscia di morte, la paura, il pessimismo, possono far detonare un innamoramento nuovo, che riprofumi di vita e di futuro. Ancor più se la coppia è ancora senza figli. Ricordo bene il dramma di una giovane donna, di 35 anni: in un anno, si è trovata ad affrontare un carcinoma aggressivo al seno; la menopausa precoce causata dalla chemioterapia; e l’abbandono del fidanzato, già prossimi al matrimonio, perché “non poteva pensare a un futuro senza figli”. Tutto vero. Così come è vero che una delle ragioni più frequenti che fa detonare la crisi – la più negletta dagli oncologi – è la crisi della sessualità. Senza rapporti, senza l’intimità e il piacere fisico ed emotivo che il far l’amore dà –perché lei ha secchezza, dolore, non ha più desiderio, perché non si sente più una donna – è più facile che la coppia si usuri.
Come mai, tuttavia, la donna non risponde nello stesso modo alla crisi esistenziale attivata dalla diagnosi di tumore? Forse la donna ha per vocazione millenaria più spirito accuditivo, più capacità di tenerezza, di sollecitudine, di conforto; più senso di responsabilità; maggiore vulnerabilità ai sensi di colpa, anche. Fatto sta che resta vicina al proprio uomo nel 97% dei casi, spesso con più attaccamento e dedizione di prima, anche perché il tumore ritara le priorità della vita personale, oltre che quelle della coppia. Senza forse, l’uomo ha più bisogno di una vita sessuale attiva, tanto più quanto più è giovane: e il silenzio del corpo lo porta ad abbandonare, spesso senza nemmeno un sussulto. A volte, anche con aggressivo egoismo.
Che conseguenze ha, la rottura? Solo emotive, affettive, esistenziali? Purtroppo no: il sistema immunitario, l’efficienza con cui i nostri soldati attaccano il nemico (il cancro) e ci difendono da recidive e metastasi, dipende molto anche dallo stato affettivo. Le persone che restano sole, dopo un tumore, hanno minori probabilità di curarsi bene, di fare terapie innovative, ma anche di resistere alle recidive. Come se, tradite dall’amore, abbandonassero a quel punto anche la vita, più o meno consciamente.
Cosa si può fare, per prevenire la rottura? Parlarsi a cuore aperto delle paure, delle difficoltà, della crisi emotiva e sessuale. Cercare aiuto, non solo psicologico, ma anche, molto concretamente, medico. Se lei ha dolore ai rapporti, non basta parlarne, ci vogliono cure specifiche: e prima cominciano, meglio è. E’ importante parlare apertamente con la coppia, anche delle difficoltà sessuali. E se l’oncologo non se la sente, ogni centro specialistico dovrebbe offrire una consulenza sessuologica medica qualificata, oltre che psicologica, così da dare risposte pragmatiche, concrete ed efficaci. Perché è inutile parlare di qualità della vita, se poi si trascurano quei fondamentali – tra cui far l’amore e vivere (bene) in coppia – che danno gusto, profumo e musica alla vita. E poi, che cosa c’è di più consolante, di più anti-solitudine, dopo un tumore, dell’abbraccio amoroso della persona amata?
Malattia Rapporto di coppia Riflessioni di vita Separazione e divorzio