“Vinca il migliore”: un auspicio, un augurio, un desiderio. In un mondo corrotto, era di conforto pensare che almeno lo sport fosse pulito. Che valore personale, talento, impegno, sacrificio, disciplina e senso etico venissero premiati dal risultato e dalla vittoria. Oggi sappiamo che la ricerca di Performance Enhancing Products, PEPs, prodotti che aumentano la performance, è diffusa e trasversale, presente ormai in (quasi) tutti gli sport. Il termine stesso “prodotti”, e non droghe o altro, mostra la neutralità del giudizio, la presa d’atto che la ricerca di potenziare i risultati con tutte le strategie possibili fa parte dello sport. Il punto non è più, quindi, PEPs sì o no, ma quali, quando, come e perché, e, soprattutto, se legali o meno. La stessa legislazione differenzia tra PEPs ammessi o banditi. Riconoscendo che esiste un’area di liceità (sviluppata negli sport che richiedano strumenti tecnologici, quali motociclismo, ciclismo, automobilismo, vela, bob, sci e così via) contrapposta a quella dei prodotti proibiti (più rappresentati nell’area del potenziamento fisico dell’atleta).
Una recentissima ricerca condotta fra i ciclisti mostra come più del 60% usi PEPs ammessi, mentre l’8% usa quelli proibiti. Tre erano le motivazioni più forti tra coloro che rifiutavano i prodotti proibiti: il non voler violare lo spirito dello sport, il desiderio di migliorare la performance con le proprie sole forze e la paura di essere scoperti. I più vulnerabili all’uso di farmaci dopanti sono i body builder. Tra loro, che sono in assoluto i più inclini all’uso di farmaci, in particolare steroidi anabolizzanti, vi sono i giovani uomini insoddisfatti della loro immagine fisica (“body image”). Un’insoddisfazione che inquina l’identità sessuale, la funzione sessuale e la relazione di coppia. Con quali conseguenze? Queste dipendono molto dall’età, dal tipo di molecole, dalla durata d’uso e dall’impatto sulla performance. Gli anabolizzanti possono sì aumentare la forza del 5-20%, e il peso di 2-5 chili, con incremento anche della sintesi di globuli rossi e dell’emoglobina, ma con un prezzo alto in salute. Compaiono la riduzione della sintesi endogena di gonadotropine (gli ormoni che stimolano i testicoli) e di testosterone, che può persistere per mesi dopo la sospensione degli steroidi, aumento di peluria ma caduta di capelli, acne vulgaris, aumento dell’aggressività e dell’ostilità, nello sport e nella vita. Temibili sono gli effetti cardiovascolari, specie nell’uso protratto, con ipertensione aggressiva, nonché disturbi della funzione endocrina e immunitaria. L’insoddisfazione fisica aumenta la disponibilità ad usare energizzanti e vitamine; steroidi e ormone somatotropo (Growth Hormone, GH), quando vi sia l’obiettivo di perdere o guadagnare peso. Il tutto per il bisogno di gonfiare la muscolatura, una vera e propria protesi dell’Io, come se questo aumentasse il valore e la seduttività personale.
Tra i profili di personalità, i più portati alle sperimentazioni dopanti sono i soggetti impulsivi (“impulsivity/sensation seeking”), mossi da una continua ricerca di stimoli ed emozioni nuove, per il bisogno di avere piaceri ad alta intensità (quello di vincere è fortissimo). Dal punto di vista biopsichico, il meccanismo di ricompensa porta a radicare nel cervello e nel comportamento le scelte che comportino una vittoria, e quindi un premio di piacere, fisico, mentale e sociale.
Il doping tra i giovani è il più dannoso: l’adolescenza presenta massima neuroplasticità, con tendenza a formare circuiti cerebrali che si stabilizzano come i binari di un treno, condizionando il comportamento, se consolidati dall’attivazione del sistema di ricompensa. Il ragazzo che vince una gara, dopo aver usato “per prova” un anabolizzante, e perde quella in cui non lo usa, crea un meccanismo condizionato di dipendenza, per cui non riuscirà a competere se non si è dopato. Meglio non cominciare, perché curarsi, poi, è difficile. E i rischi restano alti per salute, immagine sportiva e vita. Si vedano, ad esempio, Lance Armstrong e Alex Schwazer.
Una recentissima ricerca condotta fra i ciclisti mostra come più del 60% usi PEPs ammessi, mentre l’8% usa quelli proibiti. Tre erano le motivazioni più forti tra coloro che rifiutavano i prodotti proibiti: il non voler violare lo spirito dello sport, il desiderio di migliorare la performance con le proprie sole forze e la paura di essere scoperti. I più vulnerabili all’uso di farmaci dopanti sono i body builder. Tra loro, che sono in assoluto i più inclini all’uso di farmaci, in particolare steroidi anabolizzanti, vi sono i giovani uomini insoddisfatti della loro immagine fisica (“body image”). Un’insoddisfazione che inquina l’identità sessuale, la funzione sessuale e la relazione di coppia. Con quali conseguenze? Queste dipendono molto dall’età, dal tipo di molecole, dalla durata d’uso e dall’impatto sulla performance. Gli anabolizzanti possono sì aumentare la forza del 5-20%, e il peso di 2-5 chili, con incremento anche della sintesi di globuli rossi e dell’emoglobina, ma con un prezzo alto in salute. Compaiono la riduzione della sintesi endogena di gonadotropine (gli ormoni che stimolano i testicoli) e di testosterone, che può persistere per mesi dopo la sospensione degli steroidi, aumento di peluria ma caduta di capelli, acne vulgaris, aumento dell’aggressività e dell’ostilità, nello sport e nella vita. Temibili sono gli effetti cardiovascolari, specie nell’uso protratto, con ipertensione aggressiva, nonché disturbi della funzione endocrina e immunitaria. L’insoddisfazione fisica aumenta la disponibilità ad usare energizzanti e vitamine; steroidi e ormone somatotropo (Growth Hormone, GH), quando vi sia l’obiettivo di perdere o guadagnare peso. Il tutto per il bisogno di gonfiare la muscolatura, una vera e propria protesi dell’Io, come se questo aumentasse il valore e la seduttività personale.
Tra i profili di personalità, i più portati alle sperimentazioni dopanti sono i soggetti impulsivi (“impulsivity/sensation seeking”), mossi da una continua ricerca di stimoli ed emozioni nuove, per il bisogno di avere piaceri ad alta intensità (quello di vincere è fortissimo). Dal punto di vista biopsichico, il meccanismo di ricompensa porta a radicare nel cervello e nel comportamento le scelte che comportino una vittoria, e quindi un premio di piacere, fisico, mentale e sociale.
Il doping tra i giovani è il più dannoso: l’adolescenza presenta massima neuroplasticità, con tendenza a formare circuiti cerebrali che si stabilizzano come i binari di un treno, condizionando il comportamento, se consolidati dall’attivazione del sistema di ricompensa. Il ragazzo che vince una gara, dopo aver usato “per prova” un anabolizzante, e perde quella in cui non lo usa, crea un meccanismo condizionato di dipendenza, per cui non riuscirà a competere se non si è dopato. Meglio non cominciare, perché curarsi, poi, è difficile. E i rischi restano alti per salute, immagine sportiva e vita. Si vedano, ad esempio, Lance Armstrong e Alex Schwazer.
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