Uno dei rari piaceri della vita è sentire e vedere anticipati i propri desideri o bisogni, senza chiedere. L’esperienza è sempre più rara a livello professionale, dove sono preziosi i collaboratori che hanno professionalità, responsabilità, senso del ruolo e del contesto, e intuizione – l’“occhio per il lavoro” – così da svolgere così bene il proprio compito da anticipare addirittura la richiesta del proprio capo. Così preziosi che vanno gratificati come persone e ben pagati come professionalità, perché davvero il loro valore, anche in termini di ottimizzazione del tempo (e del fegato) altrui, nel gruppo di lavoro e verso il dirigente, non ha prezzo. Chi ha mansioni direzionali o di coordinamento, a qualsiasi livello, vede invece il proprio tempo eroso progressivamente dalla necessità di dover controllare che tutto sia stato fatto bene, in tempi e modi appropriati. Metà del cervello resta occupata nel verificare continuamente che le mansioni siano state svolte, gli ordini eseguiti, i compiti espletati a dovere. Un altro quarto va dedicato a integrare il lavoro di più persone, così da evitare da un lato ripetizioni e dall’altro omissioni gravi. E solo il quarto residuo va ad occuparsi delle mansioni e degli obiettivi propri, con uno spreco incalcolabile di energie e di talenti. E’ esperienza di molti dirigenti e professionisti che, nel momento in cui va in pensione la segretaria o l’assistente storica, quel braccio destro formidabile che davvero era una quinta colonna nel lavoro, ci vogliano due o addirittura tre persone per sostituirla, con un rendimento obiettivo comunque inferiore, deludente se non francamente irritante, soprattutto per la crescente incapacità dei nuovi assunti di organizzarsi il lavoro in modo efficiente e costruttivo. Per molti, il diritto al lavoro si identifica, di fatto, con il diritto al parcheggio professionale remunerato. Mancano, in particolare, professionalità adeguate a livello tecnico, per la crisi ormai decennale degli istituti di formazione professionale e la quasi assoluta mancanza di pragmatismo, di metodo e capacità di organizzazione del tempo di molti giovani laureati a provenienza dai licei.
La squisita esperienza del non dover chiedere, purtroppo, è sempre più rara anche in famiglia e nella coppia. Narcisismo, egoismo, immaturità portano i diritti dell’Io individuale a diventare dominanti, pervadenti se non elefantiasici. E questo porta a minimizzare il piacere del dare, dell’anticipare, del sorprendere, anche, con un pensiero, un gesto affettuoso e gradito, un dono anche piccolissimo ma “pensato”. Egoismo, insensibilità e franca maleducazione portano d’altra parte a non saper apprezzare e ringraziare adeguatamente quando la cortesia viene fatta. Si dà tutto per ovvio o per scontato, senza nemmeno ringraziare con una telefonata o un biglietto affettuoso. Scoraggiando così i pochi che per educazione, per sensibilità personale o squisitezza d’animo amano ancora fare senza essere richiesti. Nella coppia come in famiglia, invece, l’arte di rendere felici, anticipando il desiderio o il gusto dell’altro, è uno dei più potenti fattori di crescita dell’amore, della soddisfazione, dell’energia che nutre la motivazione a stare sempre meglio insieme. Certo, purché ci sia reciprocità. Un atteggiamento più spontaneo quando si è innamorati, ma che tende a smarrirsi se non viene sostenuto nel tempo anche da quel fattore sempre più negletto che è la buona educazione.
Sul fronte opposto, nel trionfo generale della maleducazione, aumenta la tendenza a non chiedere quando invece sarebbe necessario, opportuno o almeno gentile. Quel semplice: “Posso?”, “Ti dispiace se...?” “Ti disturbo in questo momento?”. Ed ecco le telefonate a tutte le ore, dando per scontato che uno non abbia nulla da fare se non ascoltare lamentale, chiacchiere inutili, pettegolezzi o “futilia” varie. Ecco l’autoinvitarsi a cena o a pranzo, dando per scontato che genitori o amici siano sempre felici di aver ospiti. Potrebbero anche esserlo, ma arrivare comunque, almeno ogni tanto, con un fiore o un piccolo pensiero inatteso, anche in famiglia, fa sentire apprezzate mamme e zie che lavorano a volte più di prima quando figli e figlie sono sposati. Per non parlare dell’uso e abuso dei nonni come babysitter affettuosi, preziosi, senza orario e... gratuiti. Sono sorpresa di quante nonne, pur adorando i nipotini e accudendoli volentieri, siano affaticate e, a volte, frustrate dal vedere che tutto il loro lavoro è dato per scontato, senza neanche un grazie, un abbraccio autenticamente affettuoso, una telefonata tenera inattesa, un biglietto che dica con un sorriso un moto di gratitudine che nasce dal cuore. E, ancora, ecco il prendere le cose in casa d’altri, fossero pure i genitori o i suoceri, senza chiedere, come se fosse un diritto automatico.
E allora? In tempi difficili, quando tensioni e irritabilità aumentano, gentilezza ed educazione diventano ammortizzatori sociali ancora più preziosi. Non si tratta di vetero formalismi. Nel saper fare, senza essere richiesti, c’è l’essenza dell’empatia e della capacità di sintonizzarsi con i sentimenti degli altri. Caratteristiche tipiche delle persone di rara qualità, che tuttavia possiamo tutti coltivare e migliorare, a livello familiare e professionale. Nel saper chiedere, con garbo e rispetto, e nel ricordarsi di ringraziare, c’è l’atteggiamento complementare che gratifica, premia e motiva chi, con un gesto, uno sguardo o un pensiero ci ha semplificato la vita o aiutati in un’incombenza o un momento difficile. Educare i propri figli a saper vedere quello che viene fatto per loro, a saper apprezzare e ringraziare significa aiutarli a far crescere quei magnifici strumenti di intelligenza emotiva e competenza sociale che si chiamano empatia e buona educazione.
La squisita esperienza del non dover chiedere, purtroppo, è sempre più rara anche in famiglia e nella coppia. Narcisismo, egoismo, immaturità portano i diritti dell’Io individuale a diventare dominanti, pervadenti se non elefantiasici. E questo porta a minimizzare il piacere del dare, dell’anticipare, del sorprendere, anche, con un pensiero, un gesto affettuoso e gradito, un dono anche piccolissimo ma “pensato”. Egoismo, insensibilità e franca maleducazione portano d’altra parte a non saper apprezzare e ringraziare adeguatamente quando la cortesia viene fatta. Si dà tutto per ovvio o per scontato, senza nemmeno ringraziare con una telefonata o un biglietto affettuoso. Scoraggiando così i pochi che per educazione, per sensibilità personale o squisitezza d’animo amano ancora fare senza essere richiesti. Nella coppia come in famiglia, invece, l’arte di rendere felici, anticipando il desiderio o il gusto dell’altro, è uno dei più potenti fattori di crescita dell’amore, della soddisfazione, dell’energia che nutre la motivazione a stare sempre meglio insieme. Certo, purché ci sia reciprocità. Un atteggiamento più spontaneo quando si è innamorati, ma che tende a smarrirsi se non viene sostenuto nel tempo anche da quel fattore sempre più negletto che è la buona educazione.
Sul fronte opposto, nel trionfo generale della maleducazione, aumenta la tendenza a non chiedere quando invece sarebbe necessario, opportuno o almeno gentile. Quel semplice: “Posso?”, “Ti dispiace se...?” “Ti disturbo in questo momento?”. Ed ecco le telefonate a tutte le ore, dando per scontato che uno non abbia nulla da fare se non ascoltare lamentale, chiacchiere inutili, pettegolezzi o “futilia” varie. Ecco l’autoinvitarsi a cena o a pranzo, dando per scontato che genitori o amici siano sempre felici di aver ospiti. Potrebbero anche esserlo, ma arrivare comunque, almeno ogni tanto, con un fiore o un piccolo pensiero inatteso, anche in famiglia, fa sentire apprezzate mamme e zie che lavorano a volte più di prima quando figli e figlie sono sposati. Per non parlare dell’uso e abuso dei nonni come babysitter affettuosi, preziosi, senza orario e... gratuiti. Sono sorpresa di quante nonne, pur adorando i nipotini e accudendoli volentieri, siano affaticate e, a volte, frustrate dal vedere che tutto il loro lavoro è dato per scontato, senza neanche un grazie, un abbraccio autenticamente affettuoso, una telefonata tenera inattesa, un biglietto che dica con un sorriso un moto di gratitudine che nasce dal cuore. E, ancora, ecco il prendere le cose in casa d’altri, fossero pure i genitori o i suoceri, senza chiedere, come se fosse un diritto automatico.
E allora? In tempi difficili, quando tensioni e irritabilità aumentano, gentilezza ed educazione diventano ammortizzatori sociali ancora più preziosi. Non si tratta di vetero formalismi. Nel saper fare, senza essere richiesti, c’è l’essenza dell’empatia e della capacità di sintonizzarsi con i sentimenti degli altri. Caratteristiche tipiche delle persone di rara qualità, che tuttavia possiamo tutti coltivare e migliorare, a livello familiare e professionale. Nel saper chiedere, con garbo e rispetto, e nel ricordarsi di ringraziare, c’è l’atteggiamento complementare che gratifica, premia e motiva chi, con un gesto, uno sguardo o un pensiero ci ha semplificato la vita o aiutati in un’incombenza o un momento difficile. Educare i propri figli a saper vedere quello che viene fatto per loro, a saper apprezzare e ringraziare significa aiutarli a far crescere quei magnifici strumenti di intelligenza emotiva e competenza sociale che si chiamano empatia e buona educazione.
Educazione Famiglia e rapporti familiari Rapporto di coppia Riflessioni di vita