Le droghe in questione sono diverse: tra le più usate la metanfetamina in cristalli (sintetica, viene inalata, iniettata o fumata); il gamma-idrossi-butirrato, noto come “droga dello stupro”, perché cancella la memoria, e se unito all’alcol può portare al coma; il mefedrone, che ha effetti simili all’ecstasy, con esiti allucinatori a dosi elevate. In comune hanno un’azione selettiva sull’amigdala, l’area del cervello in cui transitano le vie nervose che mediano le emozioni di comando fondamentali: desiderio/voglia/piacere, collera/rabbia, ansia/paura e panico con angoscia di separazione. Nello specifico agiscono su due sistemi cardinali della vita e della sessualità, con meccanismi opposti: da un lato causano superattivazione del sistema dopaminergico, ossia quella parte del cervello che presiede al desiderio e all’eccitazione sessuale, dall’altro silenziano il sistema adrenergico dell’ansia e della paura. Risultato? Aumentano la sensazione fisica e mentale di euforia sessuale, con una spinta immediata a far sesso con gli altri, senza attenzione alla scelta, né freni inibitori, e senza quell’attenzione all’autoprotezione (selezione del/dei partner, uso consistente del profilattico, attenzione alla situazione e ai potenziali pericoli presenti, incluso il rischio di aggressioni e violenze) che può poi portare a conseguenze pesantissime.
I rischi della promiscuità indiscriminata e non protetta indotta dal sesso chimico si aggregano su fronti diversi, connessi sia all’attività sessuale di per sé, sia agli effetti sul cervello di queste droghe chimiche. Dominano lo scenario dei rischi l’aumentata diffusione di malattie sessualmente trasmesse, quali l’HIV, in risalita; il gran ritorno della sifilide, a torto creduta scomparsa; la diffusione beffarda dei Papillomavirus, responsabili non solo dei carcinomi del collo dell’utero, ma anche dei cancri anorettali, della vescica, della bocca e del collo; l’impennata di clamidia e gonorrea, pericolose per la fertilità e affezioni dolorose croniche (dal dolore pelvico cronico, nella donna, all’artrite gonococcica, in entrambi i sessi). Un incremento di malattie che sta creando notevole allarme ai servizi sanitari inglesi al punto che la ricercatrice Hannah McCall e collaboratori hanno appena pubblicato sul tema del chemsex un puntuale articolo sul British Medical Journal (BMJ) del 3 novembre. Il secondo rischio riguarda la non consensualità, soprattutto se sono coinvolti minorenni, con effetti tanto maggiori quanto più forti sono l’effetto euforizzante da un lato e la narcosi della paura dall’altro, paura a giuste dosi necessaria per evitare i rischi e i pericoli connessi alla promiscuità indiscriminata. Il terzo rischio, per le donne eterosessuali amanti del chemsex, riguarda la gravidanze indesiderate, da partner anche ignoti.
L’eccitazione avvelenata, come chiamo il sesso chimico, presenta poi un conto pesante non solo in termini di dipendenza, ma anche di danno neurologico su più aree del cervello. La dopamina, infatti, non entra solo nel sistema delle emozioni appetitive e quindi del desiderio. E’ anche il neurotrasmettitore chiave dei neuroni motori, che coordinano il movimento (sistema nigro-striatale) e dei neuroni che presiedono al pensiero logico lineare. Ecco perché l’uso protratto di queste sostanze può determinare lesioni anche gravissime della capacità sia di muoversi, sia di pensare in modo logico e coerente.
Rischi ai quali i consumatori di sesso chimico sembrano del tutto indifferenti. Per ignoranza? Per scarsa informazione? O perché l’urgenza ossessiva di un’euforia sessuale indiscriminata e semipermanente azzera qualsiasi attenzione all’autoprotezione e al futuro? Questo quadro mi ricorda i topi cui viene messo un elettrodo nell’area del cervello che dà la sensazione di piacere/ricompensa (“reward system”). Continuano a premere con la zampina la levetta che attiva l’elettrodo, senza più mangiare né dormire, fin quasi a morirne sfiniti. Uomini o topi?
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