Per conoscere meglio il nostro esercito, meravigliati e ammirati, ma anche per rispettarlo di più e allenarlo meglio, è utile leggere e riflettere sul libro “Il fuoco interiore”, scritto dal Professor Alberto Mantovani (Mondadori, 2020), immunologo di fama mondiale per l’eccellenza delle scoperte seguite alle ricerche cui ha dedicato la vita. Direttore Scientifico dell’IRCCS Istituto Clinico Humanitas di Milano, integra una profonda conoscenza dell’immunologia, specialità che studia proprio l’azione e i metodi del nostro esercito, con una notevole capacità divulgativa, usando metafore potenti e persuasive.
“Il fuoco interiore” è un libro affascinante. Non semplice, perché la stessa materia di cui parla è infuocata, anche nella complessità. L’infiammazione, dal latino “inflammare”, mettere a fuoco, è il segno principe che il nostro esercito è attivo e sta combattendo. Come, dove e quanto combatte? Per noi o contro di noi? Questo è il punto più delicato, del quale sappiamo ancora poco. Ci sentiamo bene e siamo (ragionevolmente) sani, perché il nostro esercito ha condotto migliaia di guerre silenziose. Ogni giorno l’esercito di globuli bianchi che combatte in prima linea contro piccole e grandi infezioni lascia sul campo circa 100 milioni di cellule: i nostri “militi ignoti”, come dice Mantovani, i soldati della nostra immunità innata. Ci sentiamo infermi quando il nostro esercito è in guerra permanente, come succede nel diabete, in cui l’eccesso di zuccheri alimenta e propaga nei tessuti un fuoco persistente. Nelle malattie cardiovascolari, dove il colesterolo che si accumula lungo le pareti dei vasi, sotto l’endotelio, forma cristalli che l’esercito percepisce con dannosi e nemici. Si attiva una risposta di guerra, un altro incendio biochimico, che favorisce l’accumulo del colesterolo mentre danneggia la parete dei vasi, causando l’arteriosclerosi. Nei tumori, dove una parte del nostro esercito passa al nemico, il cancro, lo protegge, lo rifornisce costruendogli perfino nuove vie di rifornimento (“neo-angiogenesi”) consentendogli di crescere e distruggerci. Nelle malattie autoimmuni, dove un esercito disorientato sbaglia bersaglio e attacca i nostri stessi tessuti, invece dei nemici.
Sì: se il nostro corpo fosse una nazione, il nostro sistema immunitario ne costituirebbe le forze armate. Attive per terra, i tessuti biologici, e per acqua: nel sangue, nella linfa e in altri liquidi biologici. Un esercito di formidabile complessità e raffinatezza, con corpi super specializzati e super addestrati. Veloci, efficaci, rapidi nelle comunicazioni e nel reclutamento di altri corpi speciali in caso di allarme. Veloci, anche, nel riportare la nazione – il corpo – alla normalità, se l’intelligence riesce a portare a termine il progetto di ricostruzione dopo i danni subiti da microrganismi infettivi, traumi, lesioni fisiche o chimiche. Siamo vivi, perché l’esercito è già intervenuto, per eliminare i nemici e rimuovere i cadaveri cellulari rimasti sul terreno, dopo una morte cellulare programmata: l’apoptosi, la morte dolce, dal poetico termine greco che indica la caduta dei petali dei fiori. Siamo vivi, perché i pompieri cellulari hanno spento quell’incendio e i soldati del genio militare hanno iniziato la ricostruzione tessutale, rapidi e competenti. Meglio ancora se aiutati da giusti livelli ormonali, in particolare di androgeni, anche nella donna. Punto chiave: il sistema immunitario agisce indipendentemente dalla nostra volontà. Ha un nemico potente: i nostri comportamenti errati, che lo corrompono, lo debilitano, lo minano. “Il fuoco interiore” ci stimola a studiare di più. A rispettare la competenza. A capire che la salute è sintesi dinamica di una mirabile complessità biochimica, che dovremmo imparare a proteggere con più senso di responsabilità.
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