Che cosa rende vincente un politico alle elezioni, uno sportivo alle Olimpiadi, un imprenditore nel momento di concludere un affare importante, un avvocato nel momento di vincere la causa della sua vita? Non solo l’essere preparato, ben sostenuto, agguerrito. C’è anche un “quid”, speciale, difficile da definire, uno stato di grazia, fisico e psichico, che rende la persona capace di esprimersi al meglio proprio in quel momento, non un giorno prima o un giorno dopo. Capace di “catalizzare l’evento”, di polarizzare le risorse, anche altrui, quando l’impresa richieda una coralità di impegni e di azioni. Capace di dosare le proprie energie per arrivare in forma perfetta, mentale oltre che biologica, con grande freschezza e insieme potenza, nonostante percorsi lunghi e faticosi di preparazione e selezione, nonostante le molte difficoltà di cui è densa ogni vita, soprattutto se si punti all’eccellenza. Gli anglosassoni, che adorano le parole totem, le parole pregnanti, che riassumano in un suono persuasivo una pluralità di significati e, possibilmente, anche l’inesprimibile, hanno ripescato dal concisissimo latino una parola che oggi li seduce a fondo: “momentum”. Ecco: quel magico stato di grazia viene reso con una parola che, dello stato interiore del protagonista, coglie non tanto la forma perfetta in sé, quanto l’ancora più raro e persuasivo rapporto con il tempo preciso dell’evento da vincere, da cogliere, da conquistare. L’impeto trasformativo con cui quell’azione, quell’intervento, quella mossa, non solo vincerà, ma cambierà il corso delle cose. Non a caso in questi giorni di primarie americane è questa la parola che più ritorna tra i commentatori, sugli editoriali, o nelle TV, CNN in testa. Barack Obama è in questo stato di grazia, all’apice del suo momentum, Hillary Clinton arranca, fuori tempo... anche se potrebbe ritrovarlo ancora, ammorbidendosi un po’ e coinvolgendo di più i giovani. Il momentum diventa allora una difficile eppur istantanea sintesi di corrispondenze tra la persona e il suo contesto. Corrispondenza ancora più difficile quando le prove si ripropongono, e il politico o l’atleta sa dare il massimo ripetutamente, pronto a ricaricarsi per la prova successiva. Come ha fatto in questi giorni la nostra Denise Karbon, alla quarta vittoria consecutiva, in gigante, in uno stato di grazia mentale e fisico davvero perfetto. E come hanno fatto tanti altri atleti, tra cui le nostre splendide fiorettiste, Valentina Vezzali in testa. Tuttavia, se nello sport la partita è più stretta, giocata tra la forma psicofisica dell’atleta e il momento preciso della sua gara, in politica, soprattutto in un percorso lungo come quello delle elezioni primarie americane, il “momentum” presenta altre caratteristiche del tutto peculiari. La seduzione che ogni vincente esercita sul pubblico, sui cittadini, sul resto del mondo, e che per un atleta può tradursi in immagini e sponsorizzazioni, per il politico diventa uno strumento di potenziamento del momentum stesso. Come in ogni seduzione, catalizza uno sguardo tanto più parziale quanto più lo stato di grazia è persuasivo, come è successo fino a pochi giorni fa anche in Francia e in Europa con la “sarkozymanìa”. L’ammirazione per l’uomo e quello che incarna, come modello di leadership per un ruolo oggi altrimenti in piena crisi di identità, rende meno esigenti e severi, per lo meno nel breve termine, sulla reale capacità di tradurre poi le promesse elettorali in cambiamenti pragmatici. Come in ogni innamoramento – individuale o collettivo, non fa differenza –, del vincente si vedono allora solo i pregi, e perfino qualche talento che non c’è, fino ad una perfetta illusione d’amore collettiva, mentre difetti e limiti vengono scotomizzati, semplicemente non visti, marginalizzati dalla luce dello stato di grazia. Salvo tornare prepotenti in primo piano, a volte altrettanto radicalmente penalizzanti, quando l’innamoramento finisce, come è successo a Tony Blair, dopo anni di ammirazione e di plauso quasi generalizzati.
C’è qualcosa di diverso, oggi, rispetto alle elezioni politiche di cinquant’anni fa? Se sì, è il ruolo dei media nell’amplificazione del momentum, nel potenziamento dell’innamoramento collettivo, nella creazione di miti e di passioni, nel rischio di distorcere pregi e difetti di un candidato proprio per un’amplificazione emozionale di uno stato di grazia, prezioso ma non esaustivo delle sue capacità. Che possono essere forti dal punto di vista del carisma personale, ma più deboli sul fronte dell’esperienza politica reale. Si crea allora, nel macrocosmo di una nazione, come nel microcosmo di una coppia, una singolare “folie a deux”, una follia (deliziosa) a due, in cui ciascuno è felice di rispecchiare e incarnare i sogni dell’altro, dopo anni di grigiore. E se il momentum, quella speciale magia, ha incoronato il 20 gennaio 1961 un giovane principe bianco, J.F. Kennedy, democratico, votato da un’America entusiasta, il prossimo novembre, se il momentum di Obama persisterà nello sguardo innamorato dei media e del pubblico, l’America potrebbe incoronare il suo primo principe nero.
C’è qualcosa di diverso, oggi, rispetto alle elezioni politiche di cinquant’anni fa? Se sì, è il ruolo dei media nell’amplificazione del momentum, nel potenziamento dell’innamoramento collettivo, nella creazione di miti e di passioni, nel rischio di distorcere pregi e difetti di un candidato proprio per un’amplificazione emozionale di uno stato di grazia, prezioso ma non esaustivo delle sue capacità. Che possono essere forti dal punto di vista del carisma personale, ma più deboli sul fronte dell’esperienza politica reale. Si crea allora, nel macrocosmo di una nazione, come nel microcosmo di una coppia, una singolare “folie a deux”, una follia (deliziosa) a due, in cui ciascuno è felice di rispecchiare e incarnare i sogni dell’altro, dopo anni di grigiore. E se il momentum, quella speciale magia, ha incoronato il 20 gennaio 1961 un giovane principe bianco, J.F. Kennedy, democratico, votato da un’America entusiasta, il prossimo novembre, se il momentum di Obama persisterà nello sguardo innamorato dei media e del pubblico, l’America potrebbe incoronare il suo primo principe nero.