«Se lei fosse un bambino e potesse scegliere, vorrebbe avere un padre e una madre, due madri oppure due padri?». Cari lettori e lettrici, che cosa rispondereste? Credo che l’85-90 per cento degli italiani direbbe: «Vorrei un padre e una madre». Con tutti i limiti che la coppia genitoriale uomo-donna può avere, resta ancora questo il modello consolidato di riferimento evolutivo dal punto di visto del bambino. Sui diritti degli adulti ad avere figli, a ogni età, in ogni condizione e in qualsiasi situazione relazionale, si è già sentito e visto di tutto. Si riflette molto meno sui diritti di ogni bambino di partire, almeno all’inizio, con un padre e una madre.
Quali sono gli elementi fondanti di questa necessità psicoemotiva e sessuale? La prima riguarda la costruzione dell’identità sessuale, che ci dà poi la convinzione, e la soddisfazione, di appartenere al genere biologico e anagrafico presente alla nascita, con le mille implicazioni che poi questo comporta. La costruzione dell’identità sessuale, dinamica e molto vulnerabile ai traumi affettivi, si fonda su due grandi processi: l’identificazione con il genitore dello stesso sesso, in cui il bambino o la bambino si rispecchia e da cui apprende, per imitazione, il primo codice di identità di genere («Sono una bambina» oppure «Sono un bambino»); e la complementazione con il genitore del sesso opposto. Il maschietto con due mamme con chi si identifica? Con quella più mascolina? E la bambina con due papà con chi si identifica? Con quello più effeminato? «Basta organizzarsi con una tata o un’amica o una zia, nel caso di una coppia omosessuale gay, o uno zio o un amico, nel caso di una coppia di lesbiche», si risponde. Il punto è che la figura di riferimento, per essere tale, deve essere stabile, ossia costante nel tempo, e capace di stabilire con il piccolo una relazione di affetto profondo e rassicurante, pena ulteriori lacerazioni emotive e sindromi abbandoniche anche gravi. Problema ancora più complesso nelle situazioni di identità sessuale fluida o di transgender. «Non ci sono differenze, non importa il sesso dei genitori, basta che il bambino sia amato»: se l’amore è qualcosa di più di un’abusata parola, è indispensabile che venga sostanziata nei fatti, che non sono così rassicuranti come si sostiene con fermezza, coprendo vuoti pesanti sul fronte della ricerca clinica con dinamiche ideologiche.
Il secondo elemento di perplessità riguarda le dinamiche in gioco nel caso di utero in affitto, necessario se la coppia è gay. Il terzo riguarda l’accettazione del bambino, che ha questo scenario genitoriale, da parte degli altri bambini. Con il conformismo imperante, e il bullismo epidemico, chi può escludere con certezza che un bambino in questa situazione non diventi oggetto di aggressioni, stigmatizzazioni e violenze? Soprattutto se è un bambino già più fragile proprio perché amato sì, ma con forti asimmetrie affettive e di genere nella coppia parentale. Già lo vediamo in situazione più “accettate” come i figli tardivi. «Mio figlio mi ha chiesto di non andare più ad accompagnarlo a scuola perché sembro sua nonna, e non sua madre, e lui si vergogna perché le altre mamme sono giovani e belle e io vecchia, brutta e grassa [testuale]. E gli altri lo prendono in giro»: così mi ha detto una collega americana, madre single con donazione di sperma a 50 anni e che ora, a 60, ha un figlio decenne che la rifiuta in tutto. E se la situazione con due mamme appare più facile da far accettare socialmente, quella con due padri appare più problematica.
Negare che i problemi possano esistere non giova alla causa. La negazione non è mai un buon metodo per affrontare problemi di cui vediamo premesse importanti. Tanto più che abbiamo decenni di studi sull’evoluzione psicosessuale dei bambini figli di coppie eterosessuali, mentre mancano studi a lungo termine che sostanzino l’affermazione che i figli di una coppia gay ”sono normalissimi”.
Quarto elemento: se già la stabilità della coppia genitoriale eterosessuale è oggi sempre più precaria, con ripercussioni anche gravi sull’equilibrio del piccolo, quali possono essere le conseguenze della rottura di una coppia gay (più frequente in quelle maschili)? Non sappiamo.
Nel dubbio, è meglio essere molto prudenti. Benissimo quindi che sia stata approvata la legge sulle unioni civili, con l’importante equiparazione patrimoniale al matrimonio, che ora vale anche per la coppia eterosessuale convivente, aspetto passato in sordina. Sull’adozione, sto dalla parte dei bambini. Si parla tanto dei loro diritti, ma l’uso strumentale che ne viene fatto, e non solo sul fronte della adozione da parte di coppie omosessuali, è davvero molto inquietante.
Quali sono gli elementi fondanti di questa necessità psicoemotiva e sessuale? La prima riguarda la costruzione dell’identità sessuale, che ci dà poi la convinzione, e la soddisfazione, di appartenere al genere biologico e anagrafico presente alla nascita, con le mille implicazioni che poi questo comporta. La costruzione dell’identità sessuale, dinamica e molto vulnerabile ai traumi affettivi, si fonda su due grandi processi: l’identificazione con il genitore dello stesso sesso, in cui il bambino o la bambino si rispecchia e da cui apprende, per imitazione, il primo codice di identità di genere («Sono una bambina» oppure «Sono un bambino»); e la complementazione con il genitore del sesso opposto. Il maschietto con due mamme con chi si identifica? Con quella più mascolina? E la bambina con due papà con chi si identifica? Con quello più effeminato? «Basta organizzarsi con una tata o un’amica o una zia, nel caso di una coppia omosessuale gay, o uno zio o un amico, nel caso di una coppia di lesbiche», si risponde. Il punto è che la figura di riferimento, per essere tale, deve essere stabile, ossia costante nel tempo, e capace di stabilire con il piccolo una relazione di affetto profondo e rassicurante, pena ulteriori lacerazioni emotive e sindromi abbandoniche anche gravi. Problema ancora più complesso nelle situazioni di identità sessuale fluida o di transgender. «Non ci sono differenze, non importa il sesso dei genitori, basta che il bambino sia amato»: se l’amore è qualcosa di più di un’abusata parola, è indispensabile che venga sostanziata nei fatti, che non sono così rassicuranti come si sostiene con fermezza, coprendo vuoti pesanti sul fronte della ricerca clinica con dinamiche ideologiche.
Il secondo elemento di perplessità riguarda le dinamiche in gioco nel caso di utero in affitto, necessario se la coppia è gay. Il terzo riguarda l’accettazione del bambino, che ha questo scenario genitoriale, da parte degli altri bambini. Con il conformismo imperante, e il bullismo epidemico, chi può escludere con certezza che un bambino in questa situazione non diventi oggetto di aggressioni, stigmatizzazioni e violenze? Soprattutto se è un bambino già più fragile proprio perché amato sì, ma con forti asimmetrie affettive e di genere nella coppia parentale. Già lo vediamo in situazione più “accettate” come i figli tardivi. «Mio figlio mi ha chiesto di non andare più ad accompagnarlo a scuola perché sembro sua nonna, e non sua madre, e lui si vergogna perché le altre mamme sono giovani e belle e io vecchia, brutta e grassa [testuale]. E gli altri lo prendono in giro»: così mi ha detto una collega americana, madre single con donazione di sperma a 50 anni e che ora, a 60, ha un figlio decenne che la rifiuta in tutto. E se la situazione con due mamme appare più facile da far accettare socialmente, quella con due padri appare più problematica.
Negare che i problemi possano esistere non giova alla causa. La negazione non è mai un buon metodo per affrontare problemi di cui vediamo premesse importanti. Tanto più che abbiamo decenni di studi sull’evoluzione psicosessuale dei bambini figli di coppie eterosessuali, mentre mancano studi a lungo termine che sostanzino l’affermazione che i figli di una coppia gay ”sono normalissimi”.
Quarto elemento: se già la stabilità della coppia genitoriale eterosessuale è oggi sempre più precaria, con ripercussioni anche gravi sull’equilibrio del piccolo, quali possono essere le conseguenze della rottura di una coppia gay (più frequente in quelle maschili)? Non sappiamo.
Nel dubbio, è meglio essere molto prudenti. Benissimo quindi che sia stata approvata la legge sulle unioni civili, con l’importante equiparazione patrimoniale al matrimonio, che ora vale anche per la coppia eterosessuale convivente, aspetto passato in sordina. Sull’adozione, sto dalla parte dei bambini. Si parla tanto dei loro diritti, ma l’uso strumentale che ne viene fatto, e non solo sul fronte della adozione da parte di coppie omosessuali, è davvero molto inquietante.
Adozione e affidamento Attaccamento affettivo Bambini Genitori e figli Identità sessuale / Disturbi dell'identità Legislazione e giustizia Madre surrogata / Utero in affitto Omosessualità Riflessioni di vita Unioni di fatto